Cos’è davvero l’empatia? Come svilupparla nella coppia o con i figli

L’empatia è quella capacità di ascoltare e comprendere i sentimenti e gli stati d’animo di chi ci sta di fronte, il provare a guardare il mondo con i suoi occhi. Non è sempre così facile da mettere in pratica, ma è davvero importante sia in una relazione che nel rapporto genitori-figli.
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Dott.ssa Samanta Travini Psicologa Psicoterapeuta
19 Febbraio 2021 * ultima modifica il 19/02/2021

L’empatia è la capacità di comprendere i pensieri e gli stati d’animo di un’altra persona. È un processo che si attiva quando cessiamo di focalizzare l’attenzione soltanto sui nostri pensieri e sulle nostre percezioni, per attivare un reale l’interesse verso l’altro.

Quindi, l’empatia non è solo “mettersi nei panni dell’altro” o come dicono gli anglosassoni “in your shoes”, ma si basa su una relazione di scambio, in cui l’individuo mette in secondo piano il suo modo di percepire la realtà, per cercare di comprendere le esperienze e le percezioni altrui, facendo in modo che l’altro avverta che il processo si è compiuto.

Cos’è l’empatia

L'empatia è un’abilità sociale di fondamentale importanza e rappresenta uno degli strumenti di base di una comunicazione interpersonale efficace e gratificante. Nelle relazioni interpersonali l’empatia è una delle principali porte d’accesso agli stati d’animo e in generale al mondo dell’altro. Grazie a essa si può non solo afferrare il senso di ciò che asserisce l’interlocutore, ma si coglie anche il significato più recondito psico-emotivo.

Cosa non è l’empatia

È importante non fare confusione dando questo nome a emozioni diverse.

L’empatia non è:

  • compassione: quest’ultima è una forma di empatia unita al desiderio attivo di aiutare il prossimo;
  • imitazione: essere empatici non significa imitare i sentimenti dell’altra persona e il suo comportamento;
  • pietà: questa è infatti la preoccupazione per lo stato di un’altra persona percepita come inferiore.

A cosa serve l’empatia

L’empatia porta con sé un enorme vantaggio sociale. L’umano è un animale che ha sempre fatto di socialità e cooperazione i suoi punti di forza. Grazie a loro siamo riusciti a stabilirci in cima alla piramide alimentare e a inventare la nostra tecnologia. Riusciamo a far funzionare comunità enormi e complesse grazie all’uso della parola, della scrittura e del pensiero razionale.

Ma come riusciamo a comunicare quando non abbiamo lo stesso linguaggio?

Riconoscere le emozioni degli altri e avere la certezza che gli altri riconoscano le nostre, facilita le nostre interazioni. Accade sia nel piacere, che nel dolore: quando vediamo qualcuno sbattere la testa contro un muro, “sentiamo” il suo dolore. Se invece osserviamo delle persone gioire, quella gioia è in grado di riflettersi dentro di noi.

Empatia: cenni storici

Già Platone e Aristotele erano consapevoli del processo di immedesimazione che si attivava nell’arte, in particolar modo nel teatro, tra spettatore ed eroe tragico. Difatti, pubblico e protagonista soffrivano insieme, diventavano tutt’uno. Ma per i greci l’empatia non aveva il significato che oggi le attribuiamo. Tolomeo parla di “passione fisica” e lo stesso Aristotele di “pietà e compassione”.

È solo nella seconda metà del Settecento, in Germania, che appare il termine Einfühlung, “sentire dentro”, che nasce in pieno Romanticismo per descrivere, soprattutto nell’arte e nella filosofia, la fusione tra uomo e natura come nuova percezione del mondo. Mentre, il filosofo Robert Vischer nel 1873 la definisce “la capacità di percepire la natura esterna, come interna, appartenente al nostro stesso corpo”.

Sarà Theodor Lipps nel 1906 a utilizzare la parola Einfühlung per descrivere l’empatia come funzione psicologica fondamentale per la partecipazione emotiva.

