Belle di faccia: “Siamo grasse, chi ha detto che non siamo belle?”

Se non indicato espressamente, le informazioni riportate in questa pagina sono da intendersi come non riconosciute da uno studio medico-scientifico.
Tutto ha avuto inizio da un profilo Instagram, che si è poi trasformato in una vera e propria associazione e poi in un libro. Belle di Faccia è il progetto di Chiara Meloni e Mara Mibelli, il cui scopo è far capire che non è tanto l’accettazione di sé il vero traguardo, quanto un cambiamento nella società affinché sia più inclusiva e non faccia ruotare tutto intorno a certi stereotipi di bellezza.
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Gaia Cortese 17 Marzo 2021

Chiara e Mara aprono nel 2018 un profilo Instagram e lo chiamano Belle di Faccia. Un progetto che, tempo un anno, diventa un’associazione che ambisce a riportare i corpi grassi all’attenzione del movimento della body positivity italiana, con una particolare attenzione al voler creare consapevolezza su quello che è la Fat Acceptance.

Perché Belle di Faccia, si fa presto a capirlo. Quante persone davanti a chi si definisce grasso o grassa, abbozzano un "Ma no,
tu sei bella così”, oppure "Ma hai un viso bellissimo". Il punto è: chi ha mai detto il contrario? Perché la definizione di una persona robusta, in carne, grassa, in sovrappeso, o come vuoi definirla, deve per forza avere una concezione negativa? Non è quindi una questione di semplice accettazione del proprio aspetto, quanto di una forma di giustizia sociale che possa rendere la società più inclusiva.

Chiara Meloni e Mara Mibelli raccontano la loro idea di body positivity attraverso un profilo Instagram schietto e originale, ma anche attraverso le pagine di un libro scritto di recente il cui titolo e sottotitolo dicono tutto: "Belle di faccia. Tecniche per ribellarsi a un mondo grassofobico".

Come nasce il progetto Belle di Faccia?

Era da diverso tempo che eravamo stanche del tipo di narrazione che veniva fatta, soprattutto sui media e sui social, della body positivity e di come si continuassero a escludere i corpi non conformi. Abbiamo deciso di trasformare questa incazzatura in qualcosa di costruttivo e fatto in modo che iniziasse una conversazione. Così, nel dicembre del 2018, abbiamo creato il profilo Instagram per cercare di esprimere questi concetti in un modo più corretto.

Cos’è la body positivity? E perché oggi si differenzia dal concetto di Fat Acceptance?

La body positivity, nella sua accezione, più nobile nasce negli anni '90 dalla lotta ai disturbi alimentari e raccoglie i concetti della fat acceptance per estenderli a tutti i corpi. Purtroppo la sua versione mainstream ha dimenticato le sue origini e si è concentrata solo sugli aspetti superficiali e personali (quindi l’immagine corporea e il rapporto con il proprio corpo) tralasciando quelli sistemici, come la discriminazione, lo stigma, la grassofobia e il modo in cui i corpi grassi vengono trattati diversamente).

La cantante americana Lizzo, sostenitrice della body positivity, non ha tuttavia risparmiato qualche critica al movimento affermando che: “Non deve essere “Oh, guarda questo movimento cool. Essere sovrappeso è body positive. No. Essere sovrappeso è normale”. Vi ritrovate in questa affermazione?

Non useremmo mai la parola "sovrappeso" per definirci perché si tratta di una terminologia stigmatizzante e legata al BMI (Indice di massa corporea), ma ci ritroviamo nella critica a chi pensa che questo movimento voglia in qualche modo creare un nuovo standard di bellezza o allargare quello esistente, mentre in realtà si tratta di normalizzare ogni corpo e includere ogni corpo smantellando l’idea che la bellezza sia un valore in base al quale giudicare la validità delle persone.

Quanto è importante arrivare ad accettare un po’ di insicurezza a proposito del proprio corpo? Forse non si dovrebbe più parlare di “difetti” fisici, ma di “aspetti” fisici?

L’equivoco più grande quando si parla di questi temi è pensare che accettarsi e avere autostima siano gli obiettivi del movimento o addirittura un obbligo, come se avessimo sostituito il "dovere" di conformarci agli standard con quello di avere una buona immagine corporea. In realtà è praticamente impossibile fare questo in un mondo che rigetta il tuo corpo e, se è già complicato per una persona magra che però ha qualche caratteristica considerata un’imperfezione, lo è ancora di più se si vive in un corpo che è considerato un errore a cui rimediare. Di sicuro conoscere le ragioni per cui non ci accettiamo, sapere che non è colpa nostra e indagare le ragioni della grassofobia, ci aiutano a rimuovere un po’ di quel senso di inadeguatezza, ma è la società a dover cambiare e non solo la singola persona.

Anche Arisa ha scritto sul suo profilo social: “Io lo so che non sono bella come le tipe che vedo sui giornali e sui social, ma non voglio che sia più un mio problema”. Come prendere le distanze dai modelli di bellezza che ci vengono proposti di continuo?

È proprio la società a dover cambiare, a partire dai messaggi che i media veicolano sui corpi, ma ci sono sicuramente delle strategie per fare un detox dai messaggi tossici che ci vengono proposti: evitare di parlare così tanto e così insistentemente di corpi, smettere di criticare il nostro corpo e quello altrui, non partecipare a conversazioni cariche di diet talk, allenare il proprio sguardo alla diversità dei corpi sui social smettendo invece di seguire quelle persone e quei brand che ci vendono senso di inadeguatezza sono delle pratiche quotidiane che possono avere un impatto positivo sulla nostra vita.

A questo proposito, quale messaggio dovrebbe arrivare a bambine e ragazze per accettarsi così come sono?

Il body shaming inizia spesso in famiglia, qui rischiamo di ripeterci, ma si parla veramente troppo di corpi e di diete e anche quando i genitori non commentano direttamente sul corpo dei loro figli e delle loro figlie, anche vivere in una famiglia in cui si parla di diete, calorie o si fa costante fat talk (ossia parlare del grasso in modo negativo) ha un impatto sull’immagine corporea e sull’autostima. La cosa fondamentale è che la famiglia, la scuola, ma anche i media, facciano estrema attenzione al tipo di messaggi che veicolano, a come rappresentano i corpi e all’utilizzo di un linguaggio poco inclusivo o discriminatorio.

Cosa vi ha portato a scrivere un libro?

Le caption di Instagram ci stavano strette e 2.200 caratteri sono davvero pochi per esaurire un argomento. Volevamo che ci fosse anche in Italia un punto di partenza che introducesse l’argomento e facesse venire voglia di saperne di più a chi non ne ha mai sentito parlare e che aprisse la strada a molti altri libri sull’attivismo grasso, ma anche a quelli sui Fat Studies.