Un salto mortale all’indietro, sul ghiaccio, atterrando su un piede solo: così Surya Bonaly vinse l’ingiustizia e le discriminazioni

Surya Bonaly è una pattinatrice francese naturalizzata americana. Non vinse mai una medaglia olimpica né un oro mondiale. Eppure fu una delle più grandi sui pattini da ghiaccio. Venne spesso penalizzata per il suo stile troppo atletico e poco elegante, diverso dai canoni delle “principesse” e per la sua pelle nera. Ma sfidò le disuguaglianze e si conquistò un posto nella storia grazie a un backflip su un piede solo: un salto quasi impossibile e vietato.
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Rubrica a cura di Kevin Ben Alì Zinati
18 Dicembre 2020

Surya Bonaly non vinse mai una medaglia olimpica e nemmeno un oro mondiale. Sfogliando il libro del pattinaggio, sotto il suo nome puoi trovare 8 primi posti ai campionati francesi e 5 a quelli europei, leggeresti che a livello mondiale è stata per tre volte la “vice” campionessa ma non troveresti nessuna foto di lei con la corona dei Giochi in testa in posa sotto la bandiera blu-bianco-rossa. Eppure, Surya Bonaly è stata una delle più grandi pattinatrici della storia dello sport sul ghiaccio. “Che ingiustizia è questa?” potresti pensare, e faresti bene. Per descrivere la vita che Surya Bonaly passò in bilico sulle lame dei suoi pattini, infatti, la prima parola corretta è proprio ingiustizia.

La madre di Surya Bonaly era insegnante di pattinaggio artistico e fu quindi naturale per la piccola Surya immaginare un futuro a sfrecciare, saltare e danzare sul ghiaccio. Surya acquisì la nazionalità francese solo dopo essere stata adottata da una coppia di Nizza, Georges e Suzanne Bonaly, la donna che la indirizzò verso i pattini. Nacque infatti a Riunione, un’isola nell’Oceano Indiano, dove sua mamma l’aveva concepita insieme a un uomo della Costa d’Avorio. Surya si affacciò ai piani alti del pattinaggio negli anni Ottanta, quando le competizioni nazionali e mondiali erano dominate dalla grazia e dalla perfezione delle “principesse di ghiaccio”, quando quel mondo non era per niente abituato alla fisicità e all’atletismo di una giovane promessa dalla pelle nera.

Surya Bonaly durante un’esibizione. Fonte: Wikipedia.

Prima, dopo e durante il pattinaggio Surya passò molte ore in palestra a praticare ginnastica e il suo stile di pattinaggio ne fu inevitabilmente influenzato. Tanto che un giorno, quando aveva solo 12 anni e vide il tedesco Norbert Schramm compiere un backflip, ovvero un salto mortale all’indietro, eseguito però sui pattini, ne rimase estasiata. Restò incredula, e ammaliata dall’eleganza e dalla semplicità di un gesto ginnastico così tecnico e pericoloso. Le piacque subito. Il suo allenatore glielo lesse negli occhi e così gliela buttò lì, facile: “prova anche tu”. Surya ci provò e ci riuscì.

Surya era in grado di volteggiare, darsi uno slancio per staccarsi dal ghiaccio, cacciare la testa all’indietro e saltare. In quel secondo che si ritrovava all’incontrario, con pochi centimetri tra la sua nuca e il freddo ghiaccio della pista, il mondo era fermo, bello e strano allo stesso tempo. Tutto era calmo visto da laggiù. Con un colpo secco di addominali, poi, recuperava le gambe e mentre la destra restava tesa, quasi come attirata da una calamita gigante dall’altra parte della pista, la sinistra su appoggiava a terra con un movimento secco ed elegante e il secondo dopo Surya era di nuovo all’insù, con lo sguardo verso l’orizzonte e il sorriso stampato sul viso.

Quando vide Norbert Schramm eseguire un backflip sui pattini da ghiaccio, Surya si innamorò di quel gesto. Lo provò e ci riuscì subito

Quello di Surya Bonaly era uno stile particolare, nuovo, mai visto, un mix di eleganza e atleticità a cui il mondo del pattinaggio però non era pronto. Il primo assaggio della sua poca lungimiranza Surya Bonaly lo sperimentò ai Giochi di Albertville del 1992. La gara non era ancora iniziata ma Surya era carica, elettrizzata all’idea di danzare sul ghiaccio di fronte al mondo intero. Era così eccitata che durante un riscaldamento, all’improvviso, si esibì nel suo salto mortale atterrando su una lama sola. Il pubblico impazzì, qualcun altro no.

Surya Bonaly ai Giochi di Albertville non portò il mortale in gara. Devi sapere che il backflip, nelle gare ufficiali di pattinaggio artistico è vietato. È illegale. In gara, infatti, i salti per essere validi vanno atterrati su un piede solo e il backflip è troppo pericoloso e quei pochi che al tempo lo sapevano fare (in tre, tutti uomini) lo chiudevano su due piedi.

