Come immagini un genitore? “Alcuni stereotipi danno luogo a ‘catastrofi'” spiega la dottoressa Congia

Con la psicologa Congia, esperta del periodo che si colloca tra l’inizio della gravidanza e il primo anno di vita del bambino, abbiamo parlato di tutti quei cliché radicati nella società riguardo ai sentimenti che dovrebbero provare i genitori. Manca invece la libertà di esprimere le possibili emozioni negative, le difficoltà, i dubbi che possono sorgere in chi affronta questa complessa esperienza.
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Giulia Dallagiovanna 7 Maggio 2021
Intervista alla Dott.ssa Gisella Congia Psicologa esperta del periodo perinatale

Come immagini una madre? Magari mentre stringe al seno il suo bambino appena nato, con lo sguardo adorante, immersa in un ambiente tranquillo e dai colori tenui. Nulla di sbagliato in questa scena, e forse qualche famiglia ci si riconosce pure. Ma non possiamo decidere a priori che debba essere questa la faccia del maternità. A tutti i costi.

"È una visione poetica ed è bello che esista – conferma la dottoressa Gisella Congia, psicologa esperta del periodo perinatale, – ma diventa uno stereotipo nel momento in cui decidiamo che sia l'unica ammissibile. Mentre se avvaloriamo questa immagine di gioia e felicità, dobbiamo anche avere il coraggio di raccontare che esistono altre emozioni, che sono legittime e meritano di essere descritte senza paura o vergogna". 

Mi viene in mente una frase letta sui social qualche giorno fa, dove una donna giovane alle prese con le prime settimane di allattamento ammetteva che avrebbe avuto voglia di scappare, ma che allo stesso tempo avrebbe voluto portare con sé il figlio appena nato. E sono queste contraddizioni, quelle mille sfaccettature che facciamo fatica ad accettare, a rendere la gravidanza e la genitorialità un'esperienza unica per ciascuno di noi.

Nel suo libro "Katastrophé. Riflessioni sulle catastrofi perinatali", edito da Armando Editore, Gisella Concia chiama "catastrofi" proprio quei ribaltamenti delle aspettative a cui la realtà può metterti davanti. E che potrebbero anche spiazzarti, in caso tu abbia interiorizzato quegli stereotipi che restano tuttora radicati nella nostra società.

Dottoressa Congia, prima di tutto le chiederei quale sia di preciso il periodo perinatale.

Stiamo parlando di quel periodo da va dal concepimento fino al primo anno del bambino. Durante tutti questi mesi può verificarsi una serie di eventi inaspettati, che non sono contemplati nell'immaginario collettivo. E dunque, danno luogo a catastrofi.

Come mai questi avvenimenti arrivano quasi del tutto inaspettati?

Ci troviamo di fronte a una narrazione genitoriale, e soprattutto materna, legata a dei cliché, a dei luoghi comuni e a delle immagini stereotipate. Per me è molto importante la trattazione sia narrativa che visiva di questi aspetti e infatti il libro è accompagnato da un webdoc (una piattaforma interattiva virtuale in cui confluiscono materiali didattici, informativi, ma anche artistici e culturali sul tema del perinatale, per una sua lettura a 360°, con interviste a esperti e a neo genitori, ndr.) e da un inserto di fotografia socio-narrativa.

Cominciamo allora a capire un po' meglio questi stereotipi, partendo proprio dalla donna. Chi è una buona madre?

Prima di tutto, dobbiamo capire che tendiamo a distinguere il buono dal cattivo in base a quanto rispecchia quei sentimenti che abbiamo deciso che una donna debba vivere durante la maternità, un passaggio peraltro molto complesso nella sua vita. Nella nostra società, la donna in attesa deve rispecchiare una visione di felicità e di adorazione rispetto a questo momento, mentre si prepara a una dedizione totale nei confronti del proprio bambino. E questo è il classico cliché della mamma buona.

Quando non viene rispettata questa narrazione?

Se ci troviamo di fronte a una donna che racconta di non essere più sicura della propria scelta, di aver paura che il suo corpo cambi senza che lei possa esercitare alcun controllo su questo, di aver provato anche rifiuto per quello che sta vivendo.

Distinguiamo una buona madre da una cattiva madre in base ai sentimenti che noi riteniamo la donna debba provare

Insomma, una persona che, rimanendo naturalmente al di fuori da qualsiasi quadro patologico, non è estasiata rispetto a quello che le sta succedendo, allora il riscontro del mondo esterno sarà diverso. E anche quello del mondo interno, per la verità, perché non dobbiamo dimenticare che la nostra interiorità è costantemente in relazione con quello che la società ci propone.

Quindi questa donna sarà una cattiva madre?

Assolutamente no. Il punto è proprio essere in grado di abbracciare questa complessità di sentimenti.

Da dove ha origine questa complessità?

A partire dalla ricerca – o meno – di un figlio e poi dalla notizia della gravidanza, una donna comincia un percorso che la mette in contatto con il proprio corpo, ma anche con la propria storia e la propria emotività. È un periodo fatto di profondi cambiamenti e allora come mai facciamo fatica a considerarlo emotivamente variabile? Questa è la domanda che va posta dal punto di vista sociale. I genitori stessi sono immersi in questi preconcetti e devono farci i conti. E non ne restano esclusi nemmeno gli operatori che lavorano in ambito perinatale. Lo siamo tutti, spesso inconsapevolmente. Dirottiamo le nostre credenze sull'altro facendogli credere che lui non vada bene, sulla base di una convinzione che è solo nostra.

