sessismo

Chat sessiste a lavoro: la cultura patriarcale non è morta, ha solo cambiato forma

Lo scandalo innescato dalle rivelazioni sull’esistenza di una chat sessista e a sfondo sessuale in una nota azienda pubblicitaria obbliga a riflettere su quale sia il confine tra la battuta e l’offesa alla dignità personale. Nonostante i risultati ottenuti dalle battaglie per la parità di genere, la cultura patriarcale forma ancora i rapporti interpersonali, anche a lavoro, e la formazione è l’unica strada percorribile per uscirne.
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Maria Teresa Gasbarrone 29 Giugno 2023
Intervista a Dott.ssa Rosalba Taddeini Psicologa di "Differenza Donna"

In queste settimana, in Italia, si è tornato a parlare di "Metoo", ma non in riferimento al mondo dello spettacolo e del cinema, bensì a quello delle aziende pubblicitarie.

Tutto è nato dopo le rivelazioni in un'intervista sul profilo-pseudonimo "Monica Rossi" di Massimo Guastini, noto pubblicitario e già presidente dell'Art Directors Club italiano, che ha fatto nome e cognome di un altro guru dell'ambito della comunicazione pubblicitaria, Pasquale Diaferia, descritto da Guastini di essere stato un "molestatore e abusatore seriale giovani e meno giovani colleghe pubblicitarie o tirocinanti".

Ma a far scattare l'onda di denunce sono state anche le parole di Guastini che hanno reso pubblica l'esistenza di una chat sessista, formata esclusivamente dai dipendenti uomini dell'azienda pubblicitaria internazionale We Are Social.

Nella chat incriminata, esistente da anni, i membri si scambiavano battute – per usare un eufemismo – sessiste e a sfondo sfacciatamente sessuale sulle colleghe. Di tutte le testimonianze emerse a favore dei fatti c'è però una frase che, forse perché non scandalosa come le altre, è passata in parte inosservata.

"Una cosa normale"

Alla domanda sul perché avesse accettato di farne parte, un ex dipendente della nota azienda pubblicitaria finita nell'occhio del ciclone, Mario Leopoldo Scrima, ha risposto, specificando di essersi poi pentito e di aver chiesto scusa alle colleghe: "Uno arriva in un posto di lavoro e lo inseriscono in una chat dove manco sa associare i nomi ai volti di colleghi e colleghe ma vede che tutti sanno e la considerano una cosa normalissima e finisce per normalizzare la cosa anche lui".

"Una cosa normalissima". Sì, purtroppo fare battute sessiste, non rispettare le proprie colleghe (e in genere) le donne, in definitiva non considerarle al proprio pari, è ancora normale.

Non è facile riconoscerlo, ancora prima che accettarlo. Da quando la lotta per la parità ha imposto e preteso il riconoscimento di un rispetto almeno formale, il sessismo ha assunto modalità nuove, meno palesi e quindi meno "perseguibile", perché tutto diventa facilmente giustificabile con la scusa dello "scherzo" o della "battuta".

Non si tratta di un atto di accusa contro il genere maschile. Sarebbe inutile e perfino dannoso: converrebbe piuttosto lasciarci alle spalle l'idea di fazioni e schieramenti, ma prendere consapevolezza di come gli stereotipi di genere e la cultura patriarcale siano nocivi per tutti, uomini e donne.

Il primo passo per riuscirci è lavorare sulla formazione. Da questo presupposto nasce "Better Place – Per aziende libere da stereotipi e sessismo", un progetto formativo che punta a creare consapevolezza negli uomini e nelle donne e rapporti paritari e liberi dalle pesanti gabbie degli stereotipi negli ambienti lavorativi.

Sarebbe infatti un errore pensare che il sessismo riguardi solo certe categorie di professionisti. "La cultura patriarcale – spiega Rosalba Taddeini, psicologa dell'associazione Differenza Donna, che collabora con Better Place – non appartiene solo a un ceto, ma alla società nella sua totalità: quindi tutti gli uomini, dal magistrato all’operaio, sono pervasi da questo tipo di struttura mentale".

Pregiudizi strutturali

Se ne potrebbero fare tanti di esempi. Non solo la chat incriminata, ma anche, in ordine cronologico, il caso del docente della Scuola di Magistratura di Scandicci, che parlando a un collega in chat ha detto della sua classe, mentre era in video lezione: "Son dei gran maleducati, ma almeno ci sono un paio di belle fighe". Non si era però accorto che stava condividendo lo schermo e quelle parole gli sono costate la sospensione.

A esprimersi in questo modo è stato un relatore referendario della Corte di giustizia europea, che poi si è scusato: "Chiedo venia, mi dispiace, non ho questo tipo di ironia, sono francamente costernato e umiliato, non avrei dovuto dire queste cose neppure in privato".

Quello che sembra emergere da questi imbarazzanti episodi di cronaca è una sorta di realtà a doppio binario. Da una parte, soprattutto nei cosiddetti ceti sociali elevati, nessun uomo sarebbe disposto a dire certe frasi davanti a tutti, ma dall'altra, molti in sostanza lo fanno quando pensano di non essere ascoltati o visti.

"Siamo immersi in una società in cui la discrepanza tra donne e uomini  e come i due generi vengono percepiti è costitutiva e viscerale, non è appannaggio di una certa classe sociale o di una certa formazione", spiega Taddeini.

Cos'è uno scherzo?

Anche tralasciando casi come quelli detti finora, è capitato più o meno a tutte di sentirsi dire una frase o un apprezzamento non richiesto e di provare fastidio, spesso disagio, soprattutto se ricevuto da una persona sconosciuta o con la quale si ha poco confidenza.

No, in questi casi non si può parlare di "scherzo", a meno che non ci siano condizioni di confidenza tali da poterlo giustificare, ma si tratta di una valutazione che spetta esclusivamente alla persona a cui la battuta viene rivolta.

"Per quanto riguarda il concetto di scherzo spiega la psicologa – il principio che dovrebbe guidare uomini e donne nelle loro azioni è semplicemente quello del consenso. Questo soprattutto quando sono chiamati in gioco temi molto sensibili, come la sessualità, che potrebbero ledere la figura femminile".

La cultura patriarcale esiste ancora

Questi episodi sono la prova di come la realtà patriarcale sia ancora strutturalmente presente nella società, quasi come se fosse il suo scheletro portante.

"L’idea secondo cui la donna sia subalterna all’uomo – spiega Taddeini – è molto più diffusa di quanto si potrebbe pensare, perché è così introiettata che è difficile perfino riconoscerla.

A essere cambiate sono le modalità in cui questi pregiudizi si manifestano: l’introduzione di norme che puniscono gli atteggiamenti discriminatori più palesi, ha fatto nascere altre modalità in cui però la cultura patriarcale continua a esprimersi".

Solo prendendo atto di questa realtà si può lavorare una vera parità, ma è una battaglia che riguarda l'umanità intera e dalla quale potranno uscire sono vincitori o solo sconfitti.