Comprare capi usati? Non sempre si risparmierebbe una quantità sufficiente di CO2, ecco invece cosa possiamo fare noi

La moda è tra i settori più inquinanti sul Pianeta. Riuso, rivendita, riciclo: il ruolo di produttori e consumatori per ridurre l’impatto ambientale.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Andrea Di Piazza Geologo specializzato in Green Management
22 Novembre 2023 * ultima modifica il 22/11/2023

L’industria della moda è uno dei pilastri dell’economia europea e mondiale, ma rappresenta anche uno dei settori a maggiore impatto ambientale. A livello planetario si stima che le filiere del “fashion” producano il 10% delle emissioni globali di anidride carbonica, consumino oltre 93 miliardi di metri cubi d’acqua nella sola fase di produzione e abbiano un impatto significativo sullo stato dell’idrosfera. Si stima infatti che la produzione tessile sia responsabile di circa il 20% dell’inquinamento globale delle acque potabili e che il lavaggio dei capi sintetici, provochi il rilascio di circa 0,5 milioni di tonnellate di microfibre nei mari. Basta pensare che un unico carico di bucato di indumenti sintetici (es. poliestere) può comportare il rilascio di circa 700.000 fibre di microplastica, che sfuggono ai sistemi di depurazione delle acque finendo nella catena alimentare.

Secondo alcune stime della Commissione Europea, entro il 2030, il consumo di capi e di abbigliamento dovrebbe crescere ancora del 63% rispetto ad una produzione che soltanto tra il 2020 e il 2015 è quasi raddoppiata. La colpa è in particolare del “fast fashion” ovvero quel settore che realizza abiti di bassa qualità a prezzi molto ridotti e che lancia nuove collezioni continuamente. Una logica di mercato che va contro il rispetto dell’ambiente e quindi anche della nostra salute. Quali soluzioni è possibile apportare per limitare gli impatti della filiera tessile? E quale può essere il ruolo di ciascuno di noi?

Rivendere per inquinare meno? Non sempre è così

Una prima soluzione può essere quella della rivendita o della re-immissione a consumo dei capi usati. L’upcycling del resto è un fenomeno che sta già avendo un impatto significativo nel mondo della moda: da grandi distributori a nomi importanti del fashion system, sono ormai tanti i protagonisti di una stagione che vuole fare della sostenibilità il proprio principio cardine. Rivendere, riutilizzare, ridare nuova vita ai vestiti è possibile e conveniente a patto che questi siano di buona qualità.

Nemmeno intervenendo sulla rivendita si risparmierebbe una quantità sufficiente di CO2

Secondo uno studionon sottoposto a revisione scientifica, ndr – di Trove, azienda specializzata nella sostenibilità della rivendita dei capi di abbigliamento, insieme a Worldly, una società di analisi dei dati molto attiva sul fronte della sostenibilità, disaccoppiare la crescita del settore moda dalle emissioni è possibile ma non per tutti. Il team di ricerca ha individuato tre possibili scenari al 2040 per cinque tipologie di settore (abbigliamento oudoor, di qualità, per il tempo libero, di fascia media, fast fashion) con l’assunzione base che ogni anno i ricavi di ogni marchio aumentino del 5% e del 2% il prezzo di ogni prodotto considerato: nello scenario 1business as usual” tutto resterebbe uguale ad oggi, nello scenario 2 si ipotizzano interventi sulla filiera per ridurre annualmente di almeno il 2% le emissioni su ogni prodotto, mentre nello scenario 3 si aggiungerebbe, alle ipotesi dello scenario 2, un modello circolare della gestione dei prodotti che si basa sulla rivendita dell’usato e sull’efficienza della logistica inversa.

