Storia del caffè: le leggende, le avventure e i dibattiti animati dal vino d’Arabia

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Prima di arrivare alla tazzina d’espresso che bevi tutti i giorni, il caffè ha dovuto percorrere migliaia di chilometri. E ancora non si sa con precisione da dove sia partito. Quel che è certo è che divenne un rito così diffuso che un marinaio francese fece la sua fortuna rubandone una piantina e dando il via alla coltivazione in America.
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Giulia Dallagiovanna 11 Novembre 2018

Se ti piace il caffè, lo bevi al mattino o dopo i pasti. Per tè è quell'infuso caldo e amaro che ti aiuta a rimanere sveglio. Ma durante la sua storia, il cosiddetto vino d'Arabia è stato "la bevanda del diavolo", animava le contestazioni politiche ed è diventato il bottino di celebri furti. Nei Paesi musulmani veniva usato durante le veglie di preghiera, ma era vietato alle donne. Ancora oggi, porta con sé significati mistici, tanto che alcuni credono di poter leggere il futuro nel fondo di una tazzina. Tante connotazioni per un'origine ancora incerta: nessuno può dire con sicurezza dove sia stata trovata la prima pianta di caffè. Quel che è certo è che c'è una ragione se ancora nel 2018 rimane un vero e proprio rito, prima ancora che un'abitudine.

Un'origine leggendaria

Gli archeologi sostengono che già dal 900 si bevesse caffè, ma chi sia stato il primo ad assaggiarlo non è dato sapere. Una leggenda narra di un pastore etiope, Kaldi, che mischiava alcune bacche rosse al mangime per le capre. Dopo un po' si accorse che gli animali diventavano più attivi del solito e iniziò anche lui a nutrirsi con quei frutti, scoprendo che da essi poteva trarre molta energia.

Le bacche erano proprio quelle prodotte dalla pianta di Coffea, originaria dell'antica provincia di Kaffa, in Etiopia. Sembra che a partire da quel momento, l'usanza di bere questa bevanda dagli effetti rinvigorenti si diffuse pian piano nei Paesi limitrofi, fino a raggiungere lo Yemen. In realtà, probabilmente, furono i soldati etiopi a diffondere l'usanza durante le loro campagne militari. In ogni caso, è il XV secolo a vedere la nascita delle prime caffetterie.

In Medio Oriente la Coffea aveva trovato terreno fertile e la coltivazione aveva subito preso piede. Ora si chiamava K'hawah, cioè "energizzante", e veniva bevuto in tutta l'Arabia. I monaci Sufi lo usavano per rimanere svegli durante la preghiera notturna, mentre gli uomini lo avevano eletto sostituto del vino, che la religione musulmana vieta tutt'oggi. È esattamente per questa ragione che il caffè si chiama anche "vino d'Arabia".

La bevanda del diavolo

L'Impero ottomano, che si estendeva fino ai confini con le terre asburgiche, portò il caffè alle porte di Vienna e da lì entrò in Europa. Nel XVII secolo gli speziali veneziani vendevano le bacche di Coffea arabica a prezzi altissimi, ritenendo che fosse un ottimo medicamento. Ma la speculazione non durò molto, perché la quantità importata aumentava sempre di più e in tutto il continente iniziarono a fiorire le botteghe del caffè.

Il primo spaccio italiano nacque a Venezia attorno al 1615, ma l'anno più importante è sicuramente il 1720 quando piazza San Marco vedeva aprire i battenti del famosissimo caffè Florian. Nel frattempo, a Parigi e Londra i nobili e i ricchi borghesi potevano scegliere fra oltre 300 locali dove gustare la nuova bevanda.

Un antico macinino per tritare i chicchi di caffè

Un successo rapido e senza precedenti, che destò la preoccupazione addirittura della Chiesa cattolica. In realtà, il caffè portava con sé non pochi pregiudizi sul suo conto già dal momento in cui aveva varcato i confini europei. Secondo i musulmani, infatti, aveva poteri afrodisiaci, tanto che dopo averlo bevuto il profeta Maometto sarebbe stato in grado di sconfiggere da solo 40 cavalieri e soddisfare altrettante donne. E proprio per questa ragione, nei Paesi arabi solo gli uomini potevano gustare il caffè. La leggenda arrivò alle orecchie di alcuni teologi che iniziarono a etichettare l'infuso come "la bevanda del diavolo". Così il papa Clemente VIII decise infine di assaggiarlo. Gli piacque molto. Da quel momento, fu ribattezzato una "bevanda cristiana".

