Workaholism: quella dipendenza compulsiva da non confondere con la dedizione al proprio lavoro

Se non indicato espressamente, le informazioni riportate in questa pagina sono da intendersi come non riconosciute da uno studio medico-scientifico.
In Giappone la chiamano Karoshi, in Occidente prende il nome di Workaholism. Si tratta della dipendenza dal lavoro. Non ci sono orari, non ci sono ferie o permessi, non ci sono neppure più amici e famigliari. Chi ne soffre ha in mente solo una cosa: il proprio lavoro.
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Rubrica a cura di Gaia Cortese
27 Maggio 2020

Si può morire di troppo lavoro? Sì. Succede in Giappone ed è un fenomeno chiamato karoshi. Un paio di anni fa l’agenzia pubblicitaria giapponese Dentsu veniva condannata dal Tribunale a pagare 500mila yen per aver violato le leggi sul lavoro obbligando i propri dipendenti a fare troppi straordinari. Le indagini sul caso erano iniziate nel momento in cui una dipendente si era suicidata buttandosi dal tetto di un dormitorio per lavoratori; le autorità, infatti, avevano scoperto che nel periodo che era preceduto la sua morte, la dipendente aveva fatto 100 ore di straordinario in un mese.

Se una persona lavora otto ore al giorno, significa che in un mese raggiunge una quota di 160 ora circa. Ma se a queste ne aggiungi altre 100 significa che la stessa persona ha lavorato almeno 5 ore in più ogni giorno. In Giappone l’eccesso di lavoro è un problema riconosciuto e purtroppo ormai considerato cronico. Dal giorno della condanna, la Dentsu ha iniziato a spegnere le luci dei propri uffici alle 22, in modo da invitare i dipendenti a tornarsene a casa, ma il rischio di lavorare troppo non si limita al Paese del Sol Levante, è diffuso in molti altri Paesi.

Fuori dai confini del Giappone la dipendenza dall’attività lavorativa si chiama workaholism, un termine introdotto da Oates nel 1971 unendo le parole “work” e “alcoholism”, descritto anche come “la tendenza a lavorare eccessivamente in modo compulsivo”. Insomma, un’altra dipendenza di tipo comportamentale, che vede il compiersi di queste condizioni.

Sintomi e condizioni da workaholism

  • il lavoro diventa l’attività più importante della tua vita, domina il tuo pensiero e i tuoi comportamenti, anche al di fuori dei luoghi e dei tempi di lavoro;
  • il lavoro è associato a stati di umore che possono variare dall’eccitazione alla tristezza fino alla tranquillità;
  • ti senti costretto ad aumentare progressivamente e gradualmente la quantità di tempo passato a lavorare.
  • se non ti è permesso lavorare (ferie, malattia, ecc.) puoi provare irritabilità, stress e cambi di umore;
  • emerge una difficoltà nelle relazioni interpersonali (colleghi, familiari, amici), conseguente alle critiche ricevute  per la tua comprovata difficoltà a “staccare” dal lavoro;
  • dopo un periodo in cui sei riuscito a gestire la dipendenza dalle attività lavorative, si ripresenta un comportamento eccessivo.

Probabilmente il tuo datore di lavoro sarà ben contento, ma come puoi guarire da questa dipendenza se la situazione non è più sostenibile per te e per gli altri?

Guarire dalla dipendenza del lavoro

Il primo passo da fare in presenza di una dipendenza è quello di riconoscere di avere un problema. Nella maggior parte dei casi, infatti, chi  soffre di workaholism tende a sminuire il suo attaccamento al lavoro o a giustificarlo. Ma dal workaholism si può guarire.

"La prima cosa che un workaholic dovrebbe fare è imparare a pianificare meglio il tempo stabilendo delle priorità sul lavoro. La pianificazione aiuterà la produttività nel rispetto degli orari di lavoro, contrastando così la cattiva abitudine di portarsi il lavoro a casa – spiega la psicologa Samanta Travini -. Mettere da parte la tecnologia almeno per qualche ora è un modo poi per staccare dal lavoro e, almeno un paio d’ore prima di andare a dormire, bisognerebbe smettere di controllare mail e messaggi sullo smartphone.

Chi è dipendente dal lavoro dovrebbe dedicare più tempo ad amici e familiari, ma anche a se stesso: non bisogna infatti perdere di vista i propri interessi e le proprie passioni. Ritagliare del tempo da dedicare a se stessi, non è una scelta egoistica, ma aiuterà a sentirsi meglio e conseguentemente anche ad essere più produttivi sul luogo di lavoro".

"Per curare un malato da lavoro è importante, infine, che la persona la riconosca e che avverta l’esigenza di essere curato e di affidarsi a terapie personali o di gruppo che possono coinvolgere anche il proprio nucleo familiare – conclude la Dottoressa Travini -. La regola principale, quindi, è sempre la stessa: essere consapevole del male di cui si soffre, non commettendo l'errore di pensare che si possa guarire da soli, in quanto la sola volontà può non bastare per riappropriarsi di una vita normale e soprattutto sana".

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