La pretesa di avere le password, di imporre l'abbigliamento da indossare, le persone da frequentare. La violenza ha mille sfaccettature di cui magari non ti accorgi perché rientrano nella visione stereotipata del mondo e delle relazioni che tutti noi abbiamo appreso involontariamente. Nasce tutto dalla volontà di controllo, di sopraffazione di una persona sull'altra, spesso di un soggetto maschile su quello femminile. E se stai pensando alla violenza di genere in età adulta, sappi che anche gli adolescenti non ne sono immuni, anzi. Un recente report ci spiega che alcune dinamiche di violenza sono più attive che mai tra i giovanissimi, da quella psicologica a quella fisica, e alla base ci sono un'accettazione e un'identificazione in modelli già scritti e ricorrenti che vivono tra le pareti di casa, nelle aule scolastiche e nella società più in generale.
Indaghiamo cosa si nasconde dietro alla violenza adolescenziale con l'aiuto della dott.ssa Cristina Martegani, psicologa scolastica, psicoterapeuta e coordinatrice del Servizio di Psicologia Scolastica dell'Azienda Sociale Comuni Insieme (ASCI) del distretto Fino M.-Lomazzo (CO), ente che integra realtà scolastiche, servizi sociali e specialisti sanitari in un'ottica di prevenzione dei disagi giovanili sul territorio.
Di un campione di 361 giovani di età compresa tra 14 e 19 anni, il 23% dichiara di essere stato/a vittima di un episodio di violenza (principalmente ragazze) e il 58% è stato testimone di violenza indiretta. Questo è il dato più allarmante che emerge dalla survey “Teen Community” condotta da Fondazione Libellula che indaga la percezione della violenza di genere tra gli adolescenti. Approfondendo il tipo di violenza, quella diretta è stata di tipo verbale al 68%, fisica al 51% e psicologica al 43%. Nel 50% dei casi, l'aggressore era un conoscente e nel 38% un amico. Solo il 15% delle vittime ne ha parlato con una persona adulta di riferimento (tutte ragazze), e solo il 17% a un ente preposto (di cui l'80% ragazze). Chi non ha chiesto aiuto o si vergognava (39%) o non sapeva cosa fare (37%) o voleva uscirne da solo (42%).
La differenza di percezione tra i due generi si traduce in numeri preoccupanti: per esempio, solo il 33% dei ragazzi tra i 18 e i 19 anni ritiene inaccettabile che un ragazzo diventi violento in seguito a tradimento, contro il 79% delle ragazze, o ancora, solo il 29% degli adolescenti non è d’accordo sul fatto che il controllo non è sinonimo d’amore (contro il 48% delle ragazze). Sono ritenute poco o per niente forme di violenza il controllare di nascosto il cellulare o i profili altrui (39%), impedire al/la partner di accettare amicizie online (33%), chiedere al/la partner con chi e dove è quando è fuori (33%), dire al/la partner quali vestiti può o non può indossare (26%). Ugualmente i concetti di responsabilità individuale e di consenso sembrano non essere chiari: solo il 53% delle persone intervistate ritiene che baciare qualcuno/a senza il suo consenso sia decisamente una forma di violenza, mentre per il 15% lo è per nulla o poco. Gli stereotipi di genere permangono: per il 33% è normale che un ragazzo sia più interessato al sesso rispetto a una ragazza e il 50% è molto o abbastanza d’accordo sul fatto che i ragazzi e le ragazze abbiano per natura capacità diverse.
Sono relazioni in cui c'è uno che si erge a dominatore e l'altro è il dominato, quasi mai sono relazioni simmetriche
Per indagare meglio il fenomeno occorre cercare là dove i ragazzi trascorrono la maggior parte del tempo: a scuola. Nelle attività di consulenza a docenti e genitori tra scuole primarie e negli sportelli d'ascolto delle scuole secondarie di primo grado, i casi di violenza psicologica sono già evidenti, come conferma Cristina Martegani, che spiega: "Sono molto pochi i casi in cui si arriva a interventi per conclamati episodi di violenza sessuale ma vediamo moltissima la violenza psicologica. I dati dell'Ordine degli psicologi ci dicono che c'è un’escalation alimentata dalla dimensione dell'online".
Molto forte è la dimensione del controllo, così come ci rivelano i dati della survey precedente. Che sia un amico stretto o il partner, la tendenza è quella di chiedere all'altro costantemente dove si trova, di tendersi sempre reperibile e di avere tutte le sue password. "Si cerca l'esclusività del contatto anche online (credenziali per entrare sui social, lo sblocco del telefono, ecc) e sono relazioni in cui c'è uno che si erge a dominatore e l'altro è il dominato, quasi mai sono relazioni simmetriche e molti ragazzi, ma anche ragazze, fanno fatica a riconoscere che è una forma di prevaricazione. Si pretende materiale privato dall'altro, gli si impone quali amici frequentare, quali vestiti indossare, il soggetto dominante isola e scredita l'altro nella cerchia delle conoscenze così che venga collegato e dipenda solo a lui. In questa mania di controllo non c'è differenza tra maschi e femmina e si tratta a tutti gli effetti di forme di violenza psicologica".
