A rischio estinzione per il surriscaldamento globale: la speranza degli uccelli alpini sono i “rifugi climatici”

Secondo un nuovo studio dell’Università Statale di Milano nel corso dei prossimi 50 anni gli habitat di molti uccelli che vivono sulle Alpi potrebbero venire cancellati dai cambiamenti climatici. In particolare sono a rischio la pernice bianca, lo spioncello, il sordone e il fringuello alpino.
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Martina Alfieri 27 Aprile 2022

I cambiamenti climatici rischiano di mettere a dura prova la sopravvivenza della biodiversità delle regioni montuose. In particolare, come evidenzia un nuovo studio dell’Università degli Studi di Milano, gli uccelli alpini nel giro di pochi anni potrebbero vedere scomparire gran parte dei loro habitat.

Tra gli uccelli che vivono in alta montagna e che sarebbero a rischio di estinzione a causa dei cambiamenti climatici troviamo la  pernice bianca, lo spioncello, il sordone e il fringuello alpino, quattro specie che abitano anche le nostre Alpi. Secondo lo studio pubblicato su Global Change Biology, entro soli 50 anni numerosi habitat tipici delle zone più fredde potrebbero ridursi in maniera drastica.

Per gli uccelli alpini, però, ci sarebbe una speranza: esistono infatti circa 15,000 km2 di rifugi climatici, aree di grande importanza per la biodiversità, che hanno la caratteristica di rimanere idonee alla vita delle specie minacciate a prescindere dai cambiamenti climatici in atto.

I rifugi sono stati mappati e identificati grazie a modelli di distribuzione che considerano numerose informazioni riguardanti il territorio, fornite anche da volontari e appassionati birdwatcher.

Ipotizzare come la distribuzione delle specie d’alta quota cambierà, e quali aree continueranno a offrire condizioni idonee anche in un futuro caratterizzato da un clima più caldo, è di fondamentale importanza per la conservazione di questi organismi sensibili alle variazioni ambientali. Queste aree rappresentano dei “rifugi climatici” per la biodiversità alpina e devono essere salvaguardati, evitando alterazioni significative causate dalle attività umane e degrado degli habitat”, spiega Mattia Brambilla, coordinatore dello studio e ricercatore in Ecologia presso il dipartimento di Scienze e Politiche ambientali dell’Università Statale di Milano.

Al momento il 44% dei cosiddetti “rifugi climatici” rientra già in aree protette, ma, secondo gli autori della ricerca, sarà importante nei prossimi anni tenere in considerazione anche il restante 56% di questi siti, preziosi per la sopravvivenza delle specie di alta quota.

Proprio le Alpi rivestono un ruolo particolarmente importante, poiché come ricorda lo stesso Brambilla "grazie alla loro estensione ed elevazione, rappresentano di fatto la sola catena montuosa in Europa in grado di offrire una simile quantità di rifugi climatici per le specie minacciate dal riscaldamento globale”.