Si è conclusa la Pre-Cop26 di Milano: un primo bilancio, aspettando Glasgow

L’inizio dei lavori della Cop26 di Glasgow sarà preceduto da un altro mese di trattative. Stati Uniti e Unione Europea provano a dettare la linea: bisogna incrementare gli sforzi per contenere il riscaldamento globale sotto i due gradi rispetto all’epoca preindustriale. Ma sarà difficile trovare la quadratura del cerchio.
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Federico Turrisi 4 Ottobre 2021

La Pre-Cop26 di Milano è stato l'ennesimo "bla bla bla" della politica, come accusa Greta Thunberg? Senza dimenticare che si trattava pur sempre di un evento preparatorio alla Cop26 che si terrà a Glasgow a partire dal prossimo 1 novembre (e sarà allora la vera resa dei conti), sembra che i leader mondiali su una cosa siano d'accordo: bisogna fare di più per rispettare l'Accordo di Parigi e cercare di limitare il riscaldamento globale sotto i 2 gradi rispetto all'epoca preindustriale, meglio ancora sotto 1,5 gradi. Eppure, non sappiamo ancora come si intende tradurre a livello internazionale questo impegno in misure concrete. Di certo, ci ricorderemo di queste "cinque giornate" milanesi dedicate al clima e all'ambiente soprattutto per la grande mobilitazione giovanile.

Le richieste dei giovani

La Pre-Cop26 si era aperta giovedì 30 settembre con la presentazione ai ministri del clima e dell'energia di circa 50 Stati del documento redatto dai giovani delegati provenienti da quasi 200 Paesi del mondo, giunti a Milano in occasione della Youth4Climate. Ai grandi del pianeta sono state avanzate delle richieste molto chiare e ambiziose, come per esempio la chiusura dell’industria dei combustibili fossili entro il 2030, garantendo una transizione equa in maniera tale da non creare tensioni e disuguaglianze sociali.

La Youth4Climate è stata la dimostrazione del fatto che i giovani non sanno solo protestare, ma sanno anche portare proposte. Del resto, saranno loro in futuro a sperimentare gli effetti peggiori della crisi climatica e a pagare sulla loro pelle il prezzo dell'inazione politica. Ma quanto peso ha effettivamente la voce dei giovani nei processi decisionali? Su questo ci sarebbe da discutere a lungo.

In molti – vedi sempre il discorso di Greta Thunberg dello scorso 28 settembre – non nascondono le loro perplessità a riguardo, e c'è chi è arrivato a parlare di "youthwashing": insomma, tutti bravi a dire quanto sia importante il ruolo dei giovani, ma nella sostanza cambia poco e nulla. Il ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani ha sottolineato comunque che "l'obiettivo è quello di far sì che incontri come la Youth4Climate si possano tenere ogni anno prima dei negoziati ufficiali". E questo, a essere onesti, sarebbe già un risultato degno di nota.

La versione dei politici

Ovviamente la politica deve far vedere che sono stati fatti passi in avanti e non può certo affermare che la Pre-Cop sia stato il "festival delle chiacchiere". Tuttavia, non dobbiamo dimenticarci di un fatto, incontrovertibile: conciliare gli interessi di 197 Paesi (ovvero tutti quelli che aderiscono alla Unfccc, la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici) è maledettamente complicato. Non ci stupisce quindi che dalla Pre-Cop26 di Milano, in fondo, siano usciti soltanto annunci.

"Scendere sotto a un aumento di temperatura di 2 gradi non significa ridurla di 1,9 o 1,7 gradi, ma almeno di 1,5 gradi", ha detto John Kerry, inviato speciale del presidente degli Stati Uniti d'America per il clima. "È un obiettivo che possiamo raggiungere, ce lo chiede la scienza. Non tutti i Paesi devono fare la stessa cosa – ha precisato – ma ciascuno deve fare la sua parte".

Un nodo da sciogliere riguarda, per esempio, il fondo per il clima da 100 miliardi di dollari ai Paesi in via di sviluppo: va innanzitutto garantito, ma soprattutto in futuro andrà incrementato perché non è sufficiente per raggiungere i target globali di decarbonizzazione. Il presidente americano Joe Biden ha promesso di raddoppiare il contributo degli Stati Uniti a questo fondo, portandolo da 5,7 miliardi a 11,4 miliardi di dollari. E anche Cingolani ha detto che l'Italia farà la sua parte, ipotizzando un aumento del contributo del nostro Paese al fondo fino a un miliardo di euro.

Chi si è mostrato fiducioso in vista di Glasgow è il presidente della Cop26, Alok Sharma, che ha riconosciuto come sulla lotta contro i cambiamenti climatici ci sia un consenso globale. Ci sono però delle questioni di cui tenere conto e degli impegni da rispettare. "Il nostro obiettivo è ridurre le emissioni di carbonio, ma la transizione deve essere equa. I lavoratori del settore delle fonti fossili devono avere sostegno e trovare nuovi posti di lavoro", ha ribadito Sharma. "Bisogna aumentare gli Ndc (Nationally Determined Contribution, ndr), garantire il fondo per il clima da 100 miliardi di dollari ai Paesi in via di sviluppo e andare avanti col Rulebook dell’Accordo di Parigi".

Sulla stessa lunghezza d'onda è Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione europea, che ha invitato tutti i Paesi ad arrivare alla Cop26 di Glasgow con un piano per ridurre le emissioni di gas serra. "Non ci devono essere dubbi che stiamo lottando per la sopravvivenza della specie umana", ha aggiunto. "Dobbiamo cambiare velocemente e radicalmente ogni cosa perché ogni governo ha la sua responsabilità di non tenere le persone nella loro comfort zone". Coraggio. Questo fondamentalmente viene chiesto ai leader politici di tutto il mondo. Il tempo sta per scadere, e la Cop26 di Glasgow ha tutto il sapore di un'ultima chiamata.