Ma il benestare del Pontefice non servì a calmare del tutto gli animi. Chi beveva il caffè veniva considerato una sorta di bohémien, dedito a una vita di vizi. Johann Sebastian Bach addirittura un testo per una cantata che raccontava di un padre angosciato perché la figlia aveva una passione incurabile per il vino d'Arabia.

L'anima dei dibattiti

I caffè, nel senso di locali dove ci si ritrovava a sorseggiare la bevanda che veniva dall'Oriente, si diffusero in Europa a macchia d'olio. Inizialmente, semplici luoghi di divertimento e svago, divennero presto sedi di dibattiti politici e filosofici. La caffeina infiammava gli animi e teneva gli uomini svegli fino a tarda notte. Le autorità erano così preoccupate da questi ritrovi che a fine ‘600 il procuratore di Londra minacciò di far chiudere tutte le coffee house, definendole dei covi di insurrezionalisti.

Ma i caffè erano soprattutto circoli di intellettuali. Il primo fu aperto da un italiano, Francesco Procopio, a Parigi nel 1686: il Cafè Le Procope fu un modello per tutti quelli che vennero dopo. L'infuso divenne così strettamente associato al dibattito, che un gruppo di illuministi italiani fondò una rivista e la chiamò proprio Il caffè.

Un gruppo di persone sedute a bere caffè in un’illustrazione del XVIII secolo

Gli Arsenio Lupin del caffè

Piano piano gli europei iniziarono a chiedersi come fare per sottrarre il monopolio di un prodotto così di successo al Medio Oriente. E la risposta fu, semplicemente, rubandolo. L'impresa riuscì a un olandese che nel 1690 s'impossessò di qualche piantina e le portò in alcuni possedimenti dei Paesi Bassi, quelli che oggi sono lo Sri Lanka e l'Indonesia. Lì, l'Olanda diffuse la coltivazione e poi, tramite la Compagnia delle Indie Orientali, divenne il punto di riferimento sul mercato europeo.

Ma non fu il furto più celebre legato alla pianta tanto preziosa. Nel 1714 il sindaco di Amsterdam volle omaggiare il re francese Luigi XIV con due alberi, destinati alle serre di Versailles. Gabriel Mathieu de Clieu, un ufficiale di marina, fiutò l'occasione e mise a segno un colpo da professionista. Rubò un arbusto e creò una piccola serra portatile in vetro. Poi salpò dalla Francia nascondendo il carico. Riuscì a proteggerlo da mille ostacoli: un passeggero che voleva impossessarsene, un assalto dei pirati tunisini, una violenta tempesta e un lungo periodo senza vento che fermò il viaggio della nave. Raccontò successivamente di aver dovuto dividere le poche scorte d'acqua proprio con la piantina.

Due anni dopo raggiunse la Martinica francese e piantò l'arbusto. Nel giro di una cinquantina d'anni, le sue coltivazioni potevano soddisfare tutta la richiesta europea. Il caffè iniziò a crescere anche in Giamaica, Portorico, Cuba e nei Caraibi.

Il caffè in Italia

I maggiori consumatori sono gli Americani, lo Stato che ne produce di più è il Brasile. Ma è stata l'Italia ad aver dettato le regole sul modo di berlo. A partire dal Settecento a Napoli inventarono un modo diverso per prepararlo: invece che far sciogliere nell'acqua la polvere dei chicchi macinati, come facevano gli Arabi, decisero di lasciar filtrare l'acqua bollente dall'alto, in modo che passasse attraverso il caffè liberandone l'aroma. È la cosiddetta cottura napoletana.

Nel 1902 invece l'ingegnere Luigi Bezzera a Milano inventò una macchina fondamentale, che sfruttava l'alta pressione per ottenere una tazzina di infuso: il caffè espresso. Una trentina d'anni dopo, l'imprenditore Alfonso Bialetti, metteva a punto uno strumento per portare l'espresso in tutte le case, la moka.

Fonti | Focus; Caffè sul web