
In Italia esiste una città dove l'allarme è sempre suonato periodicamente, anche prima del servizio di avviso IT-Alert. È Venezia, uno dei Comuni che il nostro Paese tiene più sotto osservazione, per via della sua orografia, ovvero della sua conformazione geofisica. Nel lontano 2003 l'Italia aveva iniziato i lavori per la realizzazione del Mose, la struttura formata da quattro barriere, situate all'imboccatura della laguna, e formate da circa 78 paratoie mobili che, attivandosi, aiutano a contrastare l’innalzamento del livello del mare. L'oceanografo Umgiesser ci aveva già spiegato come l'opera non servirà più a nulla, nel momento in cui l'innalzamento del mare sarà di 30-40 cm. Il Mose infatti dovrebbe essere chiuso così tante volte che la situazione non sarebbe più fattibile.
Per questo motivo le soluzioni più fattibili e attendibili sono principalmente due: la prima è un'operazione di "rilocation", ovvero lo spostamento di centri abitati e dell'industria in zone che si trovano attualmente nell'entroterra italiano, la seconda è quella più auspicata dalle Nazioni Unite, ovvero il rispetto degli Accordi di Parigi del 2015, delle indicazioni dell'IPCC e delle politiche ambientali stabilite dagli accordi presi durante le COP. "Purtroppo è una situazione che si verificherà prima o poi e non vedo nessuna possibilità che il livello medio non salga a dei livelli che sono effettivamente preoccupanti", afferma Umgiesser.
Ora da un nuovo studio arriva la conferma che il fenomeno dell'acqua alta, che ha culturalmente plasmato la città di Venezia e i suoi abitanti (tanto che, se volete visitarla, esiste persino una libreria che espone i suoi libri all'interno di vasche e gondole) dipenda anche dai cambiamenti climatici. A dirlo è una ricerca realizzata dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) in collaborazione con il Centre National de la Recherche Scientifique di Parigi (CNRS) e l’International Centre for Theoretical Physics di Trieste (ICTP). Il lavoro poi è stato pubblicato sulla rivista scientifica "Nature Climate Atmospheric Science".
I ricercatori hanno preso in analisi quattro eventi eccezionali di Acqua Alta che hanno interessato la città lagunare nel 1966, 2008, 2018 e 2019, che hanno danneggiato pesantemente anche il patrimonio culturale di Venezia, come nel caso della Basilica di San Marco. Tommaso Alberti, ricercatore dell’INGV e co-autore dello studio, ha spiegato che: "I risultati che abbiamo ottenuto hanno evidenziato chiaramente il legame esistente tra le modifiche nella circolazione atmosferica e l'aumento della gravità degli eventi di Acqua Alta, sottolineando la crescente vulnerabilità di Venezia ai cambiamenti climatici".
Si tratta di uno studio che non solo dimostra l'efficacia del MoSE davanti al presentarsi di fenomeni estremi, come quello che si è verificato nel 1966, ma è anche una buona base per studiare le attuali strategie di adattamento, in un contesto di eventi estremi sempre più frequenti e intensi, nel caso in cui si dovessero raggiungere livelli di riscaldamento globale più elevati.
Nel 1966 la Grande Alluvione di Venezia fu così disastrosa, che in quell'occasione l'isola di Sant'Erasmo è scomparsa sotto onde alte fino a 4 metri e le fabbriche di vetro di Murano sono state quasi interamente distrutte. Se vogliamo che questi episodi non si verifichino più, dobbiamo pensare in fretta a nuovi piani di adattamento e a mitigare le nostre emissioni, cercando di decarbonizzare il prima possibile le nostre economie. Lo dobbiamo a Venezia, lo dobbiamo alle persone che abitano la città e le sue isole.