Possiamo fare a meno degli allevamenti intensivi? Come sono fatti e come funzionano questi sistemi

Gli allevamenti intensivi non sono sempre esistiti. Anzi, sapevi che sono nati per un errore? Proprio così, il nostro sistema di produzione e consumo di carne si basa su un episodio casuale. Ma allora, perché non ne possiamo fare a meno?
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Giulia Dallagiovanna 17 Marzo 2023

Gli allevamenti intensivi non sono sempre esistiti. E questo è piuttosto ovvio. Ma lo sapevi che sono nati per errore? Proprio così, il sistema di produzione e consumo di carne al quale siamo abituati è in realtà piuttosto giovane: ha "solo" 100 anni. Che rispetto alla storia della specie umana sulla Terra è davvero poca cosa!

Tutto parte da Cecile Steel, un'allevatrice statunitense che nel 1923 ordinò 50 pulcini e ne ricevette per sbaglio 500. Per il semplice fabbisogno familiare erano davvero troppi. Steel allora decide di allevarli per rivenderli. Li stipa tutti in un fienile delle dimensioni di un monolocale, li nutre con mangimi a base di mais e integratori. L'idea funziona perché dopo qualche tempo riesce a metterli sul mercato a poco più di un dollaro al chilo. In breve tempo lei e il marito diventano i magnati del pollo: 12 anni dopo, la famiglia Steele possedeva già sette fattorie, nelle quali poteva allevare oltre 250 mila polli alla volta.

Da un piccolo fienile a un grattacielo ultramoderno di 26 piani pensato per produrre fino a 1,2 milioni di maiali alla volta. Come siamo arrivati fin qui?

Come nascono

Come forse saprai anche tu, gli allevamenti esistono praticamente da sempre, tanto che le prime testimonianze risalgono addirittura al Neolitico e, per la precisione, intorno al 10.000 a.C. Nascono insomma quando le prime cilvità intuiscono, banalmente, che allevare animali fosse più semplice che cacciarli.

Inizialmente, però, le persone allevavano animali principalmente per mantenere le proprie famiglie. L’idea imprenditoriale di Steel ebbe invece un tempismo perfetto. Erano i "ruggenti anni Venti", un decennio di incredibile crescita economica negli Stati Uniti. Si ritrovarono tutti, o quasi, con più soldi in tasca, anche per comprarsi da mangiare. Per rispondere a una domanda in rapidissima crescita, il metodo industriale "inventato" da Cecile Steel sembrò la soluzione migliore. Anche perché ricevette la spinta da altri fattori concomitanti come i progressi nelle tecniche agricole e lo sviluppo dei trasporti.

Ma la vera svolta fu la scoperta della vitamina D. Come saprai, di solito il nostro corpo la sintetizza a partire dai raggi del sole, la sua produzione e assunzione per via artificiale permise agli animali di sopravvivere al chiuso durante i freddi mesi invernali. Si arrivò così all'allevamento industriale in sistemi intensivi, proprio come lo conosciamo oggi.

In poco tempo i pascoli all’aperto fecero posto a grandi aziende agricole industrializzate, praticamente delle moderne fattorie in cui un gran numero di bestiame veniva allevato al chiuso con il fine di produrre carne, latte e uova. Ma anche pelli e pellicce, dal momento che si sfruttava al massimo la produttività, a scapito però del benessere animale.

Cosa significa allevamento intensivo

Ma oggi invece come sono fatti questi allevamenti? Prima di tutto devi sapere che parliamo di allevamenti intensivi quando vi è stipato all'interno un elevato numero di animali. Quaranta mila polli o due mila suini di oltre 30 chilogrammi di peso, tanto per fare degli esempi. La maggior parte di loro vive l’intera esistenza senza mai conoscere l’aria aperta o l’erba dei prati.

Le tue uova, ad esempio, vengono prodotte da galline ovaiole nate a loro volta in grandi incubatrici con illuminazione artificiale, insieme a migliaia di altri pulcini. E con loro c'erano anche i polli da carne, allevati in modo selettivo così da aumentarne il peso il più velocemente possibile.

