Era il timore un po' di tutti i genitori. Rivivere la didattica a distanza a poche settimane dall'inizio della scuola a settembre. Ed è andata proprio così: dallo scorso lunedì, i liceali non sono più rientrati in classe e hanno ripreso le loro lezioni online, da casa propria. Certo, se da una parte c'è la necessità di arginare la diffusione del virus, dall'altra c'è anche il dovere di permettere a questi adolescenti di tornare a muoversi nella loro dimensione, frequentando la scuola e tutte le attività extrascolastiche come lo sport o il teatro.
In questo tentativo di arrangiare in qualche modo le cose, i genitori non possono che farsi tante domande a cui non sempre è facile trovare una risposta, Ne abbiamo parlato con la Dottoressa Serena Redaelli, psicologa e psicoterapeuta del Centro Il Melograno di Vimercate, in provincia di Monza.
In questo senso, i dati non sono univoci. Ho visto che c’è stato chi ha reagito a questa notizia con frustrazione, rabbia e anche con un po' di rassegnazione, ma c’è anche una fascia di ragazzi che ha reagito positivamente, apparentemente perché contenti di stare di nuovo a casa e di non dover fare fatica nel dover prendere i mezzi pubblici o nel dover fare fatica ad alzarsi al mattino a un certo orario.
Non è cosi scontato che tutti i ragazzi siano per forza amareggiati da questo stato delle cose. Succede, tuttavia, che cosi facendo, in realtà li priviamo di fare fatica. Un aspetto del quotidiano che è importante dal punto di vista evolutivo perché è giusto fare fatica e raggiungere degli obiettivi con la propria fatica.
Se da una parte abbiamo una buona fetta di ragazzi che vogliono andare a scuola, che fanno sit-in davanti al Palazzo della Regione, ce n'è un'altra parte per cui questa condizione invece collude un po' con il proprio modo di essere, magari comune all'età adolescenziale, e che per questo ci sia il rischio di andare verso un versante depressivo, che già alcuni adolescenti covano un po' dentro.
Ci sono alcuni ragazzi che preferiscono stare a casa perché questa condizione toglie loro la fatica di mettersi in gioco, di sperimentare. Diversamente, ce ne sono altri, più positivi e che hanno più energie da mettere in gioco, che fanno molta più fatica. Esiste davvero un rischio evolutivo, soprattutto per quei ragazzi che hanno voglia di essere attivi nella società, mentre con la didattica a distanza e tutte le attività extrascolastiche sospese, togliamo loro il ruolo che vogliono avere, fino a diventare, a causa nostra, i primi a essere messi da parte.
Se un adulto ha ormai fatto il suo percorso, per questi ragazzi è diverso: siamo noi i diretti responsabili del loro percorso e dobbiamo essere consapevoli che questa situazione non permette loro di sperimentarsi come dovrebbero. Chi ha voglia di mettersi alla prova, di avere un contatto, anche distanziato, ma ora per alcuni totalmente negato, in questo momento fa sicuramente più fatica.
Io credo che abbiamo una visione troppo negativa di questi giovani, oltretutto anche in questo momento, finché si può, possiamo uscire e possiamo mantenere delle relazioni. I ragazzi educati da un mondo adulto sanno cosa sta succedendo, ma a volte siamo noi a non dargli la possibilità di uscire e fare, per esempio, una passeggiata con gli amici "distanziata". Questo si può fare e si può mantenere perché ho fiducia verso i bambini e i ragazzi. Tante volte siamo noi adulti ad avere paura di dire a qualcuno di tirarsi su la mascherina, loro lo fanno.
Partendo dalla consapevolezza di quello che si può fare oggi, e non sappiamo domani, dobbiamo adeguarci e fidarci di loro.
In questa situazione la tecnologia può aiutare a mantenere le relazioni. Non solo. Può aiutare alla condivisione delle emozioni e delle paure, perché è una modalità di comunicazione in cui i ragazzi condividono quello che stanno vivendo adesso. Allo stesso modo la tecnologia può anche essere un modo per socializzare, un aspetto di fondamentale importanza per questa età. Negandogli la tecnologia, stiamo togliendo loro la possibilità di conoscere l’altro, e se già la scorsa primavera le relazioni vere sono state un po' ridotte, togliendo la tecnologia il rischio è di limitare una modalità di conoscere l’altro.
Io sono dell'idea che quello che si può prendere, in questo momento si prende. Lo sforzo è fondamentale. È necessario dare loro l’idea di un mondo coraggioso che va avanti e ci crede. Dare la possibilità a questi ragazzi di fare uno sport e di riprendere l'attività fisica a settembre, dandogli un benessere fisico e psicologico, è stato importante, e lo è anche mantenerlo.
C'è in questo tutto il valore della ritualità, un appuntamento con lo sport o con altre attività extrascolastiche, permette di scansionare un po' la giornata. Un adolescente in casa ha bisogno di movimento altrimenti, davvero, si rischia un appiattimento dal un punto vista psicologico e da quello fisico. Finche è possibile, è anche importante che i genitori propongano un movimento all’aperto, e che diano la possibilità di fare uno sport, di muoversi, altrimenti rispetto a quando i ragazzi andavano a scuola, il corpo si ferma drasticamente.
A livello pratico garantire la ritualità nel quotidiano, quindi poter scandire bene le giornate. E poi è importante che l'atteggiamento sia solido, che non vuol dire che non dobbiamo mostrare rabbia, paura o frustrazione davanti a questa incertezza; non è nascondere che paga, ma è il principio che "questa cosa c’è e siamo tutti in questo qui e ora, ma ce la faremo". Il messaggio da trasmettere è che questa cosa la attraversiamo insieme con coraggio; per me i ragazzi hanno bisogno di questo, di adulti che trasmettano un atteggiamento di coraggio e che non si fanno schiacciare dalla rabbia che questa situazione sta creando, e tantomeno dalla tensione generale.