Decreto Caivano: il disagio giovanile si risolve davvero con punizioni più severe?

Inasprire le pene potrebbe non essere sufficiente, se non inefficace, se non si lavora sulla prevenzione e la comprensione delle reali cause alla base della criminalità giovanile. Il commento del criminologo Marco Dugato: “Il rischio è che queste misure si rivelino poco più di un cerotto su una ferita non guarita”.
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Maria Teresa Gasbarrone 19 Settembre 2023
Intervista a Dott. Marco Dugato Criminologo del Centro di ricerca interuniversitario Trascrime

Con il decreto legge 123 del 15 settembre 2023 il Consiglio dei Ministri ha approvato un pacchetto di misure urgenti – già ribattezzato "decreto Caivano", in seguito ai terribili fatti di cronaca che hanno scosso il comune campano – volte a contrastare il disagio giovanile, la povertà educativa e la criminalità minorile.

Le tante le misure previste, incentrate su temi anche piuttosto eterogenei, rendono difficile dare un'interpretazione univoca del pacchetto. Fatto sta che in molti ne hanno sottolineato la natura fortemente repressiva, a fronte di quella che sembra essere una minima, se non nulla, attenzione alla prevenzione. Difatti, in base a quanto previsto dal decreto sarà più facile per i minori di 18 anni che commettono reati finire in carcere, in quanto si prevede l'abbassamento da nove a sei anni della soglia della pena che consente di applicare la misura della custodia cautelare.

A proposito del decreto, tuttavia, la premier Giorgia Meloni ha parlato di un “intento preventivo, ma non repressivo”, ma è davvero così? Ne abbiamo parlato con Marco Dugato, criminologo e ricercatore presso il Centro Transcrime, polo di ricerca interuniversitario su criminalità e innovazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Alma Mater Studiorum Università di Bologna e Università degli Studi di Perugia.

Decreto Caivano: cosa prevede

Daspo urbano per i ragazzi dai 14 anni in su, abbassamento da 9 a 6 anni dela soglia della pena che consente di applicare la misura della custodia cautelare, sanzioni ai genitori, possibile divieto di utilizzo di cellulare ai minori a partire dei 14 anni, sono alcune delle misure salienti del decreto.

Nel leggerli, è evidente però che c’è un grande assente: l'attenzione alla salute mentale, dell’analisi delle cause profonde che causano il disagio giovanile. Eppure, "alla radice di molti degli episodi criminali commessi dai giovanissimi – spiega Dugato – c'è un forte e inascoltato disagio mentale".

“Il decreto Caivano – prosegue il criminologo – contiene diversi punti, anche molto eterogenei tra loro, ma certo è che è stato pensato per agire sul piano del controllo, piuttosto che sulla prevenzione. Le misure previste sono pensate infatti per essere applicate a fatto compiuto, non prima, per impedirlo. Da un piano di interventi pensato per risolvere il problema della delinquenza e del disagio giovanili mi sarei aspettato un coinvolgimento maggiore anche da perte delle istituzioni che si occupano di disagio sociale e scuola.

Misure imparziali

Secondo alcuni, le misure previste dal decreto Caivano potrebbero essere un mezzo per inserire ragazzi non accompagnati all’interno del radar delle comunità e dei servizi sociali, togliendoli dalla strada.

“Restano però – sottolinea Dugato – irrisolti diversi problemi. Innanzitutto, la violenza giovanile non riguarda solo i ragazzi non accompagnati. Inoltre, il settore delle comunità e dei carceri minorili sono già ora alle prese con diversi problemi strutturali, soprattutto in termini di posti disponibili sovraffollamento. Siamo sicuri che le strutture hanno gli strumenti per accogliere un numero maggiore di persone?” 

L'assenza di un adeguato piano di riforma a sostegno delle strutture deputate ad accogliere i giovani che hanno commesso reati rischia di rendere la misura evidentemente, almeno in parte, monca, o quanto meno, difficilmente sostenibile.

Il rischio dello stigma per i giovani

Infine, "chi ha formulato le misure del decreto Caivano – prosegue Dugato – non ha tenuto in considerazione il possibile effetto boomerang che si potrebbe avere, inserendo un ragazzo giovanissimo all’intero di un contesto, purtroppo ancora molto spesso stigmatizzato, qual è quello delle comunità".

A cosa serve punire? “Nel nostro sistema di Giustizia la pena dovrebbe  mirare a riabilitare e a reinserire la persona nella società. Questo assioma diventa ancor più stringente se stiamo parlando di ragazzi giovanissimi”.

Punire serve?

I possibili limiti ravvisti nel decreto Caivano non implicano in automatico che "le punizioni  – prosegue l'esperto – non servano, ma piuttosto che da sole rischiano di rivelarsi inefficaci”.

"Da un punto di vista più puramente criminologico, l’inasprimento delle pene difficilmente ha portato alla riduzione dei reati. Questo è ancora più vero per i ragazzi: bisogna tener presente che la maggior parte non ha contezza delle loro azioni, né tanto meno delle loro conseguenze. Ecco, perché aumentare le pene, senza un lavoro profondo di comprensione delle cause del fenomeno della delinquenza giovanile potrebbe non raggiungere l’obiettivo della riduzione dei reati. 

La maggior parte delle azioni criminali commesse dai giovanissimi sono invece legati alla parte più istintiva e meno razionale, senza parlare dei tanti episodi che avvengono sotto l’effetto di sostanze stupefacenti”.

Il rischio, insomma, che Dugato sempre prefigurare è che le misure previste siano poco più di un cerotto messo sopra una ferita che continua a sanguinare e a fare male.