Quando fu il suo turno, Surya improvvisò qualcosa di altrettanto difficile: un quadruplo toe loop, il classico salto del pattinaggio ripetuto, però, per quattro volte consecutivamente. Nella sua coreografia non era previsto ma Surya ce l’aveva, lo sentiva e così lo provò. Andò male. Non riuscì a chiudere il quarto salto e atterrò sul ghiaccio con una mezza spirale. I giudici, già infastiditi dalla sua "arroganza" racchiusa nell'esibizione di un salto vietato, la penalizzarono al punto che scivolò già dal podio e finì quarta.

Fu la prima sconfitta per Surya Bonaly, la prima volta in cui si scontrò con la discriminazione. Per il colore della sua pelle, poco conforme al canone delle principesse del ghiaccio? Per il suo pattinare troppo estroso, troppo fisico, troppo arrogante? La risposta è ancora oggi difficile, fatto sta che i giudici non gradirono, non capirono che la spacconeria e l’esibizionismo di Surya in realtà erano presagi di futuro, una finestra su qualcosa che ancora non esisteva e che lei, giovane pattinatrice francese dalla pelle scura, stava mostrando loro, rendendoli partecipi. Non capirono. Non erano pronti.

La seconda ingiustizia Surya la subì ai Mondiali di Chiba del 1994. All’atto finale, la giovane francese era a un centimetro dall’oro, strameritato, eppure lo sfiorò senza mai arrivarci. I giudici questa volta le preferirono l’eleganza della giapponese Yuka Sato, che forse – forse – meglio incarnava lo stereotipo della principessa del ghiaccio. Surya quell’argento non lo volle al collo. Si rifiutò di salire sul podio e quando finalmente raggiunse il secondo gradino, si sfilò la medaglia.

Sì, come avrai capito l’altra parola che meglio descrive Surya è anticonvenzionale. Contro le convenzioni: quelle che non digerivano il suo stile così diverso dagli altri; quelle per le quali probabilmente non potevano essere incoronata regina – e non principessa – dei ghiacci per via della sua pelle nera; quelle che le impedivano di fare ciò che la divertiva, ciò per cui nata e che la rendeva la migliore: il backflip.

Anticonvenzionale come alle Olimpiadi invernali di Nagano del 1998. Surya gareggiò con la solita elegante fisicità, con quell’impeto armonioso e la graziosa ferocia che sempre l’avevano contraddistinta e spesso penalizzata. A Surya piaceva osare. In fondo, se non lo fai, non arrivi in cima, dove stanno gli dei, i più grandi, i miti e le leggende. Così Surya osò ma cadde su un triplo salto. La coreografia si spezzò, così come il suo sorriso. Mentre scivolava da una parta all’altra di quell’arena ghiacciata, Surya intravide però il futuro che poteva attenderla. Le piaceva e lo scelse. Contro tutto e tutti. Doveva solo prenderselo.

Ai Mondiali di Chiba si sfilò la medaglia d'argento: non voleva indossarla, sapeva di meritarsi il primo posto

Così recuperò portamento e concentrazione e cambiò i programmi della sua coreografia. I punti conquistati fino a quel momento probabilmente non sarebbero bastati per mettersi al collo quella maledetta medaglia, così prese la rincorsa. Mentre sfrecciava poteva sentire le parole che rumoreggiavano nelle menti dei giudici. Le sfidò tutte.

In un gesto improvviso lasciò tutti a bocca aperta. I suoi capelli neri annodati sfiorarono il ghiaccio e mentre si trovava a testa in giù, sapeva che i giudici l’avrebbero punita ancora, che non avrebbero capito ancora, che sarebbe finita. E le andava bene così. Quando atterrò su un piede solo, il pubblico e il mondo tornarono a respirare. Se ne accorse perché tutti i presenti esplosero in un boato pazzesco.

Aveva chiuso il suo backflip in gara, su una sola lama, di fronte a sua madre. Sugli spalti tutti si aspettavano che i giudici la premiassero, Surya aveva appena compiuto il gesto più difficile di tutti, quello che nessun’altra atleta aveva mai provato.

Finì decima.

Surya Bonaly dopo i Giochi del 1998 abbandonò il ghiaccio e i pattini e si ritirò. Non vinse nessuna medaglia olimpica né una mondiale. Lei stessa, guardando indietro al suo passato, oggi non si definisce una ribelle ma preferisce essere ricordata come una pioniera.

In effetti, la francese poi naturalizzata americana, riscrisse la storia del pattinaggio. Ma non solo. Surya Bonaly sfidò i pregiudizi e ogni forma di discriminazione con eleganza e caparbietà. Tutto su una pista da ghiaccio, con un salto mortale all’indietro.

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Giornalista fin dalla prima volta che ho dovuto rispondere alla domanda “Cosa vuoi fare da grande”. Sulla carta, sono pubblicista dal altro…