Xylella, l’agronomo Melcarne: “Reimpiantare specie resistenti per ripristinare il territorio salentino”

Giovanni Melcarne è un agronomo ma anche un imprenditore olivicolo. Dal 2013, quando la presenza del batterio Xylella è stata certificata sul territorio salentino, Giovanni ha perso il 97% delle sue coltivazioni. E oggi, sta tentando di salvare gli ulivi pugliesi attraverso degli innesti sperimentali.
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Sara Del Dot 16 Gennaio 2020

50 ettari di terreno per un totale di 3.500 alberi secolari. Di questi, dopo l’arrivo della Xylella fastidiosa ne è rimasto in piedi circa il 3%. L’equivalente delle specie presenti in grado di resistere al batterio.

È la situazione a cui è stato costretto a far fronte Giovanni Melcarne, proprietario dell’oleificio Forestaforte a Gagliano del Capo, in provincia di Lecce. Giovanni possiede nella sua azienda un grande campo di ulivi secolari con cui produce (o meglio, produceva) il suo olio. Ma in seguito all’arrivo della Xylella fastidiosa, il batterio che uccide gli ulivi, tutto è cambiato. La Xylella, infatti, ha iniziato a divorare ogni cosa sul suo passaggio, inarrestabile grazie alla distesa continua e diffusa di ulivi sul territorio pugliese, ulivi appartenenti quasi totalmente a specie sensibili al batterio come la Cellina di Nardò e l’Ogliarola. Niente montagne, sbalzi di temperature o specie diverse a frenare l’avanzata del batterio. Il paesaggio pugliese, terreni di Melcarne compresi, era un’unica distesa di pane perfetto per i denti della Xylella.

Per Giovanni, che oltre a essere un imprenditore è anche un agronomo, le alternative per combattere lo scempio di cui è stata vittima la sua Regione sono due: abbandonare i campi definitivamente oppure combattere con le armi che gli agricoltori hanno a disposizione: le varietà di ulivo resistenti al batterio Xylella, ovvero il Leccino e la Favolosa, purtroppo in netta minoranza rispetto alle specie sensibili.

Proprio sulla base di questa consapevolezza, per provare a rimettere in piedi il settore olivicolo di un’intera Regione ormai in ginocchio, Giovanni ormai da tre anni sta sperimentando  alcuni innesti per cercare di salvare almeno il tronco degli ulivi secolari trapiantandone il fogliame con quello delle varietà resistenti. Sperimentazione che sembrerebbe funzionare, aprendo la strada alla possibilità di salvare almeno una parte dei più antichi abitanti della Puglia.

Ma partiamo dall’inizio, da quando Melcarne è stato informato della presenza della Xylella sul suo territorio.

Già nell’aprile del 2013 si iniziava a sentire parlare di disseccamenti anomali nella zona del gallipolino. Poi, il 15 di ottobre dello stesso anno, è stata certificata sul territorio salentino la presenza di Xylella fastidiosa, per la prima volta su un ulivo. Nello specifico, si trattava di Xylella fastidiosa pauca, il cui ceppo si chiama oggi CodiRo, genotipo ST53.”

Il batterio, già conosciuto in altre zone del mondo come ad esempio la California in cui ha colpito oleandri e vigneti, si era quindi già manifestato in tutta la sua forza e gli effetti devastanti che avrebbe portato con sé erano già chiari a Giovanni Melcarne.

“Io sono un agronomo, ma non ci voleva per forza un esperto per capire la potenza devastante di un batterio da quarantena come la Xylella fastidiosa. Non sono certo stato un veggente, perché purtroppo il batterio si comporta in tutto il mondo nello stesso modo in cui si è comportata nel Salento. Ciò che sta accadendo oggi, io me l’ero già immaginato nell’ottobre di sei anni fa.”

“Dal 2013 a oggi io ho visto i miei 50 ettari con 3.500 alberi secolari ridursi al 3-4% di piante ancora verdi rappresentate soltanto dal Leccino, che è una varietà resistente. I miei uliveti ormai sono ridotti a legna da ardere e in più sono stato costretto a svendere in Marocco uno degli impianti continui all’interno del mio frantoio. Per ripristinare il territorio e quindi la sua potenzialità produttiva ci vorranno almeno cinquant’anni.”

Uno dei principali problemi è, quindi, la varietà predominante. La Xylella infatti ha iniziato a diffondersi senza sosta grazie al fatto che la maggior parte delle cultivar presenti sul territorio pugliese erano del tipo Ogliarola e Cellina di Nardò, varietà non resistenti al batterio.

“Sicuramente l’azione devastante è stata più imponente nel Salento, a causa di una situazione senza soluzione di continuità, con l’80% sul territorio delle cultivar Ogliarola e Cellina che sono quelle soggette al batterio. Sul territorio non sono infatti presenti delle barriere naturali che avrebbero potuto rallentare o arginare l’avanzata del batterio come ad esempio colline, cambi importanti di temperature o varietà di ulivi immuni alla Xylella. Di conseguenza il batterio sta continuando ad andare verso nord, complice anche l’assenza nel tempo di un’azione decisiva di contenimento.”