Cosa potrebbe far più paura, o mettere più in discussione, all'interno di una gravidanza?

Siamo abituati, soprattutto in questo periodo storico, ad avere tutto sotto controllo, a determinare la nostra vita. Invece, la gravidanza e i primi mesi di vita di un bambino sono proprio una fase in cui quasi tutto è fuori "programmazione". Il cambiamento che investe i genitori, e in particolare la donna, è al di fuori dalla sua volontà.

Proviamo allora a capire un po' meglio questo cambiamento…

Più ci si addentra in questo percorso, e più emergono i vissuti emotivi che magari fino a quel momento eravamo riusciti a mettere da parte, a lasciare un po' latenti. La donna va incontro a un processo regressivo psichico, che è funzionale alla costruzione della relazione con il bambino. Ma porta anche a fare i conti con tutta una serie di porte che si aprono. E prima di rimanere incinta, una donna ne era probabilmente ignara perché questi aspetti non vengono raccontati.

Come incide questo percorso a livello emotivo?

Può incidere moltissimo a livello emotivo. Quando questi vissuti sono molto forti o inaspettati, portano con sé emozioni contrastanti. Ci si rende conto che non solo è difficile viverli, ma anche condividerli. Perché in fondo siamo convinti che, una volta condivisi, questi momenti rovinino l'idea di quel periodo come di quello più bello della vita. E così le risposte che arrivano spesso sminuiscono o banalizzano gli eventuali sentimenti conflittuali, mentre dovrebbe esserci un'accoglienza, un dire "hai ragione, è legittimo provare tutto questo".

Con l'arrivo delle nuove generazioni e una maggiore coscienza della parità di genere, che ha portato con sé una definizione dei ruoli meno netta rispetto a una cinquantina di anni fa, la situazione di una coppia di genitori o di una madre è migliorata da questo punto di vista?

Non esiste una risposta univoca, perché dipende dalla storia della singola coppia. Tra la nostra generazione e quella precedente c'è stato uno stacco importante, anche se non c'è ancora una rottura totale rispetto alla divisione dei ruoli nell'ambito della genitorialità. Oggi sicuramente abbiamo una consapevolezza diversa della parità di genere, della possibilità che una donna ha di realizzarsi e autodeterminarsi o di un uomo di dedicarsi affettivamente alla cura di un figlio.

Qualsiasi sia l'emancipazione di una coppia, ogni volta che arriva un figlio tutto viene rimesso in discussione

Ma qualsiasi sia l'emancipazione di una coppia, quando arriva un figlio tutto viene rimesso in discussione. Come individui infatti siamo comunque portatori di queste visioni. Il padre può cadere nel tranello di lasciare che sia la madre a prendersi cura del bimbo che piange, ma anche la madre può cadere nel tranello di dire "dallo pure a me".

A proposito del padre, non risente anche lui di questi stereotipi?

Assolutamente. Quanto è ammessa l'affettività dell'uomo nell'immaginario collettivo? E quanto è ammesso invece una madre che esce dall'ambito familiare per dedicarsi al lavoro extradomestico, mentre il padre si prende cura a 360 gradi del bambino? Sono tutti aspetti che piano piano stiamo introducendo nella nostra cultura, ma non siamo ancora del tutto emancipati. All'interno del Perinatal Webdoc abbiamo proprio deciso di dedicare una parte solo ai padri. E ritorna spesso nelle testimonianze una grande frustrazione, di padri che hanno deciso di dedicarsi all'accudimento dei figli e poi magari si sentono chiamare "mammi". Questo termine non rende merito né a loro, né alle loro compagne. Viene semplicemente invertito un sistema che è variabile, e non lo concepiamo così solo a causa di un pregiudizio culturale.

Questa ambivalenza di sentimenti è un'esperienza che accomuna tutte le donne quando diventano madri? 

Naturalmente no. Ci sono donne che vivono tutto in modo molto lineare e affrontano con serenità anche gli aspetti più faticosi. Ma ce ne sono altre che attraversano questi momenti di scissione e non si riconoscono più in quello che sono diventate. Inoltre, subentrano anche aspetti riorganizzativi che portano con sé una fatica concreta e che possono avere un peso nella percezione di sé e della coppia, mettere in risalto ansie e paure. Ma quanto ciascuno un genitore possa permettersi di esprimere dipende molto dal contesto nel quale è calato. La donna, in questi momenti di difficoltà o di ambivalenza emotiva, deve potersi confrontare con qualcuno all'interno della sua famiglia o di un gruppo, dove sia garantita una condivisione onesta, senza giudizio. Non si tratta di trovare subito una soluzione, ma un alleggerimento.

Come mai ha deciso di dedicarsi a questo tema e di scrivere poi un libro sull'argomento. Ha incontrato donne che le hanno raccontato questi vissuti o lo spunto le è arrivato da un'esperienza personale?

La seconda: la voglia di lavorare a questo tema è nata dalla mia esperienza di maternità e dalle mie personali catastrofi. Ho iniziato a rendermi conto di questo processo per il quale ero delegittimata nel condividere determinate cose e quindi ho voluto capirlo meglio. È stato il naturale evolversi di 10 anni di lavoro e formazione, durante i quali mi sono documentata e ho approfondito l'origine di questi stereotipi culturali, sia mentali che visivi, in modo da sviluppare una serie di riflessioni che aiutassero a prenderne coscienza e ad abbatterli.