La prevaricazione e il bullismo nascono così, dalla volontà di esercitare il proprio predominio sugli altri e dallo scarso senso critico ciò sfocia in forme più evidenti di violenza al crescere dell'età. "Nella alte classi della scuola primaria ci sono già casi di fatiche relazionali e tra seconda e terza media quelli più eclatanti – spiega l'esperta – Se la prevaricazione femminile si concentra sullo scredito dell'altro attraverso il pettegolezzo, quella maschile sull'esercizio della forza fisica. I ragazzi stessi vittima non si rendono conto della violenza. Manca proprio il senso critico e la consapevolezza".
Tra violenza tra coetanei e violenza assistita o subita in famiglia, i ragazzi che chiedono aiuto ci sono, ma spesso su suggerimento di un amico. "La maggior parte delle vittime segnala dopo che un coetaneo ha riconosciuto il problema, solo allora si espone e racconta. Ciò che vediamo con più frequenza agli sportelli sono relazioni asfissianti tra coetanei o conflittualità familiari in cui i ragazzi sono maltrattati psicologicamente. Le ragazze, poi, ci riportano toccamenti da parte di adulti o di ragazzi più grandi di loro, per fortuna in pochi casi" conclude Martegani.
Gli stereotipi di genere sono ancora molto comuni, nascono dall'ignoranza e dal mancato senso critico
Alla base di qualsiasi tipo di violenza di genere c'è la volontà di controllo e di potere dell'uomo sulla donna. Questo visione è figlia di una cultura patriarcale in cui è il soggetto maschile a stabilire ogni regola di vita e la donna è vista come un oggetto che deve sottostare alla sua volontà. Tuttora, nella maggior parte dei casi di violenza domestica, non esistono delle vere cause contingenti, si tratta più che altro di banalità, pretesti che l'uomo utilizza per cercare di ristabilire il suo "dominio" in casa. L'Istat conferma la presenza di queste basi culturali, infatti, dai dati si osserva che nel 28,1% dei casi la donna ha dichiarato che la lite è stata originata da futili motivi o addirittura da nulla di particolare (9,3%), fattori emergenti sono poi la gelosia del partner (27,9%) e la separazione (10,5%). Essendo ancora presenti in società, è facile che anche le nuove generazioni assorbano gli stereotipi di genere anche nelle proprie famiglie d'origine e così diano vita a dinamiche di violenza del tutto simili a quelle che coinvolgono gli adulti.
"Gli stereotipi di genere sono ancora molto comuni, nascono dall'ignoranza e dal mancato esercizio del senso critico – conferma Martegani – A partire dalle elementari, durante lo svolgimento dei progetti di educazione all'affettività e alla sessualità, notiamo che per i bambini alcune professioni sono tipiche delle donne come altre degli uomini e questa visione è evidente anche nei colloqui agli sportelli con i genitori. Di solito, anche per gli adulti, il gioco della cucina è femminile, così come qualsiasi cosa rimandi alle attività quotidiane, e ciò che riguarda il movimento e l'azione è maschile. Lo stereotipo è molto forte nella mente dei piccoli e lo è perché è stato appreso in famiglia". Nonostante questi preconcetti possano sembrare innocui, se uniti a un insieme di latri fattori possono innescare dinamiche oppressive o di accettazione della violenza perché nella nostra testa appare poco pericolosa, tutto sommato normale. "Gli stereotipi possono essere solo pensati ma anche agiti – precisa l'esperta – e ciò accade quando ci sono fattori precipitanti come il contesto sociale, modelli genitoriali sbagliati e funzionamenti psicologici basati sulla disregolazione emotiva. Se sono radicati nella mente di una donna non le fanno rendere conto del pericolo perché il controllo è percepito come una forma di amore".
Ma che fare? "Questi preconcetti dovrebbero essere scardinati dai modelli impartiti dai genitori, in primis, anche parlando apertamente con loro del mondo della affettività e della sessualità, con parole adeguate alla loro età. Ascoltare e rispondere alle domande e porsi come modello per i figli serve loro per apprendere cosa sia una relazione affettiva funzionale tra partner" precisa la psicologa.
Per arginare la violenza occorre agire soprattutto sull'educazione di bambini e bambine, insegnare loro ad analizzare e a mettere in discussione ogni credenza così da combattere gli stereotipi ancora prima che vengano appresi. "Non c'è senso critico nei più piccoli e, per questo, organizziamo laboratori e serate informative e formative anche con i genitori così che siano autorevoli, coerenti e più attrattivi di internet e dei social. Insegniamo ai bambini il rispetto del loro corpo con progetti di educazione all'affettività che portiamo nelle scuole. Qualsiasi gesto, che abbia anche una sostanza positiva come un bacio o un abbraccio, se non è desiderato dall'altro è qualcosa che non si fa. Questa è la base, per evitare che gli adolescenti non riconoscano nemmeno le forme di violenza in cui incappano e, che quindi, non sanno gestire" conclude la psicologa.
La prevenzione può fare tanto, aumenta la consapevolezza dei ragazzi e dà loro le basi per affrontare un mondo che ha sempre in serbo nuovi mezzi per mettere in pratica antiche credenze. Tutto sta a insegnare loro come difendersi senza lasciarli in balia di luoghi comuni e modelli malsani.
Fonti | Fondazione Libellula; Istat