Usa, la Corte Suprema a gamba tesa sulle politiche climatiche: no a limiti sulle emissioni delle centrali a carbone

La Corte Suprema Usa all’attacco delle politiche di contrasto al riscaldamento globale. Secondo i giudici, l’Agenzia statunitense per la Protezione Ambientale non potrà imporre limiti alle emissioni di gas serra da parte delle centrali elettriche a carbone. “Una battuta d’arresto importante”, commenta l’Onu, mentre esultano gli Stati e le aziende attive nel business di una delle fonti fossili più inquinanti.
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Michele Mastandrea 1 Luglio 2022

Una brutto stop nella marcia globale per la riduzione delle emissioni di gas serra. La Corte Suprema degli Stati Uniti è tornata a far parlare di sé, e anche questa volta, come avvenuto sul tema del diritto all'aborto, la decisione è molto discutibile.

La Corte ha infatti accolto il ricorso presentato da alcuni Stati grandi produttori di carbone, come il West Virginia, insieme ad alcune grandi aziende del settore. I giudici hanno così stabilito che l'Epa, l'Agenzia per la protezione ambientale americana, non può fissare limiti alle emissioni delle centrali elettriche alimentate a carbone. A decidere in materia può essere unicamente il Congresso, ovvero il Parlamento americano.

Un grave passo indietro

Si tratta, come puoi immaginare, di un serio passo indietro sulla strada della neutralità climatica, dato l'enorme impatto del carbone sul riscaldamento globale. Il governo guidato da Joe Biden puntava proprio sul ruolo dell'Agenzia federale per fissare obiettivi vincolanti sulle emissioni. Ora dovrà rivedere la propria strategia per regolare le emissioni del settore più inquinante nel Paese dopo i trasporti.

Le centrali elettriche a carbone producono circa il 20% dell'energia consumata negli Usa. Uno stop alle loro attività inquinanti avrebbe fornito un ulteriore incentivo allo sviluppo delle energie rinnovabili nel Paese. Gli Usa sono attualmente il secondo Stato al mondo per emissioni totali di gas serra, preceduti solo dalla Cina.

Reazioni contrapposte

Il ministro della Salute americano, Xavier Becerra, ha dichiarato che la decisione potrebbe costituire "un disastro per la sanità pubblica", mentre la Speaker della Camera, Nancy Pelosi, ha definiti i giudici "pro-inquinamento". Non è mancata la voce dell'ex presidente statunitense Barack Obama, per cui la sentenza della Corte è "un grave passo indietro".

Duro anche il commento dell'Onu, per cui la decisione "è una battuta d'arresto nella nostra lotta contro il cambiamento climatico, in un momento in cui siamo già molto fuori strada nel raggiungere gli obiettivi dell'Accordo di Parigi", come affermato dal portavoce del segretario generale Stephane Dujarric.

Sull'altro fronte, il governatore del Texas Gregg Abbott, molto vicino alle grandi aziende del settore minerario, ha parlato di "grande successo per gli americani preoccupati dei costi energetici alle stelle". Difficile comprendere come di fronte all'aumento delle temperature e agli eventi climatici estremi di questi anni si possa avere uno sguardo così miope e centrato solo sul costo delle bollette.

Bollette che si potrebbero ridurre molto più efficacemente smantellando definitivamente ogni restrizione alle rinnovabili, oltre che investendo nel risparmio energetico degli edifici. Probabilmente però, qualcuno ci guadagnerebbe molto meno: in particolare la lobby dei combustibili fossili, di cui la Corte Suprema Usa si è fatta purtroppo portavoce. Preferendo forse che il costo ambientale di un business ormai insostenibile sia scaricato sulla salute delle persone.