Smaltimento dei rifiuti in Italia: tra inceneritori, termovalorizzatori e antichi dibattiti

Trenta milioni di tonnellate di rifiuti urbani prodotte ogni anno solo in Italia, 42 impianti di incenerimento e un dibattito aperto sulla necessità o meno di implementare questo sistema di smaltimento. I rifiuti, nel nostro Paese, sono sempre un tema delicato. E una vera risposta non è ancora stata data.
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Sara Del Dot 20 Novembre 2018

Gli inceneritori sono ormai un sistema obsoleto? Termovalorizzatori sì o termovalorizzatori no? Averne di più sul suolo italiano (in particolare nelle zone del Sud) impedirebbe alle ecomafie di intromettersi nei processi di smaltimento? La questione dei rifiuti è tornata più calda che mai grazie al Protocollo d’intesa sulla Terra dei Fuochi appena firmato a Caserta. Un documento dedicato a una migliore gestione e un controllo più pervasivo dei rifiuti in Campania, che ha scatenato il dibattito più generale riguardo l’utilizzo e la costruzione degli impianti di smaltimento dei rifiuti in tutta la penisola. Anche in politica sembra ci sia un po’ di confusione sulla comprensione di come gestire le 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani che i cittadini italiani producono ogni anno.

E come già saprai, il problema riguarda soprattutto alcuni tipi di questi. In particolare, i rifiuti ingombranti, come mobili, elettrodomestici o altri oggetti troppo voluminosi per essere gettati nel bidone di casa. Quelli elettronici, cioè i RAEE, come computer, smartphone e tutti quei dispositivi di cui ormai non riesci più a fare a meno. E infine quelli speciali prodotti dalle industrie e dalle fabbriche e che dovrebbero essere smaltiti solo da aziende autorizzate, così come stabilisce la normativa sulla gestione dei rifiuti.

In generale, lo smaltimento dei rifiuti avviene in modi diversi proprio in base alle loro caratteristiche. Portati in discarica, bruciati nei termovalorizzatori, appunto, o trattati negli impianti di compostaggio, ma anche avviati ad altri processo di riciclo, quando è possibile. Ma cerchiamo di capire insieme nel dettaglio di cosa stiamo parlando.

Tra inceneritori e termovalorizzatori

Gli inceneritori “classici”, ovvero utilizzati esclusivamente per bruciare i rifiuti, in Italia sono quasi tutti spenti. Si tratta di impianti di tipo industriale che eliminano i rifiuti attraverso processi di combustione, quindi semplicemente bruciando la materia, tramite temperature che vanno dagli 850 fino ai 1050 gradi.
Ne esistono di quattro tipi:

  • a griglie
  • a letto fluido
  • a forno rotativo
  • a focolare multi step

Ciò che di solito bruciano sono rifiuti solidi urbani, come imballaggi e altri materiali di plastica ad esempio quelli monouso, e rifiuti speciali non pericolosi. Il problema degli inceneritori, che è anche ciò che li rende ormai degli impianti obsoleti, è il fatto che la combustione dei rifiuti emette nell’atmosfera sostanze dannose come diossine, furani, policlorobifenili, pm10, ceneri e polveri. Oggi con il termine “inceneritore” vengono spesso indicati anche gli impianti di termovalorizzazione, dal momento che di inceneritori classici non ce ne sono praticamente più in attività, e questo non fa che creare ancora più confusione all’interno del dibattito pubblico.

Termovalorizzatori: sì o no?

Potremmo definire i termovalorizzatori degli inceneritori più evoluti, di seconda generazione. Infatti, oltre a bruciare rifiuti, recuperano il calore generato dalla combustione e lo trasformano in vapore, da cui poi sono in grado di ricavare energia elettrica e termica da utilizzare nelle case. Al momento, questi impianti si trovano al centro di un acceso dibattito: infatti, nonostante rappresentino la migliore alternativa ai precedenti impianti di incenerimento, ormai da tutti considerati obsoleti e, infatti, spenti, la paura che i termovalorizzatori possano essere fonte di ulteriori scorie nocive per la salute è alta. Sebbene infatti non inquinino e producano energia per la comunità, c’è chi teme di essere danneggiato da una mancata gestione di fumi e ceneri prodotti dalla loro attività. Tuttavia, è bene sottolineare che diversi termovalorizzatori sono dotati di quattro livelli di filtraggio per i fumi e sistemi molto avanzati di trattamento delle ceneri.

Ecco come funzionano i termovalorizzatori nello specifico: una volta avviata nell'impianto, la parte umida del rifiuto viene separata e destinata al compostaggio, mentre gli altri rifiuti (sempre urbani e speciali non pericolosi) vengono bruciati. Il calore derivato dalla loro combustione fa bollire l’acqua contenuta in una caldaia, e in questo modo viene generato del vapore, che mette in moto turbine e generatori che producono energia elettrica. La restante acqua calda viene destinata al teleriscaldamento. Diversi filtri depurano i gas emessi prima che vengano rilasciati nell’atmosfera e un filtro elettrostatico trattiene tutte le sostanze potenzialmente nocive e cancerogene.

