Challenge fatali sui social, l’appello dello psicologo: “Dobbiamo tornare a pensarci reali”

L’incidente a Casal Palocco, Roma, dove ha perso la vita un bambino di sole cinque anni, forse a causa di una challenge social, impone una riflessione sui rischi della confusione tra reale e digitale che la dittatura dei “mi piace” sta diffondendo a macchia d’olio senza che ce ne rendiamo conto.
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Maria Teresa Gasbarrone 16 Giugno 2023
In collaborazione con Dott. Giuseppe Lavenia Psicoterapeuta presidente Associazione Di.Te.

Come spesso accade dopo una tragedia, arriva il momento delle riflessioni. L'incidente avvenuto a Casal Palocco, a Roma, dove ha perso la vita un bambino di cinque anni ha scosso il Paese.

Si chiamava Manuel Proietti ed era in macchina con la sua mamma e la sorellina, quando una Lamborghini con a bordo cinque youtuber ventenni si è schiantata a tutta velocità contro il veicolo, una Smart FourFour. L'arrivo tempestivo dei soccorsi non ha potuto nulla: Manuel è morto lungo il tragitto verso l'ospedale Grassi di Ostia.

La notizia, già in sé drammatica, ha avuto una forte risonanza mediatica per l'ipotesi, delineatasi nei giorni seguenti all'incidente, secondo cui i ragazzi alla guida della Lamborghini avrebbero noleggiato la supercar per registrare una challenge per il loro canale YouTube "The Borderline": vivere alla guida per 50 ore, alternandosi al volante, senza mai scendere dal veicolo.

Al momento le indagini sono ancora in corso e per ora solo il conducente, Matteo Di Pietro, 20 anni, è stato iscritto nel registro degli indagati, ma anche nei confronti degli altri quattro ragazzi potrebbe essere contestato il concorso nel caso in cui venisse accertato che nelle fasi precedenti allo schianto stessero girando un video da postare, poi, sui social.

Nella realtà digitale dove non ci sono limiti

Alla ricostruzione dei fatti penserà la giustizia, ma il fatto non può essere limitato alla condanna – per quanto umana e giusta – dei comportamenti dei ragazzi coinvolti. Non può limitarsi a questo perché quello che facevano loro – fare challenge ai limiti dell'umanamente possibile da postare sui social – lo fanno in molti, e purtroppo le possibili conseguenze drammatiche le avevano già mostrate molti altri episodi di cronaca, in Italia e nel mondo.

Il concetto di challenge – una sfida in cui spesso si mette a rischio anche la propria vita e, come è successo a Casal Palocco, anche quella degli altri – è il risultato di una dipendenza dalla tecnologia che rischia di privarci della percezione della realtà, dei limiti del corpo.

Così un video che avrebbe dovuto esistere solo online, raggiungere migliaia – forse milioni – di like, ha superato i confini del digitale, si è scontrato con la materia di cui siamo fatti tutti, che definisce la dimensione stessa della vita: l'ha superata fino a distruggerla.

Alla ricerca delle responsabilità

Anche Giuseppe Lavenia, psicoterapeuta e presidente dell'associazione nazionale Di.Te (Dipendenze tecnologiche e cyberbullismo), ha ribadito la necessità di riflettere sul concetto di responsabilità, ora che digitale e reale sono diventati ormai due facce della stessa medaglia: "Che si tratti di azioni nel mondo fisico o in quello virtuale – ha detto Lavenia il loro significato non cambia".

Non si può tornare indietro e quella tragedia non può essere più evitata, ma forse non allargare lo sguardo al mondo che gli youtuber di "Borderline" incarnano – quello della ricerca ossessiva di like e follower sul web – rischia di non avere nessun effetto su larga scala.

"Avrebbero dovuto essere più consapevoli quando creavano contenuti digitali, ma l'immersione intensa nel mondo virtuale li ha allontanati dalla realtà, spingendoli a creare video con contenuti sempre più borderline", ha detto Lavenia.

"Questa volta, deviare dalla retta via non è stato solo un gioco. La vita spezzata di un bambino e della sua famiglia richiede una chiara definizione delle responsabilità, anche se ciò purtroppo non cambierà le conseguenze".

Ritorno all'auto-consapevolezza

La tematica è complessa, perché siamo tutti portati a credere che il digitale sia irreale, un posto inconsistente dove tutto può succedere. Ma i fatti dimostrano il contrario: dal revenge-porn all'ossessiva ricerca della perfezione estetica sotto la dittatura dei filtri, alle tragedie, come quella che ha spezzato la vita a Manuel, basta un piccolo sforzo per renderci conto che le conseguenze del digitale si ripercuotono nella realtà delle nostre vite, dei nostri corpi (e in quello degli altri).

"Siamo tutti esposti, come in una vetrina. Senza accorgercene – osserva Lavenia – ci siamo trasformati in oggetti che si auto-espongono sui social media, desiderando avidamente l'approvazione degli altri. La dittatura del "mi piace" ci sottomette volentieri, mentre bramiamo un aumento dei nostri follower. Cerchiamo di sentirci qualcuno, anche solo in quel mondo etereo che è la rete".

Il tema centrale – conclude lo psicoterapeuta – rimane sempre lo stesso: la consapevolezza dei nostri pensieri, delle nostre parole e delle nostre azioni, sia nel mondo reale che in quello digitale.

È il momento di svegliarci da quest'illusione, prima che il sogno diventi un incubo.