Vite in versi: cinque grandi poeti che non puoi fare a meno di conoscere

Poeti e poetesse che hanno saputo trasformare in parole ciò che avevano dentro, regalando all’umanità opere d’arte che resteranno sempre nel cuore di chi le legge. Nella Giornata mondiale della Poesia, ecco alcuni autori che hanno lasciato il segno nel panorama artistico del mondo intero.
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Sara Del Dot 21 Marzo 2019

La poesia, purtroppo, non fa più parte della vita degli uomini come una volta. Certo, l’abbiamo studiata a scuola, e molti di noi nel corso della vita si sono anche cimentati nella stesura di versi, da tenere per sè chiusi in un cassetto oppure per esprimere i propri sentimenti a una persona in quel momento speciale. Scrivere e leggere poesie, è però un’abitudine che si è persa, rimasta a disposizione solo per veri appassionati. Scommetto infatti che, se ti trovi in libreria, a un volume di poesie preferisci un romanzo, e una volta tornato a casa dopo il lavoro la voglia di sederti ancora a una scrivania per trasformare in versi i tuoi pensieri non supera di certo quella di goderti una puntata della tua serie preferita su Netflix. Eppure se trovassi il tempo, una volta ogni tanto, di sfogliare qualche pagina e lasciarti trasportare dalla metrica, credo ne rimarresti piacevolmente coinvolto.

Ritrovare il tempo di assaporare uno scritto in cui ogni parola è pensata sapientemente e viene incastonata tra le altre secondo uno schema mai casuale, in cui tanti concetti si sovrappongono trascinandoti nelle emozioni più pure che possano scaturire dall’animo umano, potrebbe farti venire la voglia di ritagliare la tua dimensione su carta, di buttare fuori le parole che non riesci a esprimere, di regalare un po’ del tuo cuore a qualcuno di speciale. Se ormai da troppo tempo l’unica cosa che leggi sono i documenti al computer e le bollette della luce, e la sola cosa che scrivi sono rapidi whatsapp ed email di lavoro, forse non sapresti neanche dove sbattere la testa per ri-approcciarti a questa arcaica, romantica disciplina.

Oggi, in occasione della Giornata mondiale della Poesia, ti aiuterò a trovare confidenza con cinque grandi poeti che hanno segnato la storia della poesia, regalando al mondo versi impossibili da replicare, che hanno saputo trasmettere tutta la bellezza e la fragilità dell’essere umano.

Fernando Pessoa

(Lisbona, 13 giugno 1888 – 30 novembre 1935)

Nato a Lisbona, cresce e studia in Sudafrica, dove inizia a scrivere in versi e prosa, fino all’iscrizione al corso di Filosofia dell’Università di Lettere della sua città natale, dove prosegue la sua attività letteraria. Lavora come giornalista, nella pubblicità, nel commercio, assorbe diverse influenze letterarie e inizia a fare uso di diversi eteronimi attraverso i quali riesce a esprimere in letteratura i vari aspetti della propria personalità. Poco considerata mentre era in vita, l’opera di Pessoa è stata molto apprezzata dopo la sua morte, oltre a essere stata imitata e presa a modello da tantissimi altri autori a lui successivi.

Ode alla notte

Vieni, Notte antichissima e identica,
Notte Regina nata detronizzata,
Notte internamente uguale al silenzio,
Notte con le stelle, lustrini rapidi
sul tuo vestito frangiato di Infinito.

Vieni vagamente,
vieni lievemente,
vieni sola, solenne, con le mani cadute
lungo i fianchi, vieni
e porta i lontani monti a ridosso degli alberi vicini,
fondi in un campo tuo tutti i campi che vedo,
fai della montagna un solo blocco del tuo corpo,
cancella in essa tutte le differenze che vedo da lontano di giorno,
tutte le strade che la salgono,
tutti i vari alberi che la fanno verde scuro in lontananza,

tutte le case bianche che fumano fra gli alberi
e lascia solo una luce, un'altra luce e un'altra ancora,
nella distanza imprecisa e vagamente perturbatrice,
nella distanza subitamente impossibile da percorrere.