In Italia, i termovalorizzatori attualmente si trovano quasi tutti al nord, e questo comporta il necessario spostamento dei rifiuti dal meridione fino agli impianti. Spostamento che comporta diversi costi (circa 150/200 euro a tonnellata per quanto riguarda il trasporto su strada) e che facilita di gran lunga le infiltrazioni mafiose all’interno dei meccanismi politici di smaltimento. I più efficienti presenti in Italia sono quello di Brescia, che smaltisce circa 800mila tonnellate di rifiuti l’anno) e quello di Acerra, in Campania, che smaltisce circa 600mila tonnellate di rifiuti l’anno, ma che non riesce da solo a stare dietro a tutta la produzione di rifiuti che avviene in quelle zone.

L'impatto sulla salute

Ma quali sono le conseguenze sulla salute di chi vive in prossimità di un impianto di incenerimento? Il progetto Moniter, promosso dalla Regione Emilia-Romagna e coordinato dall’Arpa, ha analizzato per 4 anni (dal 2007 al 2011) gli effetti degli inceneritori di rifiuti urbani presenti nella Regione. Ciò che è emerso, è che i livelli di tutte le sostanze inquinanti si attestano al di sotto dei limiti autorizzati. L’unica associazione avvenuta, è stata quella riguardante le nascite pretermine, la cui frequenza è sembrata aumentare con i livelli di esposizione. Con minor forza, sono risultati associabili l’aumento del numero di aborti spontanei con l’esposizione a inceneritore.

Situazione in Italia ed Europa

L’inceneritore di Copenhagen è dotato anche di una pista da sci

In Europa sono presenti 354 impianti di incenerimento in 18 nazioni. In molte città si trovano proprio in mezzo al centro storico, o comunque nelle immediate vicinanze, come ad esempio a Vienna, Zurigo e Copenhagen, quest’ultimo divenuto celebre perché ospita addirittura una pista da sci. La loro presenza consente di smaltire i rifiuti ma rifornisce anche le strutture vicine di energia e calore. In Italia gli impianti operativi sono 42. I principali si trovano a Brescia, Milano, Torino, Pavia, Modena, Granarolo dell’Emilia, San Vittore del Lazio e Acerra, ma ce ne sono anche in Trentino, Friuli, Veneto, Toscana, Umbria, Sardegna, Molise, Basilicata, Calabria e Puglia.

Il dibattito acceso all’interno della nostra classe politica non sembra comunque trovare una dimensione adeguata. C’è chi vorrebbe un impianto piccolo in ogni provincia, chi afferma che invece sia necessario puntare sulla dimensione, per una migliore gestione del rifiuto e dell’energia prodotta. Ma la radice del problema, forse, riguarda la gestione del rifiuto prima ancora che diventi rifiuto. Una politica di educazione al riciclo, all’avviamento dello scarto in processi di economia circolare, potrebbe senz’altro aiutare a ridurre la quantità di rifiuti da trasportare fino a un impianto di incenerimento, con conseguente dibattito sulla salute pubblica.

I vantaggi del riciclaggio

E l'educazione può davvero fare tanto. Riciclare i rifiuti ha tantissimi vantaggi per l'ambiente, ma anche per l'economia di un Paese. Innanzitutto, permette di ridurre l'estrazione delle risorse non rinnovabili, ovvero le fonti fossili contro il cui utilizzo gli ambientalisti protestano da sempre e i metalli. Ma anche le fonti rinnovabili, come legno e carta, verrebbero risparmiate. In atmosfera verrebbe emessa molta meno anidride carbonica, perché non dovrebbe essere prodotta o ottenuta nuova materia prima, ma semplicemente utilizzare quella che è già disponibile. Un discorso simile vale, infine, per l'acqua, consumata in ogni fase di un processo industriale e che potrebbe in questo modo non essere più necessaria in ingenti quantità.

Cos'è un impianto di compostaggio

Un impianto di compostaggio serve per trasformare i rifiuti umidi, intesi come quelli che selezioni in casa tua e quelli vegetali che vengono prodotti in agricoltura, in terriccio e concime. A livello industriale, il materiale da utilizzare viene depositato in grandi vasche rettangolari in cemento. Sul fondo di questo contenitore ci sono delle griglie, necessarie per il riciclo del percolato, che in poche parole è quel liquido che cola da questo tipo di scarti.

La decomposizione dei rifiuti si innesta grazie a specifici batteri, chiamati eterotrofi aerobi. Questi microorganismi, di fatto, si nutrono dei rifiuti e, attraverso i loro processi metabolici, provocano un innalzamento della temperatura all'interno della vasca. In questo modo i carboidrati, i lipidi e le proteine che appartengono agli scarti umidi diventano acqua, calore e, naturalmente, anche anidride carbonica. Alcuni bracci meccanici si occupano, nel frattempo, di mescolare e rivoltare il cumulo, in modo che il processo coinvolga l'intera quantità di rifiuti e che venga ripristinata la porosità, molto utile sia per il futuro terriccio che per il concime.

Piano piano, tutta l'acqua evaporerà, ed è per questo che puoi vedere delle nuvole di vapore che si innalzano dalle vasche. Quando il materiale sarà completamente asciutto e lavorato dai batteri, sarà pronto per essere riutilizzato in agricoltura.

(Modificato da Giulia Dallagiovanna il 25/07/2019)