Nella giornata di ieri è stato pubblicato il terzo volume del Sesto Rapporto dell'Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) sui cambiamenti climatici. Gli scienziati e i delegati dei governi, che periodicamente fanno il punto della situazione, hanno offerto un'ampia panoramica sulle prospettive di riscaldamento globale e sulle azioni da intraprendere per intervenire in maniera adeguata.
Il Rapporto è un mix di allarme e speranza. Agli scenari catastrofici che potrebbero derivare dall'inazione si unisce la consapevolezza che lo sviluppo impetuoso e sempre più economico delle rinnovabili potrà permetterci di ridurre moltissimo le emissioni nei prossimi anni. Addirittura del 43% da qui al 2030. Ovviamente, a patto di puntarci con decisione, e in parallelo a una contemporanea rivoluzione in settori quali efficienza energetica, edilizia e mobilità.
Per discutere dei punti più importanti nel Rapporto, approfondendo quello che ti abbiamo già raccontato ieri, abbiamo intervistato Stefano Caserini, docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano.
Prof.Caserini, quali sono i punti più significativi dell'ultima parte del Rapporto Ipcc?
I punti sono tanti, si parla di un Rapporto da più di 2.900 pagine. Il suo messaggio principale è che è possibile ridurre le emissioni. Va ricordato che l'Ipcc non fa studi propri, ma una sorta di riassunto dei lavori della comunità scientifica, valutando quanto già pubblicato e sottoposto a meccanismi di peer review. Non si tratta dunque di opinioni, ma di studi ritenuti validi, di qualità. Bene, in molti scenari presenti in questi studi si vede la possibilità di ridurre le emissioni in modo consistente. Permettendoci così di raggiungere gli obiettivi degli Accordi di Parigi. Ma il problema è che ora non stiamo andando in quella direzione, in termini di misure varate e di impegni presi. Al momento da qui a fine secolo il riscaldamento arriverebbe intorno ai 3 gradi. Nel Rapporto si spiega quali sono le misure aggiuntive che andrebbero prese subito, per evitare questa possibilità.
È più un Rapporto di allarme o di speranza?
L'allarme è inevitabile se si parla di cambiamenti climatici. E deriva anche dai primi due volumi del Rapporto, che parlavano della situazione climatica attuale e del suo impatto. Dalla lettura di questi due volumi ovviamente ci si allarma, così come se poi pensiamo che la situazione attuale possa ancora peggiorare in futuro. Il Rapporto dice che siamo in preoccupante ritardo, e che nonostante da trent'anni sappiamo che il tema del cambiamento climatico è una cosa seria, le azioni politiche sono state troppo timide. Per raggiungere obiettivi ambiziosi, se una volta potevamo limitarci a riduzioni soft, ora bisogna cambiare in modo radicale. Serve una trasformazione di sistema, dice l'Ipcc. Ci sono dunque elementi di preoccupazione, ma è importante anche capire che l'aumento del riscaldamento globale può essere arrestato.
E in questo scenario, un Paese come l'Italia in che modo dovrebbe agire?
Sottolineo che l'Ipcc non dice quello che si deve fare, non è prescrittivo. Parla però delle opzioni che abbiamo per rimanere sotto gli 1,5 gradi, o sotto i 2 gradi. Il quadro che emerge è pensato a livello globale, con poi indicazioni regionali. Ciò che vale a livello generale, ma anche per l'Europa, è che sole e vento giocheranno un ruolo chiave nella mitigazione da qui al 2030. C'è un potenziale importante di riduzione di miliardi di tonnellate di CO2 all'anno sfruttando eolico e solare, che hanno inoltre anche prezzi più bassi del nucleare. Per un Paese come l'Italia che il nucleare non ce l'ha, si capisce ad esempio che investirci non ha molto senso. Eolico onshore, eolico offshore e solare hanno invece ridotto il loro costo in maniera enorme negli ultimi anni.
Saranno loro a permetterci di invertire la rotta?
Si vede bene che nel corso degli ultimi anni le rinnovabili sono diventate competitive con le energie fossili. C'è poi un altro aspetto importante nel Rapporto: si dice che le tecnologie ‘granulari', quelle di piccola scala, sono più espandibili di quelle su grande scala. È semplice svilupparle in maniera distribuita sul territorio per via della loro velocità di espansione. L'aumento della loro potenza si ottiene in maniera più rapida rispetto a quegli impianti che richiedono tanti componenti e singoli investimenti ingenti. Il fotovoltaico ad esempio è quindi più espandibile del nucleare, e questo va tenuto in considerazione.
Serve dunque investire maggiormente su queste fonti?
Sbloccare i progetti sulle rinnovabili è fondamentale, sia per motivi climatici che per le conseguenze di anni di pandemia e guerra. Adesso, a maggior ragione, questa emergenza ci chiede ancora di più di staccarci dal gas, e di farlo il più velocemente possibile. Del resto lo dicono anche i Ministri ormai…