Invece, nel 1917, sarà Edith Stein a fare un passo avanti nella definizione di empatia come comunicazione intersoggettiva: “l’empatia è l’atto paradossale attraverso cui la realtà di un altro, di ciò che non siamo, non abbiamo ancora vissuto o che non vivremo mai e che ci sposta altrove, nell’ignoto, diventa elemento dell’esperienza più intima cioè quella del sentire insieme che produce ampliamento ed espansione verso ciò che è oltre, imprevisto”.

Ma è grazie allo psicologo inglese Edward Titchener (1909) che il termine empatia assume il significato odierno. Infatti, Titchener cercava una parola diversa da “simpatia” (sentire insieme quello che uno prova), per indicare la capacità umana di mettersi al posto degli altri per comprenderli meglio.

Quindi, è nel corso del XX secolo che si stabilizza il concetto di empatia: la presenza di una relazione interpersonale basata sulla risposta emotiva che si attiva nel momento in cui si percepisce che un’altra persona sta provando un’emozione.

Empatia e neuroni specchio

Rizzolatti ha scoperto l’esistenza di particolarissimi neuroni che si trovano nelle aree cerebrali deputate ai movimenti e che si attivano quando si compie un qualsiasi gesto. La loro peculiarità è che si attivano non solo nella persona che compie quel determinato movimento ma anche in chi lo sta osservando (si capisce allora perché sono stati definiti neuroni specchio).

La rivoluzionaria scoperta di Rizzolatti ha aperto la strada a numerose altre ricerche che hanno messo in relazione i neuroni specchio con emozioni, apprendimento e altre condizioni e capacità tipicamente umane.

Questi particolari neuroni sarebbero alla base dell’empatia, la capacità che hanno gli uomini di immedesimarsi nelle situazioni e solidarizzare con le gioie e i dolori degli altri. Questa dote sarebbe dunque possibile in quanto è il nostro stesso cervello ad essere in grado, tramite i neuroni specchio, di connettersi con quello degli altri.

Questo però non avviene sempre e comunque, a volte l’empatia non scatta e i motivi possono essere diversi, il più frequente è il fatto che la persona non riconosce se stesso nell’altro. Ad esempio, secondo Rizzolati, i neuroni specchio potrebbero attivarsi o meno a causa di fattori culturali.

Sostanzialmente l’essere umano è in grado di capire e intuire anche quello che non sente in prima persona ma che sta provando qualcun altro vicino a lui, di contro però la razionalità e l’azione dei retaggi culturali possono anche bloccare questo processo.

Tipi di empatia: positiva e negativa

Empatia positiva

L’empatia positiva è la capacità di un individuo di entrare in relazione emotiva con gli altri, quindi di partecipare alla gioia o al dolore altrui. È quell’affinità che si ha con gli amici, ad esempio, basata spesso anche su esperienze comuni, ma non prevede la condivisione emotiva, il “sentire dentro” tipico dell’empatia che comporta sicuramente più impegno e disponibilità.

Empatia negativa

Invece, l’empatia negativa caratterizza chi non riesce a empatizzare con la sfera emotiva altrui, poiché il proprio vissuto e le proprie emozioni prendono il sopravvento e ostacolano l’attenzione verso l’altro. Quindi, questa barriera che impedisce di entrare in consonanza con l’altro, può derivare da un’esperienza negativa presente o passata che blocca la capacità di partecipazione emotiva.

Nel rapporto genitori e figli

Per la crescita del bambino è fondamentale un ambiente in grado di agevolare il suo sviluppo fisico ed emotivo, una base sicura per creare quei legami necessari ad affrontare la vita. Infatti, educare basandosi sull’empatia vuol dire entrare in relazione con i figli, cercare di mettersi nei loro panni e osservare come vedono il mondo esterno.

In questo senso occorre superare il concetto che il bambino è una specie di contenitore vuoto da riempire. Invece, va ascoltato per capire cosa ha dentro di sé e per aiutarlo a sviluppare le proprie potenzialità.

Saper riconoscere le emozioni, essere empatici, significa tuttavia che il genitore deve diventare per primo consapevole delle proprie emozioni e allenarsi emotivamente.

