Adultizzazione infantile: quali rischi può avere e a cosa prestare attenzione da genitori

L’aultizzazione infantile è un fenomeno che si innesca quando il bambino viene trattato alla pari di un adulto, con gli stessi diritti e doveri. Una situazione che non permette la sua corretta crescita psicoemotiva.
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Dott.ssa Samanta Travini Psicologa Psicoterapeuta
2 Settembre 2022 * ultima modifica il 02/09/2022

La crescita psicoemotiva di una persona è ben precisa e segue tappe specifiche, ognuna di queste con propri obiettivi da perseguire. Durante l’infanzia e l’adolescenza il bambino deve essere attratto dal mondo esterno, vivere con leggerezza e iniziare a creare la propria identità sociale. Il gioco, senso-motorio o di imitazione, diventerà un aspetto fondamentale per lui, da eseguire con i genitori o con altri bambini.

I genitori in queste fasi hanno un compito fondamentale, ovvero essere presenti per il proprio figlio e rispondere correttamente dal punto di vista emotivo alle sue richieste. Basta un solo sguardo della madre per soddisfare l’emotività del bambino. Se, però, ciò non è presente, si corre il rischio di incorrere nel fenomeno "dell’adultizzazione infantile", ovvero il bambino che non ha vissuto il suo tempo, che è già nato grande.

Si parla di adultizzazione infantile quando un bambino non ha la possibilità di vivere la sua infanzia perché investito di incarichi che non appartengono alla sua età.

Un esempio è quando bambino rimane spesso in casa da solo e deve imparare a gestirsi nell’autonomia: cucinare all’età di otto anni o avere le chiavi già a sei, andare a scuola da solo già dalla prima elementare e così via.

Ovvero deve assumersi una serie di responsabilità che hanno bisogno di una certa maturità fisica e mentale per essere acquisite e interiorizzate. Invece il bambino adultizzato si trova con delle incombenze da grande in un corpo da fanciullo.

Ciò non avviene solo per l’assenza fisica del genitore, ma anche quando i genitori sono entrambi fisicamente presenti, ma emotivamente assenti, ovvero non c’è una connessione emotiva: ognuno è nel suo mondo, non c’è una piena e autentica presenza, una condivisione di sensazioni, una manifestazione d’affetto.

Il bambino viene trattato come un componente alla pari degli altri, non v’è un rapporto verticale “gerarchico” di accudimento, ma orizzontale. Il bambino ha gli stessi diritti e doveri dell’adulto, per cui acquisisce anche il potere di poter scegliere per sé, di non sottostare alle regole impartite dal caregiver, di decidere autonomamente se mangiare un gelato o no, di decidere cosa mangiare a pranzo, quando uscire e quando ritirarsi.

Conseguenze nell’adulto

Un bambino adultizzato può avere tanti problemi in futuro, soprattutto dal punto di vista emotivo e dell’umore. Il rischio è quello di diventare adulti anaffettivi, che non riescono a provare affetto e ad attaccarsi a una persona, tendono a isolarsi, sono troppo autonomi, eccessivamente concentrati solo su sé stessi e pertanto non riescono a provare fiducia verso l’altro.

Quelle poche relazioni che si riusciranno a creare saranno solo per mero raggiungimento di scopi, senza nessun coinvolgimento emotivo. Questo accade perché l’adulto non ha avuto il sufficiente contatto fisico e mentale da bambino, quindi non saprà a sua volta dimostrare i propri sentimenti, rimanendo con un carattere molto rigido, e difficilmente si metterà in discussione e ammetterà un proprio sbaglio o errore.

Purtroppo, ciò influenzerà anche le relazioni amorose. Per fortuna capita a tutti, almeno una volta nella vita, di innamorarsi, ma queste persone si trovano in estrema difficoltà tanto da rendere complicato il rapporto con il partner. Non abbassano mai le difese, discutere con loro è sempre avere un muro davanti, convinti delle proprie idee di pensiero e non aperti al confronto.

Cosa consigliare ai genitori?

Innanzitutto di prestare molta attenzione ai primissimi anni di vita di un figlio: sono stadi che potranno renderlo un bambino sicuro e autonomo, dotato di un proprio carattere, ma privo di particolari problemi. Ai genitori che invece stanno attraversando un momento di difficoltà, occorre ricordare che un bambino, per quanto ci possa sembrare responsabile, non è un adulto. Chiedere aiuto a un esperto in situazioni di malessere non è un segno di debolezza, ma un'occasione per migliorarci e per proteggere i figli da noi stessi.

Laureata in psicologia clinica dello sviluppo e neuropsicologia, si occupa di sostegno psicologico per individui, coppie e famiglie con particolare attenzione altro…