Quanta acqua serve per produrre un chilo di carne? Qualunque sia la risposta, va messo un freno agli allevamenti intensivi

Gli allevamenti intensivi consumano quasi il 70% dell’acqua utilizzata dalla società nel suo complesso. Una cifra importante, che è sempre più tirata in ballo da chi, di fronte alla siccità e all’aumento delle temperature, trova necessario ridurre il consumo di carne e regolare in senso restrittivo il settore degli allevamenti intensivi.
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Michele Mastandrea 1 Luglio 2022

Oltre 15mila litri. Anche un pò di più. Sarebbe questa la quantità di acqua necessaria per produrre un chilo di carne bovina. A dirlo è un noto studio del Water Footprint Network (Wfn), che qualche anno fa ha calcolato la quantità di risorsa idrica necessaria per ottenere un chilo di diverse tipologie di alimenti.

Si tratta di uno studio ripreso moltissimo, anche sui social network, in questi giorni. Forse sarà apparso anche sulla tua timeline, riassunto in forma grafica. La forte siccità di queste settimane ha del resto riacceso il dibattito su come utilizzare l'acqua nella maniera più corretta. Il dato sulla carne è decisamente forte, soprattutto se comparato con quelli di altri beni alimentari. Ma le cose stanno veramente così? Serve davvero tutta quell'acqua, come afferma lo studio?

L'impronta idrica

Il massiccio consumo di acqua nell'allevamento è una delle maggiori ragioni esposte da chi aderisce a uno stile di alimentazione vegetariano. La produzione di carne sarebbe di fatto insostenibile. In linea generale, ma soprattutto in questa fase, caratterizzata da siccità e carenza perenne di risorsa idrica.

Non tutta la carne, ovviamente, secondo lo studio del Wfn, necessita dello stesso quantitativo d'acqua per la sua produzione. Tra pollo e manzo, ad esempio, la differenza è di oltre il 60%. Ma rispetto alla verdura, il consumo idrico per produrre qualunque tipo di carne è imparagonabile.

Il ruolo degli allevamenti intensivi

E non si parla solamente dell'acqua per dissetare le mandrie, che in realtà è una parte molto piccola del totale. La maggior parte dell'acqua utilizzata serve piuttosto per irrigare i campi necessari alla produzione di mais, soia e in generale di mangime per gli animali.

Gli allevamenti intensivi consumano circa un terzo di tutta l'acqua usata dal settore agricolo, e sfruttano il 60% dei cereali prodotti in Europa, secondo Greenpeace. Per l'associazione ambientalista, i campi utilizzati a questo scopo potrebbero essere dedicati ad altro. In particolare alla produzione di verdura, se si pensa che un chilo di carote necessita di meno di 300 litri di acqua per essere prodotto, secondo il Wfn.

C'è chi abbassa le stime

Altri studi però hanno provato a confutare questa teoria. In particolare, segnalando che l'80-90% dell'acqua inclusa nel calcolo non sarebbe acqua prelevata da fiumi o laghi, o da falde sotterranee, e poi utilizzata per l'allevamento. Bensì, acqua legata ai normali cicli naturali, proveniente dalle precipitazioni o dallo scioglimento periodico dei ghiacciai.

Non ci sarebbe dunque da lamentarsi, dato che il consumo effettivo di risorsa sarebbe molto inferiore a quello riportato in studi come quello del Wfn. Calcolando in maniera differente l'impronta idrica, comprendendo solo la risorsa prelevata appositamente per l'allevamento del bestiame, si arriverebbe a un consumo tra gli 800 e i 5mila litri d'acqua per ogni chilo di carne.

Insomma, il consumo d'acqua andrebbe sezionato, al fine di una valutazione meno allarmistica. Ma una contro-obiezione a questo ragionamento deriva da quello che in economia si chiama costo-opportunità. Vale a dire, ragionare su quello che si perde utilizzando una risorsa in un modo rispetto a un altro.

Utilizzando l'acqua piovana – che tra le altre cose è sempre meno, a causa della nota mancanza di precipitazioni – per coltivare i campi a mangime per il bestiame, la si spreca rispetto all'opportunità di produrre maggiori quantità di verdure, potendo così sfamare molte più persone.

Inoltre, la produzione di carne ha altre controindicazioni. In particolare, l'impatto sulle emissioni globali di metano, che potrebbero ridursi fortemente di fronte alla diminuzione netta del numero di capi di bestiame allevati su scala globale. Un eccessivo consumo di carne inoltre ha conseguenze sulla salute delle persone, come ormai sancito da numerosi studi.

Insomma, anche se variano le stime, il problema degli allevamenti intensivi e del loro consumo eccessivo di acqua resta. Anche perché i dati di altri settori non sono paragonabili: lavarsi i denti con il rubinetto chiuso, o fare docce più brevi, ha un impatto decisamente inferiore in termini di risparmi idrici. Secondo alcune stime, agricoltura e allevamento infatti consumano il 69% dell'acqua, mentre i consumi domestici solo il 9%.

Gli allevamenti intensivi, simbolo della poca sostenibilità che caratterizza alcuni ambiti del nostro sistema produttivo, in particolare per quanto riguarda il benessere degli animali, sono dunque anche i più grandi consumatori d'acqua. E se il bestiame venisse allevato in maniera diversa, il prezzo della carne aumenterebbe a dismisura. Facile ipotizzare che molti diventerebbero vegetariani perché costretti o quasi a farlo.

E dunque? Se vogliamo affrontare il problema della crisi idrica, dobbiamo iniziare a usare le risorse in maniera diversa. E il primo settore che deve adeguarsi, volente o nolente, sarà proprio l'industria della carne. La cui insostenibilità è probabilmente arrivata al punto di non ritorno. Quale che sia la risposta alla quantità di acqua necessaria per produrre un chilo di carne, serve mettere un freno agli allevamenti intensivi.