Nostra Signora
delle cose impossibili che cerchiamo invano,
dei sogni che ci visitano al crepuscolo, alla finestra,
dei propositi che ci accarezzano
sulle ampie terrazze degli alberghi cosmopoliti sul mare,
al suono europeo delle musiche e delle voci lontane e vicine,
e che ci dolgono perché sappiamo che mai li realizzeremo.

Vieni e cullaci,
vieni e consolaci,
baciaci silenziosamente sulla fronte,
cosi lievemente sulla fronte che non ci accorgiamo d'essere baciati
se non per una differenza nell'anima
e un vago singulto che parte misericordiosamente
dall'antichissimo di noi
laddove hanno radici quegli alberi di meraviglia
i cui frutti sono i sogni che culliamo e amiamo,
perché li sappiamo senza relazione con ciò che ci può
essere nella vita.

Vieni solennissima,
solennissima e colma
di una nascosta voglia di singhiozzare,
forse perché grande è l'anima e piccola è la vita,
e non tutti i gesti possono uscire dal nostro corpo,
e arriviamo solo fin dove arriva il nostro braccio
e vediamo solo fin dove vede il nostro sguardo.

Vieni, dolorosa,
Mater Dolorosa delle Angosce dei Timidi,
Turris Eburnea delle Tristezze dei Disprezzati,
fresca mano sulla fronte febbricitante degli Umili,
sapore d'acqua di fonte sulle labbra riarse degli Stanchi.

Vieni, dal fondo
dell'orizzonte livido,
vieni e strappami
dal suolo dell'angustia in cui io vegeto,
dal suolo di inquietudine e vita-di-troppo e false sensazioni
dal quale naturalmente sono spuntato.

Coglimi dal mio suolo, margherita trascurata,
e fra erbe alte margherita ombreggiata,
petalo per petalo leggi in me non so quale destino
e sfogliami per il tuo piacere,
per il tuo piacere silenzioso e fresco.

Un petalo di me lancialo verso il Nord,
dove sorgono le città di oggi il cui rumore ho amato come un corpo.
Un altro petalo di me lancialo verso il Sud
dove sono i mari e le avventure che si sognano.

Un altro petalo verso Occidente,
dove brucia incandescente tutto ciò che forse è il futuro,
e ci sono rumori di grandi macchine e grandi deserti rocciosi
dove le anime inselvatichiscono e la morale non arriva.

E l'altro, gli altri, tutti gli altri petali
– oh occulto rintocco di campane a martello nella mia anima! –
affidali all'Oriente,
l'Oriente da cui viene tutto, il giorno e la fede,
l'Oriente pomposo e fanatico e caldo,
l'Oriente eccessivo che io non vedrò mai,
l'Oriente buddhista, bramanico, scintoista,
l'Oriente che è tutto quanto noi non abbiamo,
tutto quanto noi non siamo,
l'Oriente dove – chissà – forse ancor oggi vive Cristo,
dove forse Dio esiste corporalmente imperando su tutto…

Vieni sopra i mari,
sopra i mari maggiori,
sopra il mare dagli orizzonti incerti,
vieni e passa la mano sul suo dorso ferino,
e calmalo misteriosamente,
o domatrice ipnotica delle cose brulicanti!

Vieni, premurosa,
vieni, materna,
in punta di piedi, infermiera antichissima che ti sedesti
al capezzale degli dei delle fedi ormai perdute,
e che vedesti nascere Geova e Giove,
e sorridesti perché per te tutto è falso, salvo la tenebra e il silenzio,
e il grande Spazio Misterioso al di la di essi… Vieni, Notte silenziosa ed estatica,
avvolgi nel tuo mantello leggero
il mio cuore… Serenamente, come una brezza nella sera lenta,
tranquillamente, come un gesto materno che rassicura,
con le stelle che brillano (o Travestita dell'Oltre!),
polvere di oro sui tuoi capelli neri,
e la luna calante, maschera misteriosa sul tuo volto.

Tutti i suoni suonano in un altro modo quando tu giungi
Quando tu entri ogni voce si abbassa
Nessuno ti vede entrare
Nessuno si accorge di quando sei entrata,
se non all'improvviso, nel vedere che tutto si raccoglie,
che tutto perde i contorni e i colori,
e che nel cielo alto, ancora chiaramente azzurro e bianco all'orizzonte,
già falce nitida, o circolo giallastro, o mero diffuso biancore, la luna comincia il suo giorno.

