
Quando Mattia, il 38enne di Codogno, è stato ricoverato in gravi condizioni per l’infezione da Covid-19, credo che non pochi si siano chiesti come un uomo sportivo, iscritto a un gruppo podistico, potesse avere tali difficoltà respiratorie. Il pensiero che devono aver avuto in molti è stato: se è messo così male lui, figurati uno che non è neppure allenato.
Poco prima di ammalarsi, Mattia aveva corso due mezze maratone ravvicinate, rispettivamente il 2 e il 9 febbraio, oltre a giocare una partita di calcio la settimana successiva quando, con molta probabilità, aveva già contratto il virus.
Quello che si è verificato in Mattia è stato un calo delle difese immunitarie, condizione che tra l'altro ha un nome preciso: viene definita "open window". Si tratta, infatti, di una finestrella di tempo in cui il sistema immunitario ha una sorta di défaillance. Questo succede particolarmente dopo una sessione di esercizio fisico prolungato e ad alta intensità. In questo lasso di tempo, che può oscillare dalle 3 alle 72 ore successive ad un allenamento particolarmente intenso, il rischio di contrarre un’infezione può aumentare.
La scienza spiega tutto. Immaginiamo che tu sia uno sportivo abituato ad allenarsi tre o quatro volte la settimana nel running. Dopo una sessione di un’ora e mezzo i tuoi muscoli sono parzialmente infiammati a causa dello sforzo intenso a cui li hai sottoposti. Il tuo sistema immunitario si attiva per difendersi e richiama i leucociti per difendersi dall’infiammazione in modo da tornare al più presto ad una situazione normale; tutto ciò, ovviamente, non succede in pochi minuti, ma occorrono diverse ore per ristabilire la normalità.
Con un’attività ad alta intensità diminuisce anche l’efficacia dei linfociti T, di norma impegnati nelle difese dell’organismo. Allo stesso modo, calano di numero e di resistenza anche le immunoglobuline IgA salivari, le cellule per l’appunto presenti nella saliva, fondamentali per le difese immunitarie.
Come spiega il Dottor Giuseppe D’Antona, direttore del Centro di Medicina dello Sport di Voghera – Università di Pavia in un’intervista sulla testata sportiva Correre: “Se in questo lasso di tempo (open window, ndr) il soggetto si espone a zone di possibile contagio virale e coesistono condizioni cliniche già predisponenti una possibile aggressione microbica (nutrizione inadeguata, infiammazioni croniche, disturbi del sonno, infezioni batteriche in atto, eccetera), il rischio che si possa contrarre un’infezione virale può essere molto alto. È come dire che pur disponendo di un buon esercito a difesa dell’organismo, parte di questo esercito è costantemente impegnato in altre mansioni e non può essere impiegato a mantenere le prime linee di attacco contro agenti patogeni di varia natura".
Come ci si deve comportare quindi? Innanzitutto non è che lo sport sia da demonizzare, anzi. Praticato con costanza contribuisce al benessere psicofisico. In questo momento la raccomandazione è quella di ridurre intensità, durata e frequenza dei propri allenamenti, soprattutto se avverti dell'affaticamento.
L'attività fisica dovrebbe invece essere sospesa in presenza di sintomi come febbre, dolori addominali e diarrea oppure disturbi a carico delle alte vie aeree (tosse e mal di gola); tutti sintomi che potrebbero essere il segnale di un'infezione in atto.