Azione di contenimento che implica l’eradicazione e l’abbattimento delle piante infette all’interno di quelle aree definite ‘zone di contenimento’ o ‘zone cuscinetto’ che dovrebbero contribuire a isolare l’avanzata del batterio.

“La lotta al batterio va portata avanti con l’espianto nella zona a nord, quella di avanzamento. Perché il fatto che la Xylella sia definita ‘batterio da quarantena’ significa che non esiste una cura e che va isolato. E come si fa? Bisogna tenere presente che un millilitro di linfa di una pianta infetta può contenere fino a tre milioni d mezzo di cellule batteriche. Quindi immaginiamo quanto un insetto che va a nutrirsi di questa linfa infetta possa spostare sulle piante sane. La pianta dovrebbe essere estirpata, per precauzione. Ma questo viene fatto poco e male a causa delle opposizioni di negazionisti e allo stesso tempo per problemi di normative. Ora che finalmente si sta facendo qualcosa in più, la Xylella è ormai arrivata alle porte di Bari. Se ci fosse stata una politica più attenta che avesse creduto alla comunità scientifica e non ai cialtroni, sicuramente non staremmo in questa situazione.”

Uno dei maggiori problemi segnalati da Melcarne e da tanti altri, infatti, è proprio la presenza di alcuni gruppi che negano la presenza del batterio, attribuendo il disseccamento all’abuso nel tempo di sostanze chimiche e pesticidi.

“Queste persone hanno trascinato molti cittadini pugliesi non competenti ma in buona fede dalla loro parte, puntando sull’immagine dell’albero secolare che evoca immortalità, fa pensare alle piante millenarie che hanno attraversato guerre, visto mille patologie… Ma questi ulivi non avevano mai visto la Xylella. Ora l’hanno vista e stanno soccombendo.”

Ma nemmeno Giovanni Melcarne è indifferente al valore secolare degli ulivi pugliesi, tant’è che ha avviato una serie di sperimentazioni effettuando un innesto che sembra avere la propria efficacia.

“Fare un innesto significa andare a inserire dei germogli di piante resistenti, tipo il Leccino, nella corteccia delle piante secolari. Si tratta di fatto di un trapianto, una sostituzione dell’apparato fogliare originario con uno nuovo. Rimane quindi il tronco, la parte monumentale, e invece la chioma viene sostituita completamente con una varietà resistente. Tre anni fa con il Cnr abbiamo istituito in modo volontario un parco sperimentale di 14 ettari per provare gli innesti sulle piante infette. Il nostro obiettivo è reimpiantare per ricominciare a produrre olio, ma anche cercare di salvare il salvabile per quanto riguarda gli alberi monumentali che sono il simbolo, il biglietto da visita della regione Puglia e soprattutto del Salento.”

E i risultati lascerebbero pensare in positivo.

“Diciamo che ci sono dei segnali positivi da questo punto di vista, le indicazioni che emergono dai campi sperimentali lasciano ben sperare, anche se ancora non possiamo scrivere la parola “fine” alla ricerca perché ci vorranno un po’ di anni ancora. Questa è una battaglia continua, che ha bisogno di tempo. La ricerca non può basarsi sulle nostre idee o le nostre urgenze, per le sperimentazioni servono anni. Già il fatto di aver trovato due varietà resistenti, il Leccino e la Favolosa è un risultato molto importante ottenuto dai ricercatori del Cnr, cosa che negli altri Paesi è avvenuta in tempi più lunghi e ha portato anche a meno risultati.”

E oggi, quindi cosa resta da fare per salvare il territorio e le attività degli imprenditori del luogo? Per Melcarne le possibilità non sono molte, ma rappresentano strade percorribili per, in qualche modo, riuscire a ricominciare daccapo.

“O abbandonare l’attività senza ri-piantare, come stanno facendo in molti, oppure cercare di ripristinare il paesaggio, che non sarà quello che abbiamo avuto fino a ieri, ricco di alberi monumentali, ma consisterà in una copertura vegetale che si baserà sulle due armi attualmente a nostra disposizione, ovvero il Leccino e la Favolosa. In più, bisogna spaziare per aumentare non solo la biodiversità all’interno della specie olivo, ma anche tra specie diverse. Perché non dobbiamo fare di nuovo l’errore di piantare una monocoltura su un territorio così vasto. Di Xylella nei secoli ne arriveranno altre, e avere un paesaggio uniforme con pochissime varietà espone il territorio, e quindi anche le aziende, all’ennesimo disastro.

Oggi qui c’è in gioco il territorio salentino, ma la problematica è di ordine mondiale. In questo momento è in discussione l’intera olivicoltura del bacino del Mediterraneo. Non è un gioco, ormai è diventata una vera e propria guerra. Per non abbandonare il territorio come di fatto stiamo facendo bisogna intervenire per sostenere le aziende, sostenere i frantoi, accelerare sui reimpainti e incentivare la ricerca che fino a oggi ci ha dato risultati. Anche perché queste varietà resistenti sono, appunto, resistenti, non immuni, quindi sono sempre sotto scacco di Xylella.”