Protocollo di Kyoto: cos’è e cosa prevede il primo accordo internazionale sul clima

Il protocollo di Kyoto è un trattato stipulato nel 1997 per ridurre in maniera consistente le emissioni di gas serra nel mondo, soprattutto attraverso l’opera dei Paesi industrializzati. Vediamo i Paesi che hanno aderito, quali obiettivi sono stati raggiunti negli anni e in che modo questi traguardi si integrano con quelli del successivo Accordo di Parigi e dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Sara Del Dot 5 Novembre 2019

Il protocollo di Kyoto, conosciuto anche come trattato di Kyoto, è un accordo internazionale sul clima stipulato l'11 dicembre 1997 nella città di Kyoto in Giappone da oltre 180 Paesi. Si tratta del primo vero accordo internazionale sul clima, precursore del più celebre e recente accordo di Parigi, firmato nel 2015. Il protocollo di Kyoto si è reso necessario nel momento in cui la situazione sul Pianeta a livello di emissioni è stata dichiarata in serio pericolo.

Quello dell’aumento in atmosfera dei gas serra, infatti, è un problema a cui da decenni si cerca di trovare una soluzione. Queste sostanze, indispensabili per mantenere l’equilibrio della temperatura terrestre, nel corso degli anni e con la progressiva industrializzazione sono aumentate sempre di più arrivando ad alterare in modo drastico il clima del Pianeta. Per questo, anche in seguito all’allarme lanciato da realtà autorevoli come l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), ente scientifico delle Nazioni Unite istituito nel 1988, è stato ritenuto necessario iniziare una collaborazione tra i vari Paesi industrializzati per avviare un’azione congiunta di contrasto ai cambiamenti climatici, attraverso la ratifica di un vero e proprio accordo che vincolasse gli Stati industrializzati a salvaguardare la salute ambientale del Pianeta. Tutto ciò è accaduto a Kyoto, in Giappone, nel 1997, anno in cui è stato siglato il primo accordo internazionale sul clima, destinato a fare storia e precursore dell’accordo di Parigi del 2015 che lo avrebbe poi effettivamente sostituito definendo i nuovi obiettivi, ancora più ambiziosi, da raggiungere entro il 2030.

Cos’è il protocollo di Kyoto

Come ti ho già accennato, il protocollo di Kyoto è un accordo internazionale per contrastare i cambiamenti climatici. È stato sottoscritto l’11 dicembre 1997 durante la Conferenza delle parti di Kyoto (COP3) da oltre 180 Paesi. Tecnicamente, si tratta dello strumento con cui doveva essere attuata la Convenzione quadro delle nazioni unite sui cambiamenti climatici, nota anche come Accordo di Rio e realizzata in occasione del Summit della Terra tenutosi nel 1992.

Sebbene l’anno di nascita del protocollo sia il 1997, la sua entrata in vigore è avvenuta ben otto anni dopo, il 16 febbraio 2005, dopo la ratifica da parte della Russia avvenuta nel novembre 2004, che ha permesso di raggiungere il requisito minimo per la sua applicazione. Questo perché il trattato poteva entrare in vigore soltanto se ratificato da almeno 55 Paesi industrializzati firmatari della Convenzione quadro, ma questo non era l’unico requisito. La somma delle emissioni dei Paesi aderenti doveva corrispondere ad almeno il 55% delle emissioni serra globali, e la ratificazione da parte della Russia ha permesso di raggiungere questo obiettivo (l’Italia lo aveva ratificato il primo giugno del 2002).

Il protocollo di Kyoto ha avuto complessivamente due fasi. La prima, infatti, è durata dal 2008 al 2012. Dopo l’emendamento di Doha sul protocollo di Kyoto, la sua applicazione è stata estesa fino al 31 dicembre 2020. Nel frattempo, però, è subentrato l’accordo di Parigi che lo ha sostituito, fissando nuovi obiettivi per il periodo post-2020 che si integrano con i traguardi previsti per i 193 Paesi membri delle Nazioni Unite (Onu) che hanno sottoscritto il programma d'azione conosciuto come Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

Cosa prevede

L’obiettivo del protocollo di Kyoto era quello di spingere i paesi industrializzati e quelli con un’economia in transizione a promuovere azioni di riduzione delle proprie emissioni di gas serra, intervenendo a favore di politiche industriali e ambientali per contrastare il surriscaldamento del Pianeta.

Nella sua prima fase, quella che ha coperto il periodo dal 2008 al 2012, ai Paesi firmatari è stato richiesto di ridurre le emissioni dei principali gas serra inquinanti (biossido di carbonio, metano, protossido di azoto, idrofluorocarbuti, perfluorocarburi ed esafluoruro di zolfo) di almeno il 5,2% rispetto ai livelli del 1990. Naturalmente la percentuale non era uguale per tutti i Paesi, ma cambiava sulla base della quantità di emissioni di ciascuno. Questi paesi erano tenuti, poi, a incentivare pratiche positive per la lotta ai cambiamenti climatici come protezione di zone boschive, esportare tecnologie per generare energia pulita nei paesi in via di sviluppo.

