Demenza: un’ecografia al collo potrebbe diagnosticarla 10 anni prima

Potrebbero bastare cinque minuti per sapere se entro i prossimi 10 anni rischi di sviluppare una qualche forma di demenza. Uno studio dell’Università di Londra lega infatti queste malattie neurodegenerative alla difficoltà dei vasi sanguigni di irrorare il cervello. Per aiutare la circolazione, serve una corretta alimentazione e uno stile di vita sano.
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Giulia Dallagiovanna 16 Novembre 2018
* ultima modifica il 31/07/2023

Veloce, poco invasiva e con un largo anticipo. Lo studio presentato dall'Università di Londra alla conferenza annuale dell'American Heart Association potrebbe rappresentare una vera speranza per i pazienti con Alzheimer o altre forme di demenza. Anzi, futuri pazienti, perché la novità della sperimentazione sta proprio nel riuscire a diagnosticare queste patologie neurodegenerative 10 anni prima che i sintomi si manifestino.

Spostando l'attenzione dal cervello al cuore, infatti, si è individuata la correlazione fra i tipi di pulsazione e la possibilità di ammalarsi durante la vecchiaia. Spiegato meglio, quando questi segnali diventano più intensi, significa che le pareti delle arterie si stanno consumando e i vasi non riescono più ad attutire il colpo del flusso di sangue che il muscolo cardiaco butta in circolo.

Un po' come i fiumi in piena che rompono gli argini, una circolazione così violenta danneggia i vasi sanguigni, anche quelli che portano ossigeno al cervello. Così, chi presenta pulsazioni molto intense, avrà il 50% in più di possibilità di sviluppare una demenza durante i successivi 10 anni.

Con pulsazioni del cuore intense, aumenta del 50% il rischio di sviluppare una demenza

In particolare, quella di tipo vascolare è causata per via diretta da un ridotto afflusso di sangue all'attività cerebrale e si ritiene che questa carenza giochi un ruolo anche nello sviluppo della sindrome di Alzheimer. Stiamo parlando delle due forme di demenza più diffuse all'interno della popolazione over 70.

Arrivati a questo punto ti starai chiedendo come mai nel titolo di questo articolo si parla di ecografia al collo. Se con due dita fai una leggera pressione nella parte sinistra, te ne renderai conto da solo. È grazie a una scansione dell'attività arteriosa della carotide che si può capire se qualcosa non sta funzionando come dovrebbe. E sai quanto dura questo esame? Cinque minuti.

"Prima di formulare una diagnosi di demenza, può trascorrere anche molto tempo e l'attesa provoca stress e frustrazione nel paziente", ha spiegato Paul Edwars, direttore dei Servizi clinici per la demenza in Gran Bretagna. "È incoraggiante sapere che si sta lavorando allo sviluppo di metodi più rapidi".

E naturalmente, prima si sa, prima si può intervenire. Più di uno studio ha legato l'aumento del rischio di demenza al fumo e all'assenza di attività fisica. Risultati sui quali non esiste ancora una certezza assoluta, ma quello che è sicuro è che un'alimentazione ricca di grassi e zuccheri oppure dipendenze, come quella da alcol o da sostanze stupefacenti, favoriscono l'ostruzione delle arterie. Molto probabile, quindi, che intervenendo su questi fattori si riesca anche ad allontanare la possibilità di sviluppare malattie neurodegenerative legate alla vecchiaia.

"Quello che sappiamo finora è che un corretto afflusso di sangue al cervello è importantissimo e che proteggere il cuore e prevenire disturbi alla circolazione sono associati a un minore rischio di demenza", ha precisato Carol Routledge, Direttore dell'Alzheimer Research UK.

Sono i numeri a confermare la necessità di intervenire il prima possibile. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, attualmente sono 50 milioni le persone al mondo affette da demenza, ma sono cifre destinate a crescere a causa dell'allungamento della vita media della popolazione globale. Entro il 2050 si potrebbero infatti raggiungere i 152 milioni. E negli Stati Uniti rappresenta già la sesta causa di morte.

Fonte| 380 – Carotid Artery Wave Intensity Measured in Mid- to Late-Life Predicts Future Cognitive Decline: The Whitehall II Study presentato alla conferenza annuale dell'American Heart Association l'11 novembre 2018

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