Progetto Quasi, quando un po’ di sarcasmo e ironia aiutano a far adottare un cane

Ironia tagliente e una buona dose di sarcasmo. Se aiutano a far adottare un cane con gravi disabilità o tanto in là con gli anni, allora sono più che giustificati, e il Progetto Quasi ne è l’esempio: dieci volontarie, ma prima di tutto grandi amiche, che hanno permesso a più di trecento cani di trovare una famiglia.
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Gaia Cortese 24 Aprile 2019

Vulcane è un cane che al posto del naso ha una sorta di cratere. Rita Levi Barboncini era un barboncino vecchissimo. Sasso era un cane anziano che non si muoveva. Calvin Klein un cane senza pelo. Megamind un cane con una scatola cranica estremamente grande a causa di alcuni problemi neurologici.

“Lo so, non abbiamo un approccio proprio convenzionale, portiamo un po’ di sarcasmo e ironia in un mondo fatto di tanta tristezza. Come associazione siamo nati nel 2010 e fra poco compiamo 10 anni: oggi abbiamo tanti fan (oltre 110mila follower sulla pagina Facebook, ndr), ma appena nati abbiamo faticato parecchio ad affermarci in questo mondo, proprio come conseguenza del modo in cui operiamo”.

A raccontarsi è Silvia, dell’Associazione Progetto Quasi, che si occupa di far adottare i cani “meno adottabili”: quelli con disabilità importanti, quelli ormai adulti o vecchi, quelli che solitamente non vengono portati a casa, ma lasciati nelle loro gabbie.

“Siamo circa 10 volontarie, ma prima di tutto siamo amiche, e ognuna di noi nella sua vita personale fa di questo approccio un modo di vivere: Daniela si occupa di cure palliative; Bethania, altro braccio fondamentale dell’associazione è mamma di un bambino con grandi disabilità; lei si occupa di dare stallo ai cagnolini, li rimette in sesto per darli poi in adozione; Fabiana, presidente dell’associazione, è fisioterapista e si occupa di riabilitazione neurocognitiva. È stata lei a dare il via al tutto: Fabiana ha iniziato adottando Quasi, una cagnolina con una malformazione genetica alla spina dorsale. Quasi è la nostra mascotte, non a caso compare nel logo dell’associazione che porta il suo nome. Quando Fabiana la ha adottata, ha raccolto i soldi per poterla operare. Ci è riuscita e da quel momento ha pensato: se sono riuscita a farlo per un cane perché non aiutarne anche altri?"

"Il nostro motto è che nessuno sia escluso – continua Silvia -. Vogliamo che ognuno trovi il suo posto perché nessuno deve morire solo. Se possiamo regalare dei mesi o degli anni in cui i cani vengono accuditi e coccolati, significa che gli stiamo restituendo un po' di dignità".

"Ci occupiamo principalmente dei cani che escono dai rifugi del Lazio, perché le staffette costano parecchio. Abbiamo ottimizzato tempo e denaro lavorando sulle emergenze del nostro territorio, spingendoci fino al Sud (in prevalenza Sicilia e Calabria), escludendo il Nord Italia dove il fenomeno del randagismo è meno presente. Quando arrivano questi cani vengono portati in clinica, dove ne viene controllato lo stato di salute, dove vengono sterilizzati, e dove si pianificano le terapie di cui bisognano. Si inizia un percorso riabilitativo, si instaura un rapporto con l’uomo. A volte restano a casa di Bethania che vivendo alle porte di Roma e avendo un terreno a disposizione, li può accogliere".

Le volontarie di Progetto Quasi si inventano sempre appelli ironici, ai cani danno nomi divertenti, a volte anche politicamente molto scorretti, ma in questi dieci anni possono essere orgogliose di aver fatto adottare almeno trecento cani, e anche qualche gatto.

"Per raccogliere fondi ci siamo inventate anche un’asta di beneficenza online: l’asta dura una settimana e accogliamo circa 500 proposte – spiega Silvia -. Ogni partecipante mette all’asta un oggetto, per cui verrà fatta un’offerta. Accettata l’offerta si fa il bonifico, chi aveva l’oggetto lo spedisce al suo destinatario e i soldi vanno in beneficenza all’associazione; posso dire che fino ad oggi, tutti i partecipanti sono stati precisi nella spedizione degli oggetti messi all’asta. Questa asta di beneficenza ha avuto un tale successo che hanno partecipato anche personaggi come Zerocalcare mettendo all’asta una vignetta, Immanuel Casto offrendo due entrate per il backstage di un suo concerto, o Giancarlo Magalli mettendosi a disposizione per una cena".

E poi c’è anche l’iniziativa “Esci lo sfascione”: una volta l’anno chiediamo alle associazioni di volontariato di proporci il loro catorcio. Lo sfascione è il cane che non adotta nessuno. Noi proviamo a fare da cassa di risonanza e aiutiamo le associazioni. Cerchiamo sempre di darci una mano reciproca.

Viene da chiedersi, chi adotta questi animali? "È vero, molti hanno il timore di perdere il cane, ma noi facciamo un passo oltre – chiarisce Silvia -. La morte appartiene a tutti e siamo consapevoli che in qualche modo arriva e coglie; il fatto che possa passare un mese, un anno o dieci anni, questo scoglio si deve superare mentalmente, almeno questo è il nostro approccio. Per noi è più un desiderio di giustizia nei confronti di un cane che ha trascorso la sua vita nell’anonimato completo".

Silvia mi spiega che non esiste una tipologia precisa di “adottante”: hanno adottato tanti anziani, che hanno scelto un cane adeguato alla loro età, che non richieda tantissimo impegno. Un cane anziano è più gestibile perché, se è in salute, non ha bisogno di tutta quell’attenzione di cui ha bisogno solitamente un cucciolo.

"Molti adottanti poi diventano seriali – mi confida Silvia -. A distanza di due, tre anni, superato il momento del distacco con il proprio cane, tornano da noi per adottarne un altro. Perché adottando un cane “particolare”, entri proprio in una dimensione diversa, quella dell’accudimento, quella delle piccole cose quotidiane e delle piccole vittorie di ogni giorno. Un cane senza una zampa, oppure cieco, o che ha problemi al sistema nervoso e quindi sbarella quando cammina, fa entrare in contatto con il concetto della disabilità che, strano ma vero, diventa un valore. È davvero terapeutico".