Nel caso dello scenario 3 i risultati sono abbastanza soddisfacenti per l’abbigliamento e di qualità che vedrebbero una riduzione delle emissioni di CO2 compresa tra il 15 e il 16% a fronte di un "costo ambientale" per capo che nel primo caso è di circa 12 kg di CO2, mentre nel secondo caso sale a 16 kg. Completamente diversa è invece la situazione del fast fashion: nemmeno intervenendo sulla rivendita si risparmierebbe una quantità sufficiente di CO2, appena lo 0,7%. Ciò è chiaramente dovuto al bassissimo valore degli abiti dei colossi dell’abbigliamento “mordi e fuggi” rispetto al proprio costo ambientale. È evidente dunque che se la rivendita può essere un metodo di contrasto alle emissioni utile per una parte dell’industria tessile, non lo è certamente per il fast fashion per cui vanno pensate altre misure. Quali?

Parola d’ordine: riciclo

Il riciclo delle fibre tessili resta una delle vie principali da seguire per garantire la circolarità di queste risorse. A livello mondiale si stima che, oggi, solo l’1% degli scarti tessili sono riutilizzati e l’85% della produzione finisce in discarica, spesso tra l’altro in Paesi che non hanno le infrastrutture per smaltire correttamente i rifiuti. Avrete tutti sentito parlare dell’immensa discarica di vestiti nel deserto dell’Atacama in Cile: milioni di tonnellate di vestiti che spesso vanno a fuoco inquinando l’ambiente o le falde acquifere.

L’Europa e l’Italia da questo punto di vista stanno facendo la loro parte: gli Stati membri dovranno raccogliere separatamente la frazione tessile in maniera obbligatoria entro il 2025, ma in Italia quest'obbligo, rivolto ai Comuni, è stato anticipato al primo gennaio 2022. Secondo gli ultimi dati pubblicati dal Rapporto rifiuti urbani 2022 di Ispra, nel 2021 sono state raccolte complessivamente oltre 154.000 tonnellate di frazione tessile di cui il 60% è stato riutilizzato, il 30% riciclato mentre soltanto il 10% è stato inviato a smaltimento. L’obiettivo ora è quello di implementare il sistema di raccolta differenziata e sviluppare le tecnologie di riciclo nonché il parco impiantistico nazionale, del resto, non solo a valle ma anche a monte dei rifiuti tessili, esiste un settore industriale di primo piano. A parità di qualità del rifiuto in ingresso, al momento le tecniche di riciclo più funzionali sono anche quelle meno efficienti da un punto di vista energetico, ma l’innovazione tecnologica nel settore è in rapido sviluppo.

Il PNRR da questo punto di vista sta dando un contributo attraverso una linea di intervento dedicata proprio all’implementazione della raccolta differenziata del tessile e alla realizzazione di nuovi impianti per il riciclo. Si tratta di risorse pari a 150 milioni di euro che andranno a finanziare nuovi impianti in tutta Italia. L’avviso pubblico ha visto un’ottima risposta delle aziende, considerato che sono state trasmesse proposte per un valore complessivo pari al doppio delle risorse messe a bando.

iniziativa finlandia contro fast fashion

Il ruolo dei produttori

Parole chiave per una riconversione green della moda sono anche responsabilità estesa del produttore, ecodesign, trasparenza e controllo della filiera, senza tralasciare il ruolo dei consumatori.

Entro il 2030 i prodotti tessili immessi sul mercato dell’UE saranno durevoli e riciclabili, in larga misura realizzati con fibre riciclate, prive di sostanze pericolose e prodotte nel rispetto di diritti sociali e ambiente” è questa la promessa della EU Strategy for Sustainable and Circular Textiles, una strategia che fa parte del pacchetto di proposte della Sustainable Product Initiative (SPI) pubblicato dalla Commissione Europea a giugno di quest’anno. Strategia di cui fa parte l’introduzione dei sistemi di “Responsabilità Estesa del Produttore” (EPR) ovvero quei meccanismi per cui i produttori di tessili saranno responsabili finanziariamente della gestione del fine vita dei loro prodotti, dalla raccolta alle successive fasi di recupero di materia, energia o di conferimento in discarica. Se correttamente implementati questi sistemi possono apportare notevoli benefici di carattere ambientale e industriale tra cui l’incremento dei tassi di intercettazione, il finanziamento delle fasi di raccolta e trattamento dei flussi di rifiuto e la diminuzione della dipendenza da materie prime vergini, grazie all’ottenimento di Materie Prime Seconde derivanti dal riciclaggio.