L'emendamento di Doha

Con l’emendamento di Doha, adottato l’8 dicembre 2012, sono stati previsti nuovi impegni per i Paesi firmatari, per un periodo di tempo esteso fino al 31 dicembre 2020. Inoltre, è stato aggiornato l’elenco di gas serra con l’aggiunta del trifloruro di azoto e le azioni previste per ridurli. In questa seconda fase del protocollo di Kyoto, della durata complessiva di otto anni, i Paesi sono stati impegnati a ridurre entro la fine del 2020 le emissioni di queste sostanze di almeno il 18% rispetto ai livelli del 1990.

A questo emendamento hanno aderito ancora pochi Paesi, tra cui l’Italia.

Come raggiungere gli obiettivi

I Paesi erano tenuti raggiungere gli obiettivi previsti in primo luogo attraverso l’adozione di misure a livello nazionale. Tuttavia, il protocollo ha previsto anche metodi differenti per raggiungere questi target attraverso tre diversi meccanismi flessibili. Vediamoli nel dettaglio.

International emissions trading

Si tratta della possibilità di vendere e acquistare diritti di emissioni tra Paesi. In pratica, se un Paese riduce le proprie emissioni e lascia un “avanzo” di emissioni da poter emettere, può vendere questo avanzo a un altro Paese che non riesce a stare sotto la quota definita. Un vero e proprio interscambio di emissioni

Clean Development Mechanism

Consiste nella possibilità dei Paesi industrializzati di compensare le proprie emissioni con l’avvio, in altri Paesi in via di sviluppo, di progetti finalizzati alla riduzione di emissioni in quelle aree. Ciò può avvenire tramite l’esportazione di tecnologie per generare energia pulita o efficientamento energetico delle abitazioni, o ancora progetti di riforestazione e implementazione di zone verdi.

Joint implementation

Disciplinato dall’articolo 6 del protocollo di Kyoto, questo meccanismo prevede la possibilità, per le imprese appartenenti a Paesi con vincoli di emissioni, di realizzare progetti di riduzione di emissione in altri Paesi ugualmente soggetti a vincoli, in modo tale da generare zero emissioni in entrambi i Paesi. In questo modo è possibile abbattere le emissioni in situazioni in cui può essere più conveniente anche a livello economico, guadagnando delle specie di “crediti emissioni”, chiamati Emissions Reductions Unit, generati dall’inquinamento evitato grazie a questi progetti.

Obiettivi raggiunti

Come ti ho spiegato, gli obiettivi della prima fase del protocollo di Kyoto, quella relativa al periodo 2008-2012, prevedevano una riduzione del 5% circa delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990, con alcune differenze sul piano nazionale o riguardanti delle macro-aree: ad esempio, i 15 Paesi che all'epoca formavano l'Unione Europea (oggi 27), si erano impegnati a garantire un calo complessivo dell'8% per l'intera zona, obiettivo raggiunto e addirittura superato, data una riduzione totale delle emissioni che è andata oltre l'11%.

Oltre ai traguardi comuni, però, nei quali una nazione virtuosa può compensare una meno attenta, esistevano anche obiettivi singoli: ad esempio, l'Italia non è riuscita a ridurre del 6,5% le emissioni di gas a effetto serra come previsto dal protocollo di Kyoto, fermandosi intorno al 4,6%.

Nel secondo periodo di monitoraggio 2013-2020 l'UE si è spinta oltre, fissando l'obiettivo di ridurre le emissioni complessive della zona europea del 20%, sempre considerando i livelli del 1990 come punto di partenza. Anche in questo caso il traguardo è stato raggiunto, con un calo del 22,48% centrato addirittura nel 2014, ma come in precedenza l'Italia non rientrava tra i Paesi europei (solo 15) in grado di rispettare il calo di emissioni prestabilito a livello nazionale prima che l'accordo di Parigi, entrato in vigore nel novembre 2016, fissasse nuovi obiettivi.

Paesi aderenti

Attualmente i paesi che aderiscono al protocollo sono 191, più un’organizzazione. L’unico Paese a essersi tirato indietro al momento è il Canada, che ha ritirato la sua partecipazione nel 2011. Grande assente sono gli Stati Uniti, responsabili del 36,2% delle emissioni complessive, che hanno aderito inizialmente senza però ratificarlo, un passo che l'Australia ha fatto invece nel 2007.  Tra gli altri, non aderiscono al protocollo di Kyoto nemmeno Iraq, Andorra, Afghanistan e Taiwan. Infine, nazioni come Cina, India e Brasile, sebbene abbiano aderito, non sono state obbligate a rispettare il trattato poiché considerate in via di sviluppo.

(Modificato da Alessandro Bai il 12-4-21)