Empatia nella coppia

Stare in coppia vuol dire portare all’interno della relazione amorosa ciò che siamo, la nostra storia personale e tutte le esperienze positive o negative vissute. Più queste esperienze riguardano rapporti, anche familiari, basati sull’empatia, più sarà possibile essere accoglienti e pronti all’ascolto attivo del partner.

Invece, se questo tipo di esperienze non ha fatto parte del nostro bagaglio personale? Si può “imparare” l’empatia?

La risposta è sì.

L’ascolto è sicuramente la prima abilità da apprendere. Ma ascoltare non vuol dire solo ‘sentire’ ciò che viene detto ma comprendere anche ciò che non è detto a parole, ovvero decifrare la sfera emotiva dell’altro.

Quando si ascolta empaticamente, si trasmette all’altro l’importanza di quello scambio e ciò alimenta la fiducia e la relazione. Si può capire dove si trova l’altro emotivamente.

Ma la dinamica è un po’ più complessa e richiede anche l’azione. Perché all’interno di una coppia non basta capire che il partner sta soffrendo. Essere empatico vuol dire anche riuscire a dare una risposta efficace, adeguata e coerente con il bisogno specifico del partner.

Per essere empatici in coppia è necessario anche accettare le diversità. È facile andare d’accordo con chi ha le nostre stesse opinioni o quando si provano le stesse emozioni. È difficile invece entrare in relazione con la diversità e accettare che il mondo emotivo o le opinioni dell’altro abbiano lo stesso valore delle nostre. L’accettazione del partner, delle sue caratteristiche e della sua personalità, è certamente un fattore essenziale nella relazione d’amore e l’empatia può sicuramente venirci in aiuto.

Quindi, l’empatia è una capacità molto importante nella coppia, aumenta il grado di intimità e di vicinanza reciproca ed è un’occasione di crescita non solo per la relazione, ma per le persone che ne fanno parte: sentirsi accolti, rispettati e non giudicati sono momenti necessari per il benessere psicologico di ognuno.

Empatia e dispatia

Con dispatia si intende il rifiuto o l’incapacità di condividere le emozioni e i sentimenti degli altri. Il termine dispatia è stato proposto dallo psichiatra J.L. González per definire il processo volontario di esclusione di:

  • sentimenti
  • atteggiamenti
  • motivazioni
  • pensieri indotti dagli altri

Quindi non si tratta di un sinonimo di indifferenza o di freddezza emotiva, ma di una azione mentale compensatoria all’empatia, con l’obiettivo di proteggere e di impedire che le emozioni altrui creino un disagio psichico.

Come sviluppare l’empatia

  1. Ascolto attivo. Ascoltare non vuol dire semplicemente stare a sentire, ma presentare attenzione a tutti gli aspetti della comunicazione altrui. In particolare ai bisogni che questi esprime con l’intenzione di entrate nel suo mondo emotivo sospendendo pregiudizi e giudizi di valore.
  2. Riconoscere e gestire le emozioni. Per essere ematici è fondamentale riuscire a riconoscere le proprie emozioni negative o positive che siano e porci in ascolto dell’altro. Una volta riconosciute le emozioni occorre gestirle e mantenere il controllo sulla propria emotività, sul proprio modo di reagire a ciò che accade e sulla capacità di esprimere e comunicare i sentimenti e le emozioni agli altri.
  3. Entrare emotivamente in contatto con gli altri per comprenderli. Un esercito utile è quello di chiedere alle persone come si sentono. Si tratta di una modalità apparentemente banale per avvicinare gli altri, entrare in contatto, entrando in punta di piedi nel loro mondo.
  4. Interagire con vari tipi di persone. Ampliare le proprie conoscenze, anche di persone con le quali non abbiamo molto in comune può aiutare ad aumentare le capacità ematiche e a cogliere i diversi aspetti della vita sotto nuove e diverse prospettive.
Laureata in psicologia clinica dello sviluppo e neuropsicologia, si occupa di sostegno psicologico per individui, coppie e famiglie con particolare attenzione altro…