Wislawa Szymborska

(2 luglio 1923 – 1 febbraio 2012)

Nata e cresciuta in Polonia, nel periodo dello scoppio della seconda guerra mondiale, riesce a studiare, a diplomarsi in clandestinità, evita la deportazione e superare la guerra, avendo nel frattempo iniziato a lavorare come illustratrice e successivamente avviando una carriera poetica importante. Nel 1996 riceve il premio Nobel per la letteratura, “per una poesia che, con ironica precisione, permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti d'umana realtà”. Questo perché le opere di Wislawa sono intrise di quell’amara ironia con cui l’artista ha affrontato il tempo e la società in cui viveva, toccando in particolare tutte le piccole cose che compongono la quotidianità delle persone ma ampliando anche il senso dei propri scritti a tematiche e concetti universali.

Amore a prima vista

Sono entrambi convinti
che un sentimento improvviso li unì.
È bella una tale certezza
ma l’incertezza è più bella.

Non conoscendosi, credono
che non sia mai successo nulla fra loro.
Ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi
dove da molto tempo potevano incrociarsi?

Vorrei chiedere loro
se non ricordano –
una volta un faccia a faccia
in qualche porta girevole?
uno « scusi » nella ressa?
un « ha sbagliato numero » nella cornetta?
– ma conosco la risposta.
No, non ricordano.

Li stupirebbe molto sapere
che già da parecchio tempo
il caso giocava con loro.

Non ancora pronto del tutto
a mutarsi per loro in destino,
li avvicinava, li allontanava,
tagliava loro la strada
e soffocando una risata
con un salto si scansava.

Vi furono segni, segnali,
che importa se indecifrabili.
Forse tre anni fa
o lo scorso martedì
una fogliolina volò via
da una spalla a un’altra?
Qualcosa fu perduto e qualcosa raccolto.
Chissà, forse già la palla
tra i cespugli dell’infanzia?

Vi furono maniglie e campanelli
su cui anzitempo
un tocco si posava su un tocco.
Valigie accostate nel deposito bagagli.
Una notte, forse, lo stesso sogno,
subito confuso al risveglio.

Ogni inizio infatti
è solo un seguito
e il libro degli eventi
è sempre aperto a metà.

Pablo Neruda

(Parral, 12 luglio 1904 – Santiago del Cile 23 settembre 1973)

Pablo Neruda, pseudonimo di Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto, si avvicina alla letteratura sin da bambino, tant’è che pubblica il suo primo libro appena diciannovenne. Nel corso della sua vita, oltre a scrivere, ricopre anche alcuni ruoli diplomatici e politici come console e senatore, iscrivendosi anche al Partito comunista. Nel 1971 riceve il Nobel per la letteratura. Neruda è stato uno dei punti di riferimento della letteratura latino-americana.

È come una marea

È come una marea, quando lei fissa su me
i suoi occhi neri,

quando sento il suo corpo di creta bianca e mobile
tendersi a palpitare presso il mio,
è come una marea, quando lei è al mio fianco.

Disteso davanti ai mari del Sud ho visto
arrotolarsi le acque ed espandersi
incontenibilmente
fatalmente

nelle mattine e nei tramonti.

Acqua delle risacche sulle vecchie orme,
sulle vecchie tracce, sulle vecchie cose,
acqua delle risacche che dalle stelle
s'apre come una rosa immensa,
acqua che va avanzando sulle spiagge come
una mano ardita sotto una veste,
acqua che s'inoltra in mezzo alle scogliere,
acqua che s'infrange sulle rocce,
e come gli assassini silenziosa,
acqua implacabile come i vendicatori
acqua delle notti sinistre
sotto i moli come una vena spezzata,
o come il cuore del mare
in una irradiazione tremante e mostruosa.

E' qualcosa che dentro mi trasporta e mi cresce
immensamente vicino, quando lei è al mio fianco,
è come una marea che s'infrange nei suoi occhi
e che bacia la sua bocca, i suoi seni, le mani.

Tenerezza di dolore e dolore d'impossibile,
ala dei terribili
che si muove nella notte della mia carne e della sua
come un'acuminata forza di frecce nel cielo.