Ad oggi l’unico Paese europeo con uno schema funzionante di EPR nel settore tessile è la Francia che vede un unico consorzio settoriale, responsabile della catena del valore dei materiali. In attesa del recepimento delle indicazioni comunitarie in Italia sono attivi quattro consorzi Retext.Green (fondato da Sistema Moda Italia e Fondazione del Tessile Italiano), Ecotessili (fondato da Federdistribuzione), Cobat Tessile (parte di COBAT, piattaforma multi-consortile controllata da Innovatec) e Re.Crea (coordinato da Camera nazionale della moda Italiana e fondato da diversi noti brand di moda italiani). Vi è poi UNIRAU che riunisce le imprese di raccolta, riuso e riciclo dell’abbigliamento usato.

Seguendo le indicazioni della Commissione Europea, ma anche alla luce dei risultati ottenuti dallo studio citato in precedenza, è evidente che la qualità dei materiali di partenza e dunque l'ecodesign ha un ruolo chiave nella circolarità delle risorse tessili. In questo senso capi realizzati con combinazioni limitate di materiali differenti (meglio se di un unico materiale che non sia una fibra sintetica) e di componenti chimiche, non solo facilita il riciclo dei tessuti ma riduce anche l’impatto ambientale sul ciclo di vita del prodotto.

Dunque design sostenibile, controllo della filiera e qualità delle materie prime sono drivers fondamentali per creare un prodotto che sia possibile riutilizzare o da cui è possibile ricavare le fibre per l’avvio a riciclo. Ma noi consumatori cosa possiamo fare?

Il ruolo del consumatore: qualità e non quantità

Se i decisori politici stanno già lavorando alla definizione delle modalità più idonee per ridurre gli effetti derivanti dalla gestione dei rifiuti tessili, i consumatori hanno un ruolo estremamente importante nell’orientare l’industria. Come? Innanzitutto scegliendo capi di migliore qualità, compatibilmente con le proprie disponibilità economiche, e che non impieghino l’uso di fibre sintetiche. In questo modo si aumenta la durabilità dei capi e si riduce la produzione dell’eventuale rifiuto. Bisogna assolutamente rinunciare al fast fashion che, come abbiamo visto, è la parte meno sostenibile della filiera del tessile. Bisogna ricordare che i capi possono essere ricuciti, risistemati, possono tornare facilmente a nuova vita, non bisogna per forza disfarsene. Qualora però non voleste più indossare un capo, magari perché ormai fuori taglia, è possibile ridargli nuova vita utilizzando app e siti di rivendita online. Un’altra opportunità è quella di donare i propri vestiti a chi ne ha bisogno tramite le associazioni dedicate.

Se un capo poi è troppo danneggiato, allora è necessario conferire negli appositi contenitori della raccolta differenziata i vostri prodotti tessili. Qualora nel vostro Comune non fosse ancora attivo il servizio di differenziazione di questa frazione, potete sempre lasciare il materiale nell’isola ecologica più vicina, provvederà il gestore del servizio al corretto avvio a riciclo o smaltimento.

Istituzioni, produttori, consumatori e imprese, siamo tutti chiamati ad affrontare la sfida di una gestione sostenibile di abiti, scarpe, borse, pantaloni, oggetti di uso quotidiano che a seconda delle nostre decisioni e dei nostri comportamenti possono conservare il proprio valore anche quando per noi sembrano non averne più alcuno.

Dopo una laurea in Geologia ed un dottorato di ricerca presso l'Università degli Studi Roma Tre, ha lavorato come ricercatore presso altro…