Crudeltà di ogni tipo negli allevamenti di animali da pelliccia in Cina: l’allarme delle ong

Secondo un’indagine dell’associazione animalista Humane Society International, in 13 stabilimenti cinesi visoni, volpi e cani procioni vengono tenuti prigionieri in gabbie piccolissime e sottoposti a elettrocuzione in maniera approssimativa, prolungando l’agonia degli animali e senza per giunta alcun rispetto delle norme anti-Covid.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Federico Turrisi 18 Marzo 2021

È una scomoda verità quella che viene svelata dalla ong animalista Humane Society International (Hsi), che ha visitato tra il novembre e il dicembre 2020 13 allevamenti di animali da pelliccia in Cina. Nazione che si avvia a diventare il primo produttore mondiale di pellicce di visone, dopo che la Danimarca ha abbattuto tutti i 15 milioni di esemplari presenti negli allevamenti sul suo territorio a causa dell'emergenza Covid-19.

Le immagini che gli animalisti hanno raccolto e poi fornito alle autorità cinesi sono a dir poco agghiaccianti: le volpi e i cani procioni (le cui pellicce sono ancora molto richieste dall'industria della moda) vengono tenuti richiusi in gabbie metalliche piccolissime e manifestano comportamenti ripetitivi dovuti allo stress da mancanza di movimento.

Ma l'aspetto più scioccante dell'indagine di Hsi riguarda le modalità con cui vengono soppressi gli animali. Per legge la scarica elettrica dovrebbe essere data al cervello dell'animale per ucciderlo istantaneamente. Gli operai invece vengono colti mentre eseguono l'elettrocuzione – questo il nome tecnico dell'operazione – in maniera del tutto approssimativa, conficcando l'asta con i due elettrodi in un punto qualsiasi del corpo dell'animale anziché sulla testa.

Risultato? L'animale rimane paralizzato, ma non muore. Anzi, la sua agonia viene prolungata per diversi minuti fino all'arresto cardiaco che pone fine alle sue sofferenze. Addirittura il malcapitato di turno rischia di arrivare alla fase della scuoiatura quando è ancora vivo. Una vera e propria atrocità. Il punto è che le norme sul benessere animale in Cina vietano espressamente ogni tipo di sofferenza inutile.

Per di più, negli allevamenti visitati dagli attivisti di Hsi non vengono rispettate le misure relative alla biosicurezza per ridurre il rischio che gli animali siano vittime di infezione da agenti patogeni. “I nostri investigatori hanno assistito a una quasi totale mancanza di misure di controllo delle malattie e di protezione della salute negli allevamenti di animali da pelliccia, il che è estremamente preoccupante considerando che visoni, cani procioni e volpi sono in grado di contrarre e trasmettere il coronavirus SARS-CoV-2”, ha dichiarato la direttrice esecutiva di Hsi Claire Bass, interpellata dal quotidiano britannico The Guardian.

Per questo motivo Hsi, insieme alla Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals, ente no-profit britannico che si batte per i diritti degli animali, ha rivolto un appello al governo del Regno Unito per bloccare le importazioni di pellicce dalla Cina. Quello delle pellicce è un settore in declino, è vero, ma rimane piuttosto florido in molti Paesi del mondo. Chissà per quanto tempo ancora deve proseguire la lotta delle organizzazioni animaliste su questo tema.