Naturalmente i suini non se la passano tanto meglio. Le scrofe incinte vengono separate dal resto del gruppo e messe in piccole gabbie di gestazione e allattamento, in modo che possano nutrire i cuccioli appena nati, ma senza riuscire a instaurare con loro una vera relazione. E questo vale anche per le mucche: i vitelli appena svezzati vengono divisi dalle madri e allevati in strutture separate. Il fatto è che anche se sono appena nati il loro destino è già scritto: crescere il più velocemente possibile.

Infatti negli allevamenti intensivi gli animali trascorrono le loro giornate a fare una cosa sola: mangiare una grandissima quantità di cibo. Pensa che per produrre 1 kg di carne di manzo servono circa 25 kg di mangime, ma non un mangime qualsiasi. Parliamo di cibi iperenergetici, a base di soia, mais e altri cereali.

Come in una sorta di bolla, gli animali vengono tenuti lontani da qualsiasi pericolo che di solito incontrerebbero in natura. Questo isolamento, assieme alla mancanza di esercizio fisico e spesso anche di pulizia, indebolisce il loro sistema immunitario. Così, per prevenire le eventuali malattie, vengono somministrati loro continuamente antibiotici, andando inoltre a peggiorare il fenomeno dell'antibiotico resistenza.

Questo stile di vita causa agli animali stress e una grande sofferenza, fisica e psicologia. A queste sofferenze, inoltre, si aggiunge anche una minore aspettativa di vita. Un pollo da allevamento vive all’incirca 6 settimane, mentree in natura potrebbe vivere fino a 8-10 anni. Allo stesso modo un suino cresciuto per la produzione di prosciutto ha una vita di circa 6 mesi, contro i 15-20 anni che potrebbe raggiungere in natura.

Quanto inquinano

Per non parlare poi dell’inquinamento che deriva da questi sistemi. Secondo un'analisi di Greenpeace, gli allevamenti intensivi sono responsabili oggi del 17% delle emissioni totali dell’Unione europea, più di quelle di tutte le automobili e i furgoni in circolazione. A questa cifra collaborano diversi fattori, dai consumi energetici delle strutture ai processi di produzione dei mangimi, dal trasporto degli animali alla gestione dei loro escrementi.

Possiamo farne a meno?

Ma possiamo fare a meno degli allevamenti intensivi? Riusciremmo comunque a sfamare tutta la popolazione?

Proviamo a rispondere partendo dal caso della Cina, il maggior consumatore al mondo di carne di maiale, dove poche settimane fa è stato inaugurato un ultra moderno grattacielo che avrà l’obiettivo di “produrre” 1,2 milioni di maiali da macello ogni anno. Potremmo dire che questa è la “naturale” conseguenza di una domanda dei consumatori in rapidissima crescita. Per farti un esempio, solo in Italia nel 2020 sono stati macellati 57 milioni di polli e 10 milioni di maiali. E potremmo aggiungere che oggi, come fu ai tempi di Cecile Steele, oggi questo modello di allevamento è l'unico in grado di creare, così rapidamente, grandi scorte di carne che duranto tutto l'anno e che costano così poco.

C'è un ma. Anzi, un vero e proprio paradosso. Nel mondo, quasi 1 miliardo di persone vive in un condizioni di povertà alimentare. Com'è possibile tutto questo? Il punto è che questo sistema di produzione dà luogo a disuguaglianze. E lo fa secondo un meccanismo piuttosto semplice: utilizziamo terreni agricoli, presenti in zone del mondo sottosviluppate, per nutrire animali mangiati quasi esclusivamente nel mondo occidentale. Non solo, ma nel mondo occidentale di carne ne consumiamo troppa. A un uomo adulto ne basterebbero più o meno 400 grammi settimana, eppure in Italia se ne consuma mediamente 1 kg e mezzo. Insomma, più carne mangiano i paesi più ricchi, meno risorse avranno a disposizione i più poveri.

I sistemi di produzione intensivi si fondano su processi che aumentano vertiginosamente i livelli di CO2 nell’atmosfera, causano sofferenza agli animali e aumentano le disuguaglianze, tracciando un percorso che porta direttamente alla fame nel mondo. Allora, forse, ha senso fare una riflessione sulle nostre abitudini e sul nostro stile di vita da “Paesi industrializzati” per provare a immaginare un futuro diverso, proprio a partire da noi.