Qualcosa d'immensa fuga,
che non se ne va, che graffia dentro,
qualcosa che nelle parole scava pozzi tremendi,
qualcosa che, contro tutto s'infrange, contro tutto,
come i prigionieri contro le celle!

Lei, scolpita nel cuore della notte,
dall'inquietudine dei miei occhi allucinati:
lei, incisa nei legni del bosco
dai coltelli delle mie mani,
lei, il suo piacere unito al mio,
lei, gli occhi suoi neri,
lei, il suo cuore, farfalla insanguinata
che con le due antenne d'istinto m'ha toccato!

Non sta in questo stretto altopiano della mia vita!
E' come un vento scatenato!

Se le mie parole trapassano appena come aghi
dovrebbero straziare come spade o come aratri!

E' come una marea che mi trascina e mi piega,
è come una marea, quando lei è al mio fianco!

Alda Merini

(Milano, 21 marzo 1931 – Milano, 1 novembre 2009)

Alda Giuseppina Angela Merini nasce a Milano ed esordisce nella letteratura ancora giovanissima, appena 15enne. Malinconica, incompresa, come lei si descrive, concentra la sua giovinezza soprattutto sugli studi e sul pianoforte, strumento da lei molto amato. La sua vita e carriera letteraria sono costellate di successi, premi e da periodi trascorsi in manicomi e istituti psichiatrici a causa delle “tenebre della sua mente” che le portano una diagnosi di disturbo bipolare e diverse fragilità emotive e psicologiche. Morirà a Milano a causa di un tumore osseo, lasciando al mondo opere e versi di straordinaria intensità.

La Terra Santa

Ho conosciuto Gerico,
ho avuto anch'io la mia Palestina,
le mura del manicomio
erano le mura di Gerico
e una pozza di acqua infettata
ci ha battezzati tutti.

Lì dentro eravamo ebrei
e i Farisei erano in alto
e c'era anche il Messia
confuso dentro la folla:
un pazzo che urlava al Cielo
tutto il suo amore in Dio.

Noi tutti, branco di asceti
eravamo come gli uccelli
e ogni tanto una rete
oscura ci imprigionava
ma andavamo verso la messe,
la messe di nostro Signore
e Cristo il Salvatore.

Fummo lavati e sepolti,
odoravamo di incenso.
E dopo, quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno.

Ma un giorno da dentro l'avello
anch'io mi sono ridestata
e anch'io come Gesù
ho avuto la mia resurrezione,
ma non sono salita ai cieli
sono discesa all'inferno
da dove riguardo stupita
le mura di Gerico antica.

Charles Baudelaire

(Parigi, 9 aprile 1821 – Parigi, 31 agosto 1867)

È stato uno dei poeti più importanti del 1800, esponente del simbolismo, precursore del decadentismo e conosciuto e letto tuttora in tutto il mondo. La sua vita di “poeta maledetto” è attraversata da una costante infelicità e disagio di vivere, che affondano le radici nella giovinezza del poeta, scontratosi sin da piccolo con freddezza e indifferenza da parte della madre di cui richiedeva attenzioni e ostilità da parte del patrigno, che a un certo punto lo obbligherà a imbarcarsi per le Indie dove Charles incontrerà mondi e stimoli diversi appassionandosi al mondo esotico che trasparirà in diverse opere. La sua vita sarà segnata da costante depressione e inquietudine, sensazioni che cercherà di sopprimere con l’aiuto di alcol e hashish. Morirà a soli 44 anni.

L’albatros

Spesso, per divertirsi, i marinai
catturano albatri, grandi uccelli di mare,
che seguono, indolenti compagni di viaggio,
la nave che scivola sugli abissi amari.

Appena deposti sulla tolda,
questi re dell’azzurro, vergognosi e timidi,
se ne stanno tristi con le grandi ali bianche
penzoloni come remi ai loro fianchi.

Com’è buffo e docile l’alato viaggiatore!
Poco prima così bello, com’è comico e brutto!
Uno gli stuzzica il becco con la pipa,
un altro, zoppicando, scimmiotta l’infermo che volava!

Il poeta è come quel principe delle nuvole,
che sfida la tempesta e ride dell’arciere;
ma, in esilio sulla terra, tra gli scherni,
con le sue ali di gigante non riesce a camminare.