Le strategie per farti acquistare di più valgono anche per l’usato: cos’è il fast vintage e perché non è la soluzione

Anche tu hai passione per il vintage e l’usato? Se con la scusa che questi acquisti sono più sostenibili spendi più del dovuto, forse dovresti pensare alle strategie di vendita utilizzate, del tutto simili a quelle del fast fashion.
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Evelyn Novello 15 Febbraio 2024
In collaborazione con Dott.ssa Paola Mosini Psicologa e psicoterapeuta Humanitas PsicoCare

Comprare abbigliamento usato è davvero la soluzione per abbattere l'inquinamento prodotto dal fast fashion? La produzione di vestiario su larga scala è fonte di sfruttamento sia della manodopera che delle risorse ambientali e tutto ciò rende possibili costi finali molto ridotti che invogliano il consumatore ad acquistare anche senza una reale necessità. Ma se ti dicessi che strategie di marketing di questo tipo sono riscontrabili anche nel mercato del vintage?

Il fine è sempre quello di incentivare acquisti inutili e non preventivati. Come spiega la content creator Cecilia Cottafavi, il fast vintage è "la tendenza all'acquisto compulsivo di abiti vintage, senza dargli valore e trattandoli come usa e getta". Se ci fai caso, convenienza e facilità d'acquisto animano ormai anche i mercatini dell'usato con il risultato che torniamo a casa con borsate di vestiti e oggetti che finiranno dimenticati sul fondo dell'armadio. Ma allora, la soluzione agli sprechi del fast fashion può risiedere solo nel second hand?

L'insostenibilità del fashion

Negli ultimi due decenni, la produzione e il consumo tessile globale sono quasi raddoppiati e il mercato globale della moda dovrebbe salire, da 1,5 trilioni di dollari nel 2020, a circa 2,25 trilioni di dollari nel 2025. Questi grossi volumi di vendita rendono il settore della moda uno dei più inquinanti a livello globale, classificandosi tra le prime tre cause del consumo di acqua e di suolo, nonché una delle prime cinque per uso di materie prime ed emissioni di gas serra. Uno studio del 2022 ricorda che l'industria del fashion richiede ogni anno 79 miliardi di metri cubi di acqua (circa il 20% del consumo totale di acqua del mondo), genera 1,7 miliardi di tonnellate di CO2 (quasi il 10% delle emissioni totali di CO2 del mondo) e produce 92 milioni di tonnellate di rifiuti tessili.

Per contrastare queste cifre in continua crescita, ci si sta muovendo in due direzioni. Da una parte, l'Unione Europea prevede che entro il 2030 i prodotti tessili venduti nel nostro territorio siano riciclabili e di lunga durata, composti principalmente da fibre riciclate, privi di composti nocivi e fabbricati secondo gli standard sociali e ambientali. Dall'altra, la tendenza a comprare sempre più capi di seconda mano sta, in parte, scardinando la cultura dello shopping veloce e su larga scala. Se spulci tra i mercatini dell'usato, potrai scovare capi vintage che conservano il loro valore nel tempo perché, spesso, di una qualità sensibilmente maggiore di quella delle grandi catene.

La soluzione è il vintage?

L'acquisto di abbigliamento second hand allunga la vita di un prodotto e contribuisce a ridurre le emissioni totali del mercato del fashion. Una ricerca Oxfam del 2023 spiega che se ogni adulto del Regno Unito donasse tutti i vestiti che non ha indossato nell'ultimo anno a negozi di beneficenza, che sarebbero, quindi, usati da qualcun altro, si potrebbero evitare 4,9 miliardi di kg di carbonio nell'atmosfera che equivalgono a quelle di un aereo che vola intorno al mondo più di 6.600 volte. Ma, c'è un ma.

Avrai sicuramente notato che molte strategie di vendita di merce usata non sono così distanti da quelle del fast fashion. Si gioca sempre sulla promozione a breve termine e sulla convenienza, facendoti credere che portarti a casa grandi quantità di prodotti a prezzi stracciati sia un affare imperdibile. Non a caso, alcune svendite di abbigliamento second hand sfruttano la strategia dell'all you can wear, permettendoti di riempire una borsa o un cestino di vestiti, finché riesci, pagando una quota fissa. Sullo stile dell'all you can eat, insomma.

Certo, non si tratta di merce nuova ad alto impatto ambientale, ma sempre di acquisto compulsivo stiamo parlando. Alcuni critici, infatti, sostengono che il mercato dell'usato sia sì un'alternativa più sostenibile del fast fashion ma che incoraggi, al tempo stesso, il consumo eccessivo perché amplia l'accesso all'abbigliamento a basso costo. Il rischio di riempire l'armadio di vestiti, borse e scarpe che non useremo mai, quindi, c'è sempre. Senza contare, comunque, le emissioni causate dal trasporto e dall'imballaggio di questa merce (fatto ancora più evidente se guardiamo alle app ormai note che permettono la compravendita di usato).

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"L'idea dell'affare c'è sempre – spiega la dott.ssa Paola Mosini, psicologa e psicoterapeuta. – Le promozioni che sembrano molto vantaggiose sfruttano le fragilità delle persone e, situazioni in cui si gioca sulla sostenibilità dell'acquisto, come i mercatini second hand, vanno a colpire le persone che più sono sensibili al tema ambientale. Il fatto che un articolo sia usato di per sé non incide su chi acquista in modo compulsivo, ma può essere un pretesto o una strategia per sentirsi meno in colpa".

Come uscirne, quindi? Alcuni semplici accorgimenti possono davvero fare la differenza, continua a preferire il vintage e il second hand ma compra con più consapevolezza. Evita gli acquisti d’impulso, quelli a cui ci spingono i trend del momento, che non solo non aiutano l’ambiente ma anche il nostro portafoglio. Scegli capi o oggetti che ti piacciono davvero, ragionando anche sull’utilizzo che ne farai e sui look che potrai creare. Preferisci i mercati cittadini agli acquisti online, che ti permetteranno di inquinare molto meno in termini di imballaggio e spedizione. E, ovviamente, cerca di non farti ingannare dalle iniziative che promuovono un acquisto facile e precipitoso.

Fonti | "Slowing the fast fashion industry: An all-round perspective" pubblicato su Current Opinion in Green and Sustainable Chemistry nel dicembre 2022; "Secondhand clothing sales are booming – and may help solve the sustainability crisis in the fashion industry" pubblicato su The Conversation il 16/12/2020; Oxfam.