L’amicizia tra Jesse Owens e Luz Long: la scintilla contro l’odio nazista nata sulla pedana del salto in lungo

Alle Olimpiadi di Berlino del 1936 l’americano Jesse Owens scombussolò i piani della Germania e sotto gli occhi del Fürher si aggiudicò ben quattro medaglie d’oro. Ma ancora più dirompente fu il legame spontaneo che nacque con l’atleta “ariano” Luz Long, che gli suggerì come affrontare l’ultimo salto di qualificazione nella gara del lungo. La loro amicizia divenne il simbolo della fratellanza in mezzo alle diversità.
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Rubrica a cura di Kevin Ben Alì Zinati
23 Ottobre 2020

Quella del 1936 fu una delle edizioni delle Olimpiadi più spettacolari di tutte. La Germania di Hitler aveva messo in piedi un’organizzazione impressionante e anche se nella calda aria di agosto sventolavano svastiche e bracci tesi, i Giochi tedeschi passarono alla storia per la maestosità e la magnificenza. Il Comitato Olimpico Internazionale aveva individuato la Germania come possibile paese organizzatore già nel 1931 e in poco tempo, con il potere del Fürher sempre più in costruzione, fu il suo ministro della propaganda Goebbels per primo a intuire il ruolo potenzialmente determinante dei Giochi. Prima ancora della Guerra e delle abominevoli violenza, le Olimpiadi avrebbe dovuto dare l’immagine di una Germania pacifica, forte e progressista: furono costruiti nuovi stadi, quelli vecchi vennero restaurati, venne organizzata la trasmissione in televisione della manifestazione e la città si preparò per diventare la capitale del Mondo, a cominciare dallo sport.

I “pronostici” vennero infatti rispettati. Nel grande libro dello sporto, alla pagina 1936, Olimpiadi, recita 89 medaglie marchiate con la bandiera rossa e la svastica, più degli Stati Uniti (56) e dell’Ungheria (16). In quei quasi novanta nastri messi al collo di atleti tedeschi, tuttavia, mancarono quelli per il salto in lungo, i 100 e i 200 metri e la staffetta 4×100, gare tutte e quattro andate all’americano Jesse Owens, il lampo d’Ebano, un giovane nero originario dell’Alabama

James Cleveland Owens, che il suo insegnante ribattezzò “Jesse” per via della pronuncia stretta e appicciata di J.C, era il settimo di dieci figli di una famiglia povera che dall’Alabama si era trasferita in Ohio. Il giovane Jesse cominciò qui a praticare atletica e a soli 23 anni fu spedito dall’altra parte del mondo per partecipare all’undecima edizione dei Giochi. In Germania, a Berlino, a casa di Hitler.

Jesse Owens durante la finale dei 200 metri alle Olimpiadi di Berlino del 1936. Fonte: Getty Images.

Detto a parole sembra facile, ma la partecipazione statunitense alle Olimpiadi fu tutt’altro che scontata perché un movimento supportato anche dallo stesso presidente Franklin Delano Roosevelt, spingeva forte per il boicottaggio. Dalla Casa Bianca venne inviato un referente in Germania per respirare l’atmosfera alla vigilia dei Giochi ma questi, un ultraconservatore razziste, diede parere positivo.

Fatto sta che Jesse Owens sbarcò nel Vecchio Continente come un signor nessuno e lo lasciò come eroe. Non solo perché si mise in tasca quattro medaglie d’oro e non solo perché al termine della premiazione, passando sotto le tribune, fu occhi negli occhi con Hitler in persona, che lo salutò con un gesto della mano a cui lo stesso Oewns rispose (anche se un’altra versione della “leggenda” racconta di una totale irriconoscente da parte del Fürher delle sue vittorie).

Jesse Owens passò allo storia perché a modo suo sconfisse il nazismo, dimostrando che si poteva trovare una breccia in quell’armatura di odio e ostilità. Già, perché tra una gara e l’altro Jesse Owens riuscì ad attirare su di sé l’interesse e l’ammirazione di Luz Long, l’atleta tedesco per eccellenza, il pupillo di Hitler e la punta di diamante per la vittoria nel salto in lungo. Anche Jesse era della partita, ma aveva già sbagliato due dei tre salti di qualificazione e poco prima di andare in pedana per il terzo e definito salto, Luz Long gli si avvicinò. Carl Ludwig Hermann Long era lo stereotipo dell’uomo ariano: alto e prestante, buono e con gli occhi azzurri. Era la bandiera con cui Hitler voleva dimostrare la supremazia della razza.

Prima che Owens potesse fallire il salto ed essere squalificato, Long gli suggerì di anticipare lo stacco del piede. Un dettaglio, un consiglio, una carezza che, tuttavia, fece la differenza. L’atleta americano completò correttamente il salto, si qualificò e alla fine vinse l’ora con una distanza di 8,06 metri, superando anche lo stesso Long, fermatosi invece a 7,87 metri. La Germania aveva perso.

Il podio del sito in lungo con Jesse Owens al primo posto e dietro Luz Long, con il braccio teso. Fonte: Wikipedia.

Fu in questo mondo vecchio e nuovo, ancora inconsapevole di cosa l’avrebbe atteso di lì a qualche anno, in questo universo freddo e ostile che lo sport diede una lezione di superiorità, di decenza e lungimiranza alla politica, alle discriminazioni e alle diversità. Su quella pedana, in mezzo a più di centomila persone, tra le svastiche e i gerarchi nazisti, tra l’americano e il tedesco nacque una spontanea amicizia.

Jesse Owens stringe il braccio di Luz Long. Fonte: Wikipedia.

Un legame eterno tra il nero e il bianco che durò a lungo: fino alla morte di Long per le ferite di guerra del 1943 (dove Hitler lo aveva spedito, secondo alcuni come "punizione" per la sconfitta) e poi fino alla scomparsa di Owens nel 1980, e poi ancora fino al ’84 quando a Berlino venne eretta una statua in onore del “Lampo d’ebano”. E poi fino a oggi, e domani, dove Jesse Owens e Luz Long continueranno ad essere eterni simboli di sportività e fratellanza al di là di ogni forma di odio.

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Giornalista fin dalla prima volta che ho dovuto rispondere alla domanda “Cosa vuoi fare da grande”. Sulla carta, sono pubblicista dal altro…