Report WWF: in cinquant’anni la fauna selvatica è calata del 69 per cento

La causa non è solo il cambiamento climatico in atto. Ad esso si aggiungono anche lo sfruttamento del suolo, l’inquinamento, la deforestazione, la caccia e il bracconaggio. In cinquant’anni si è perso il 69 per cento della fauna selvatica: governi, imprese e opinione pubblica devo intervenire con urgenza.
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Gaia Cortese 14 Ottobre 2022

Governi, imprese, opinione pubblica. Serve un coinvolgimento a livello globale per invertire la rotta della perdita di biodiversità che ha portato dal 1970 ad oggi a un calo preoccupante di esemplari animali in tutto il mondo.

A lanciare l’allarme è il WWF che attraverso il Living Planet Report (LPR) 2022, il rapporto biennale sulla salute del pianeta, ha monitorato le popolazioni di fauna selvatica rilevando un calo del 69%.

Grazie a un vastissimo bacino di dati, che comprende quasi 32mila popolazioni di 5.230 specie di vertebrati, il Living Planet Index (LPI), fornito nel rapporto dalla ZSL (Zoological Society of London), evidenzia chiaramente come nelle regioni tropicali l’abbondanza delle popolazioni di vertebrati selvatici monitorati stia crollando a un ritmo troppo sostenuto.

In particolare, dal 1970 le popolazioni di fauna selvatica monitorate in America Latina e nella regione dei Caraibi sono diminuite in media del 94 per cento, mentre  le popolazioni d’acqua dolce sono diminuite in media dell’83 per cento.

Tra il 1994 e il 2019 i gorilla di pianura orientale nel Parco nazionale di Kahuzi-Biega della Repubblica Democratica del Congo hanno subito un declino stimato dell’80%.

“Ci troviamo di fronte a una doppia emergenza: il cambiamento climatico provocato dall’uomo e la perdita di biodiversità, che minacciano il benessere delle generazioni attuali e future – ha commentato Marco Lambertini, Direttore generale WWF Internazionale -. Il WWF è estremamente preoccupato da questi nuovi dati che mostrano un calo devastante delle popolazioni di fauna selvatica, in particolare nelle regioni tropicali che ospitano alcune delle aree più ricche di biodiversità al mondo.”

Un’occasione per invertire questa tendenza potrebbe essere la 15a Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica (COP15), in programma a dicembre, quando i leader delle nazioni partecipanti avranno l’obbligo morale di prendere in considerazione i dati evidenziati dal Report.

“Alla conferenza sulla biodiversità COP15 di dicembre, i leader avranno l’opportunità di reimpostare il nostro rapporto con il mondo naturale e di offrire un futuro più sano e sostenibile per tutti, con un ambizioso accordo sulla biodiversità globale che sia nature-positive– ha aggiunto Marco Lambertini -. Di fronte all’aggravarsi della crisi della natura, è essenziale che questo accordo preveda un’azione immediata sul campo, anche attraverso la trasformazione dei settori che causano la perdita di natura, e il sostegno finanziario ai Paesi in via di sviluppo”.

Tra il 1977 e il 2019. il numero di cuccioli di leone marino dell’Australia meridionale e occidentale è calato di due terzi.

A cosa è dovuto un calo pari al 69 per cento delle popolazioni di vertebrati sul pianeta? Secondo il Living Planet Report le principali cause del declino delle popolazioni di fauna selvatica vanno ricercate nei cambiamenti nell’uso del suolo e del mare, nello sfruttamento eccessivo di piante e animali, nel cambiamento climatico in atto, nell’inquinamento e nelle specie aliene invasive, nelle minacce provenienti da agricoltura, caccia e bracconaggio e nella deforestazione.

Non solo. Se nei prossimi decenni il riscaldamento globale non dovesse abbassarsi di 2°C, con ogni probabilità il cambiamento climatico diventerà la causa principale della perdita di biodiversità e del degrado degli ecosistemi del pianeta.

“I dati del Living Planet Report sono l’ennesimo, drammatico allarme del pessimo stato di salute della biodiversità globale e confermano che il tempo a nostra disposizione per invertire la curva dell’emorragia di natura che contraddistingue la nostra epoca è ormai agli sgoccioli –  ha dichiarato Luciano Di Tizio, presidente WWF Italia. Senza un cambiamento strutturale nelle nostre politiche, economie, abitudini quasi nessuno degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU (SDGs) potrà essere raggiunto. Per invertire la perdita di natura e garantire un futuro più sicuro e sano per tutti è indispensabile dimezzare l’impronta globale di produzione e consumo entro il 2030. Abbiamo bisogno di trasformare radicalmente la nostra cultura e la nostra società. In Italia il WWF ha avanzato proposte concrete che ci auguriamo che il Parlamento che si insedia oggi e il governo che seguirà mettano al centro dell’agenda: entro un anno serve una legge sul clima, una per contrastare il consumo del suolo ed un Codice della Natura per razionalizzare tutte le norme a tutela della nostra biodiversità”.