Cos’è l’effetto Lucifero in psicologia e come riconoscere i primi sintomi di comportamenti pericolosi

Non esiste una distinzione netta tra buono e cattivo, i comportamenti e gli atteggiamenti del singolo individuo sono spesso influenzati dalle situazioni e dalle condizioni ambientali in cui ci si imbatte. Lo ha dimostrato il professor Philip Zimbardo con il suo famoso esperimento carcerario. Ma come iniziano i comportamenti aggressivi o violenti e che ruolo ha il gruppo di persone in cui siamo inseriti?
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Dott.ssa Samanta Travini Psicologa Psicoterapeuta
15 Marzo 2024 * ultima modifica il 15/03/2024

Numerosi studi psicologici e sociali cercano di spiegare la psicologia del male, ovvero cosa porta una persona “normale” a compiere atti malvagi. All’interno di questi studi sono stati presi in considerazioni numerosi eventi storici tra cui l’esperimento dal professor Philip Zimbardo che ha dato origine “all’effetto Lucifero”.

Il termine “effetto Lucifero” fu coniato da Zimbardo al termine del suo esperimento e sta a indicare la trasformazione in aguzzino di una persona qualunque che, senza alcuna predisposizione alla violenza, si adegua al contesto e alle azioni del gruppo di appartenenza. Nell'esperimento le guardie si erano immedesimate nell’istituzione carceraria e avevano messo da parte il loro io, i loro sentimenti, sensi di colpa e la loro empatia, per adeguarsi al contesto e ristabilire l’ordine con tattiche intimidatorie ritenute legittime per il solo fatto che erano ritenute consone al ruolo.

Seconda la teoria della deidividuazione di Zimbardo l’anonimato, la responsabilità diffusa e l’ampiezza del gruppo favoriscono il processo di perdita identitaria e una minore preoccupazione per la valutazione sociale.

Nelle dinamiche di gruppo, o in contesti nei quali vi sia una de-responsabilizzazione delle proprie azioni, la violenza e le azioni assolutamente non praticabili dal singolo individuo, possono diventare naturali ed eseguibili.

Ciò significherebbe che non esiste una distinzione netta tra bene e male, tra persona cattiva o buona, ma che l’aggressività sarebbe fortemente condizionata dalle condizioni e dalle situazioni ambientali in cui l’individuo si imbatte.

La deviazione comportamentale verso azioni eticamente scorrette, è sostenuta dai seguenti principi:

  • La de-umanizzazione della vittima, che viene vista come un corpo inerte, senza diritti, senza emozioni, possibilmente malvagia o comunque meritevole di persecuzione;
  • L’anonimato;
  • La presenza di un’autorità a cui si ubbidisce;
  • La mancanza di responsabilità per proprie azioni legata all’ampiezza del gruppo;
  • Obbedienza cieca all’autorità;
  • Conformazione a-critica alle norme del gruppo;
  • L’assenza di controllo diretto;
  • Tolleranza passiva del male attraverso l’indifferenza;
  • Bisogno del soggetto di appartenere a un gruppo.

Si è giunti quindi alla conclusione che “non esistono né demoni, né eroi – o almeno ne esistono molti meno di quelli che pensiamo-, perché il bene e la bontà possono essere in gran parte frutto delle circostanze più che una caratteristica della personalità o di un insieme di valori acquisiti durante l’infanzia”.

Essere buoni o cattivi non è un tratto di personalità, non è qualcosa dentro di noi, perciò ognuno di noi ha la capacità di fare sia del bene che del male all’altro. La linea tra bene e male, in specifiche situazioni e contesti, non è poi così netta e scissa. Nessuno è totalmente buono o totalmente cattivo: siamo una scala di grigi in cui a volte predomina il bianco e altre volte il nero.

Il negare una scissione netta tra bene e male fa si che tutti noi dobbiamo interrogarci sulle nostre responsabilità nel creare e mantenere le condizioni che contribuiscono e legittimano la violenza e gli abusi. Non siamo così automaticamente assolti da ogni responsabilità perché appartenenti “alla categoria dei buoni”.

Prendendo consapevolezza della nostra vulnerabilità e riconoscendo la potenziale capacità che le forze situazionali hanno di contagiarci possiamo essere maggiormente in grado di sfidarle, evitarle e impedirle. La consapevolezza ci può così guidare per far prevalere la nostra morale e poter scegliere.

Come sostiene Bauman “saper dire no, saper disobbedire, conservare “eroicamente” questa capacità, è l’unica che ci consenta di decidere e scegliere: questo ci serve per sfuggire all’Effetto Lucifero”.

Laureata in psicologia clinica dello sviluppo e neuropsicologia, si occupa di sostegno psicologico per individui, coppie e famiglie con particolare attenzione altro…