Da leggenda sul campo da calcio a simbolo di rinascita e unità: così il Grande Torino cambiò per sempre lo sport e il mondo

Fu la squadra più forte di tutte. Dal 1942 al 1949 il Torino vinse cinque campionati di fila e stabilì record incredibili, dai 125 gol in un solo campionato ai 10 titolari su 11 in Nazionale. La sua storia, però, ebbe una fine tragica: il 4 maggio l’aereo che trasportava giocatori, staff e giornalisti si schianto sulla colline di Superga. Nessuno sopravvisse e da quel giorno il Grande Torino, leggenda del pallone ed emblema della voglia di rinascita del nostro Paese, divenne un mito oltre lo sport.
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Rubrica a cura di Kevin Ben Alì Zinati
6 Novembre 2020

C’è un prima e dopo Superga. Qui, sulle colline all’ombra della Mole di Torino, l'Italia ha incontrato il suo bivio. C’era il mondo prima delle 17.03 di quel 4 maggio 1949, quando il paese azzoppato dagli strascichi della Seconda Guerra Mondiale si era ritrovato unito sotto la bandiera del Grande Torino, una delle squadre più leggendarie della storia del calcio. E poi c’è il mondo il minuto successivo, quello in cui l’aereo che trasportava la squadra granata si è schiantato portandosi via tutti coloro che erano a bordo, dai giocatori allo staff fino ai giornalisti: l’orgoglio nazionale, il simbolo della rinascita, della forza e della gioventù italiana che dallo sport traboccavano nella vita.

Numeri 

Il Grande Torino è considerata una delle formazioni più forti che abbiano mai calcato l’erba di un rettangolo verde. Lo dicono i numeri. Vinse 5 scudetti consecutivi, dal 1942 al 1949 e mise in fila 88 gare di fila senza perdere, trasformando lo stadio Filadelfia un vero e proprio castello inespugnabile. Durante questi cinque anni di domino i granata tennero anche una media gol sopra le 2.10 reti a partita, stabilirono il primato incredibile delle 125 reti nel campionato ’47-’48 e ottenero poi anche la vittoria più larga della storia della Serie A con un sonoro 10-0 all’Alessandria. Una potenza inarrestabile, riflessa anche nella squadra della Nazionale che nell'amichevole disputata contro l'Ungheria (e vinta per 3 a 1) vedeva 10 titolari su 11 prevenire proprio dal Grande Torino.

Vento e pioggia 

4 maggio 1949. Il Grande Torino stava facendo ritorno da Lisbona dove il giorno prima aveva preso parte a un’amichevole contro la squadra del Benfica. La partita era nata da un accordo, una stretta di mano fra gentiluomini scambiata dai capitani Valentino Mazzola e Francisco Ferreira, che si erano conosciuti nella sfida Italia-Portogallo giocata a Genova. Il viaggio di ritorno da Lisbona prevedeva una tappa intermedia a Milano Malpensa da cui i giocatori avrebbero perseguito verso Torino a bordo del proprio pullman, il celebre “Conte Rosso”.

Il Grande Torino fu l’orgoglio nazionale, il simbolo della rinascita, della forza e della gioventù italiana che dallo sport traboccavano nella vita

Il comandante dell’aereo che trasportava la squadra, un Fiat G 212, durante uno scalo rifornimento a Barcellona era stato avvisato delle condizioni meteorologiche avverse in cui versava Torino e aveva ricevuto istruzioni per un possibile atterraggio in Lombardia: la meta, però, fu ignorata e il volo riprese in direzione Piemonte L’aereo volò sballottato da una parte all’altra del cielo, in mezzo a nere nuvole e raffiche di vento che come cazzotti colpivano la carlinga. Il Nord dell’Italia era prigioniero in una gabbia di maltempo, a 2000 metri non si vedeva a un palmo di naso e l’ultimo contatto con la torre di controllo non era stato incoraggiante. Il telegrafista aveva mandato un morse di poche, roboanti parole: “Visibilità zero”.

Solo che l’aereo del Grande Torino non si trovava a quella quota, non stava sorvolando le colline di Superga. Era sì o no a quota 500 metri e la roccia piemontese, all’improvviso, fu lì di fronte. Alle 17.03 il velivolo si schiantò contro il muraglione della basilica di Superga. Tutti i 31 passeggeri che erano a bordo morirono: tutta la squadra, i dirigenti e i giornalisti. Le maglie granata, con appicciato il tricolore giacevano mezze bruciate tra le lamiere e i rottami.

Il mondo senza 

La folla durante i funerali. Fonte: Wikipedia

Ma i granata non erano solo numeri e calcio. Non erano soltanto la squadra più forte di tutte, in Italia e nel mondo. Il Grande Torino era diventato l’alfiere di un significato più profondo, il portatore di un messaggio più ampio che partiva dal Piemonte, arrivava al tacco dello Stivale e ritornava in su, fino ai confini estremi. Le vittorie avevano trasformato la squadra in un simbolo nazionale, nell’emblema della brama dell’Italia di riemergere dal buio della Guerra. Gli eroi del pallone avevano ispirato i giovani (e non solo) a rilanciare un Paese che, con loro, aveva ricominciato a sentirsi uno. Guardando là, verso quel colle, viene spontaneo chiedersi che mondo sarebbe stato se non ci fosse stata Superga.

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Giornalista fin dalla prima volta che ho dovuto rispondere alla domanda “Cosa vuoi fare da grande”. Sulla carta, sono pubblicista dal altro…