Ci sono sempre meno pesci nel mar Adriatico, che rischia così di diventare un mondo disabitato

Un report della Fao sullo stato della pesca nella zona del Mediterraneo e del Mar Nero dimostra che molte specie vengono pescate a un ritmo più veloce rispetto alla capacità che hanno di riprodursi. Ma lo spopolamento dei mari sarebbe legato a diverse concause, tra cui l’inquinamento e il cambiamento climatico.
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Kevin Ben Alì Zinati 16 Aprile 2021

Il mar Adriatico è sempre meno abitato. Forse solo le sogliole e le seppie riescono a scampare allo spopolamento e a sopravvivere. Forse. Per le altre, invece, se non agiamo subito resterebbe poco da fare. È la brutta notizia che arriva dal The State of Mediterranean and Black sea fisheries 2020, il rapporto biennale con cui la Fao tiene monitorato lo stato della pesca nella zona del Mediterraneo e del Mar Nero. I numeri suonano come una sentenza: il 75% delle specie studiate nel Mediterraneo vengono pescate con un ritmo più veloce rispetto alla capacità di riproduzione, specialmente nelle acque dell’Adriatico.

I numeri non mentono

Il rapporto della Fao aveva dato buone notizie per le acque del Mediterraneo. Ti avevamo raccontato, infatti, che fino al 2018 i progetti e le misure adottate stavano dando i primi frutti: la pesca intensiva e l'overfishing stavano rallentando e gli stock ittici cominciavano a vedere un lento ma concreto ripopolamento di pesci.

Dando uno sguardo agli anni successivi e in particolare al mar Adriatico, un’articolazione del Mediterraneo che bagna città come Trieste, Ancona, Bari, Fiume, Zara e Spalato, la situazione appare invece diversa e preoccupante.

Nel report delle Fao si fa riferimento a un indice, inteso come il rapporto tra il pesce pescato e l’aumento di quella specifica popolazione marina dovuto dalla riproduzione della specie. Se si fissa al valore di 1, significa che il rapporto è in equilibrio e che, di fatto, la situazione è stabile.

Ebbene, gli indici dell’Adriatico purtroppo non possono farci dormire sonni tranquilli. I gamberetti sono a quota 3,34, le sardine a 3,23, un filo meno peggio stanno i naselli, con un indice di 2,78 così come le acciughe (1,69), gli scampi (1,58) e le triglie (1,11).

Se ti fermi solo ai gamberetti o alle sardine, significa che queste specie sono pescate tre volte in più rispetto alla capacità che hanno di riprodursi.

Il risultato, puoi capire, è tristemente chiaro: le specie caratterizzate da un indice maggiore di 1 sono eccessivamente pescate e quindi in serio rischio.

Il contesto non aiuta

La sovrappesca, sì, ma non solo: dietro allo spopolamento del mar Adriatico puoi individuare una serie di concause.

In una recente intervista, gli esperti hanno puntato il dito contro la presenza di sempre più specie invasive, l’aumento della CO2 nei mari, che favorisce l’acidificazione delle sue acque o anche l’aumento della temperatura, che ostacola direttamente la riproduzione di diverse specie.

Si tratta di un circolo vizioso: meno specie nelle acque significa meno risorse alimentari per gli altri animali che se ne nutrono.

Come intervenire?

Secondo il rapporto della Fao, il ruolo degli stock ittici e delle riserve marine è determinante, così come politiche internazionali condivise che regolamentino le attività di pesca.

Un esempio virtuoso che deve ispirare è la famosa Fra, o Fishery Restricted Area. Si tratta di un’aera istituita nel 2017 nell’Adriatico centrale tra l’Abruzzo e le isole della Dalmazia e in cui sono state applicate restrizioni per la pesca e misure di protezione. I risultati sono stati importante: in due anni le maggiori specie di pesci e molluschi destinati al commercio sono aumentate.