Trivelle: cosa sono, a cosa servono e perché scatenano così tanto dibattito?

Si torna a parlare di trivelle, e le associazioni ambientaliste sono sempre più sul piede di guerra. Ma cosa sono e come funzionano le concessioni per estrarre idrocarburi dai nostri mari?
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Sara Del Dot 9 Gennaio 2019

Ultimamente si parla spesso di trivelle, riguardo la tutela dell'ambiente ma anche soprattutto nel dibattito politico. Le vediamo da alcune spiagge, o nelle foto dei giornali, quelle strane strutture che fluttuano sopra la superficie del mare, mentre sotto sono saldamente ancorate al fondale. Nell’aprile del 2016 c’è stato un referendum abrogativo che le riguardava, anche se in pochi hanno davvero compreso il suo significato, e infatti il quorum non era stato raggiunto (circa il 31% della popolazione è andato a votare). Il voto non riguardava le trivelle in sé, ma se eliminare la norma che consentiva alle imprese che avevano la concessione entro 12 miglia dalla costa di continuare a estrarre materia fino al suo esaurimento.

In questi giorni il tema trivelle è tornato in auge, a causa di un dibattito, sempre relativo alle concessioni, che ha scatenato forti critiche nei confronti del nuovo Governo, la cui parte pentastellata si è sempre espressa in modo contrario agli impianti di perforazione, rendendoli uno dei cavalli di battaglia della propria campagna elettorale.

Non sai cosa sono le trivelle, a cosa servono e come funziona il sistema delle concessioni in Italia? Rinfreschiamoci un po’ la memoria.

Cosa sono le trivelle in mare

A livello tecnico, la trivella (o, più correttamente, impianto di perforazione) è uno strumento che serve a perforare (“trivellare”, appunto) un suolo o un materiale solido tramite l’uso di una punta rotante di varie forme, per creare un pozzo da cui poi estrarre le materie prime. Le perforazioni possono essere di poche centinaia di metri fino ad arrivare a 7-8 chilometri. Le trivelle vengono quindi usate per creare il pozzo attraverso cui verranno estratti dal suolo idrocarburi come gas metano e petrolio. Possono essere installate sulla terraferma o in mare (chiamate in questo caso off-shore), integrate a piattaforme fisse o galleggianti ancorate al fondale. In Italia, gli impianti di estrazione sono caratterizzati quasi tutti da strutture fisse appoggiate al fondale, e non galleggianti, che sono invece molto pericolose. Sono dotate di una torre di perforazione che può superare i 60 metri di altezza, alla cui base sono posizionate le aste di perforazione.

Rischi ambientali dell’uso di trivelle in mare

Sicuramente l’uso dei combustibili fossili, in particolare del petrolio, come fonte di energia è ormai considerata da molti una tecnica obsoleta, soprattutto se l’obiettivo è quello di mantenere l’aumento di temperatura globale entro 1,5 gradi. Il loro abbandono è percepito come necessario, proprio a causa del sovrasfruttamento del suolo di cui la loro estrazione si rende portatrice. Non a caso, la nuova Strategia Energetica Nazionale prevede un’Italia libera dal carbone entro il 2025, che rivolga una sempre maggiore attenzione alle rinnovabili.

Ormai da anni Greenpeace e altre associazioni ambientaliste denunciano il fatto che gli interessi economici nell’ambito di opere come queste superano di gran lunga quelli ambientali, segnalando, in particolare nel rapporto Trivelle Fuorilegge pubblicato nel 2016, il fatto che attorno agli insediamenti marittimi è spesso presente un livello di inquinamento superiore a quello previsto dalle normative. A livello ambientale, ciò che maggiormente viene contestato alla presenza e all’utilizzo di questi impianti di estrazione è il dissesto idrogeologico che potrebbero provocare tramite il perforamento di suoli e fondali marini e il rischio di rilasciare nel mare sostanze chimiche pericolose.

Dall’altro lato, chi le sostiene afferma che la produzione a km zero di petrolio e metano è molto più vantaggiosa a livello ambientale rispetto allo spostamento degli impianti in luoghi più lontani, che aumenterebbe le emissioni e obbligherebbe alla costruzione di gasdotti (come ad esempio il Tap) per sopperire al fabbisogno di idrocarburi.

Legge italiana e concessioni

L’85% del petrolio italiano viene prodotto a terra. Per quanto riguarda gli impianti offshore, in Italia attualmente ne sono presenti circa 130, impegnati in attività di estrazione, principalmente di gas metano, di cui il 10% del fabbisogno nazionale è di produzione italiana.

I permessi vengono dati dal Ministero dello Sviluppo Economico alle compagnie che eseguono estrazioni offshore e durano 30 anni. Alla fine del periodo si può ottenere una proroga per altri 10 anni e successivamente il rinnovo viene ripetuto a intervalli di cinque anni.

Per le attività in mare, la società petrolifera che sta eseguendo le estrazioni deve versare allo Stato il 7% del valore del petrolio e il 10% di quello del gas. Il resto può essere portato via e venduto altrove. Dal 2006, con il decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152. le estrazioni sono vietate entro le 12 miglia nautiche, ovvero 12 miglia di distanza dalla costa, fatta eccezione per le autorizzazioni già concesse, estese fino a che il giacimento non sarà esaurito (dopo il referendum è infatti rimasta in vigore la legge che concedeva questa possibilità).

Cosa sta succedendo adesso in Italia

Alla fine del 2018, l’argomento trivelle è tornato in auge in modo prepotente. In poche parole, è accaduto che alcuni ambientalisti, prima fra tutti l’associazione No Triv, hanno accusato il governo gialloverde, dichiaratamente contrario alle estrazioni di idrocarburi, di aver autorizzato nuove concessioni nei mari in prossimità di Puglia, Calabria, Basilicata e sulle coste del Ravennate.

In pratica, su un documento pubblicato a inizio anno, il Bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse, sono state pubblicate alcune autorizzazioni per esplorazione in cerca di giacimenti di idrocarburi nel Mar Ionio e la coltivazione di una concessione nei pressi di Ravenna. Il Mise avrebbe quindi dato il via libera alla società americana Global Med per le ricerche in mare di giacimenti di idrocarburi in tre punti del mar Ionio. Global Med è una società del Colorado che si occupa di cercare giacimenti in tutto il mondo per poi venderli a chi può e vuole investirci. Per quanto riguarda il giacimento sulla costa adriatica, in provincia di Ravenna, è stato accordato l’avvio del progetto di estrazione alla compagnia Gas Plus in associazione con la statunitense Aleanna. Le colpe sono ricadute tutte su Luigi Di Maio, dal momento che è il Mise a dare e prorogare le concessioni, anche e soprattutto perché il contrasto alle trivellazioni è stato punto centrale della campagna elettorale del Movimento.

Addirittura il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, ha dichiarato che impugnerà i decreti e procederà per via giudiziaria. Di Maio e il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa si sono difesi riconducendo quelle concessioni a decreti del precedente governo per cui il loro non avrebbe comunque potuto fare niente per fermarle. Anzi, hanno sottolineato la propria intenzione di emanare leggi più stringenti per l’eliminazione delle trivelle dai mari italiani.

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