Dipendenza dai videogiochi: chi ne è vittima ha già una sofferenza con cui dover fare i conti

Se non indicato espressamente, le informazioni riportate in questa pagina sono da intendersi come non riconosciute da uno studio medico-scientifico.
La dipendenza dai videogiochi si manifesta già negli anni delle scuole medie, ma non di rado anche prima. D’altronde non sono pochi i genitori che mettono in mano al proprio bambino un tablet già nel passeggino. La prevenzione è fondamentale perché quello che potrebbe sembrare un’abitudine innocua oggi, potrebbe diventare un problema più avanti.
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Rubrica a cura di Gaia Cortese
17 Giugno 2020

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità la dipendenza da videogiochi è una malattia mentale. Si tratta di un utilizzo eccessivo o compulsivo dei videogiochi che interferisce con la vita quotidiana di chi ne è vittima e che spesso colpisce le fasce più giovani di età. Ne abbiamo palato con la Dottoressa Giulia Tomasi, psicologa psicoterapeuta ad orientamento costruttivista presso l'associazione A.M.A di Trento.

Quali sono le fasce di età più colpite?

Se parliamo di fasce di età, diciamo che il problema insorge negli anni della scuola secondaria di primo grado, ma la maggior parte dei casi si riscontrano in un’età più avanzata, in adolescenza o nella prima giovane età adulta, dai 17 anni in su. La questione della diagnosi è abbastanza complessa perché in questa fascia di età si tende a non fare diagnosi statiche, l’adolescenza è un periodo di cambiamento, di evoluzione per cui bisogna fare attenzione a definire o ad etichettare un ragazzo come dipendente dai videogiochi.

I tempi di osservazione dati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sono lunghi, il problema deve perdurare per un certo tempo e tutte le aree della vita devono essere intaccate dal gioco. In poche parole, se un ragazzo passa l’estate a giocare a un videogioco specifico questo non deve preoccupare: al contrario se questo comportamento si protrae nel tempo e va a sostituire altre attività (scuola, sport, hobby…) allora sì, può essere un campanello di allarme.

Come si capisce se un ragazzo soffre di questa dipendenza?

L’abbandono scolastico e il calo di rendimento sono i campanelli di allarme numero, anche perché il genitore se ne accorge immediatamente. Se un ragazzo lascia il calcio a 16 anni invece, questa scelta può rientrare in un momento di cambiamento del ragazzo, magari vuole solo cambiare attività sportiva, ha altri impegni, insomma, non per forza si tratta di un fattore di rischio.

In verità, anche il calo di rendimento può essere un fattore legato all’epoca adolescenziale, ma se il ragazzo smette di andare a scuola è sicuramente un segnale da cogliere, soprattutto se il calo di rendimento e l’abbandono scolastico sono conseguenze della cattiva abitudine di stare svegli tante ore la notte per giocare ai videogiochi. Quello che succede, infatti, è che il ragazzo, già in difficoltà, incontra il videogioco e ci deve giocare perché tutti ci giocano; all’inizio il genitore magari è anche permissivo, ma se il ragazzo sostituisce le sue normali attività con i videogiochi è preoccupante, perché se c’è terreno fertile per una dipendenza, il ragazzo rischia di fare il salto.

Quali possono essere i problemi di salute generati da questa dipendenza?

Sono veramente a 360°. Al primo posto ci sono i disturbi del sonno (non di rado il ragazzo si mette la sveglia di notte perché ha magari un torneo da giocare con ragazzi dall’altra parte del mondo), seguiti poi da disturbi fisici come quelli posturali (mal di schiena, torcicollo, frequenti mal di testa, calo della vista). Ci sono poi tutti quei problemi legati alla scarsa attività fisica, all’alimentazione scorretta e ai pasti sregolati.

Quando è necessario il ricovero in una struttura specializzata?

L’idea della struttura specializzata per risolvere questo tipo di dipendenza nasce dalla Cina dove il problema dei videogiochi è notevole. Si tratta di veri e propri campi militari che si basano sulla rieducazione, su una vita più regolare e più regolata. In Italia ce ne sono meno e quando ci si arriva, è perché il genitore non riesce più a intervenire sulla gestione del tempo e della vita del ragazzo, e perché c’è ormai un livello di conflitto e tensione molto alto. Un effetto abbastanza comune a tutte le dipendenze è che chi ne è affetto diventa anche violento: una mamma che toglie la play-station al figlio può dare luogo a urla e litigi, ma anche alla violenza fisica. L’idea di portare il ragazzo in una struttura si basa sul principio che il ragazzo abbia un problema educativo, e pertanto debba essere rieducato a utilizzare le sue risorse in modo differente.

Tutto quello che ha a che fare con social network, video su Youtube, giochi online non può essere un sostitutivo della relazione.

L’associazione A.M.A di Trento per cui lavoro vede invece nel ragazzo dipendente una sofferenza. L’uso del videogioco ha un significato differente: è il ragazzo che sta cercando di far esperienza di vita all’interno del videogioco. La colpa quindi non è dello strumento, per quanto, si sa, ha un potenziale di assorbimento notevole. Se un ragazzo non è in difficoltà, può anche giocare per un po’ di tempo ai videogiochi, ma non rinuncia a uscire con gli amici, non rinuncia a relazionarsi o ad andare a scuola. Il ragazzo che ci rinuncia è invece già in una fase di crisi, magari ha una storia di bullismo alle spalle, fatica ad accettarsi.

Sono approcci diversi e possono funzionare entrambi, dipende dal ragazzo e dalla situazione. L’intervento educativo non in struttura richiede più tempo ed è accompagnato da terapie di tipo psicologico, così la nostra associazione si preoccupa di seguire anche i genitori attraverso colloqui di sostegno e gruppi di mutuo aiuto a cadenza bisettimanale.

Come si può fare prevenzione?

Attraverso progetti di collaborazione con le scuole per cercare di intercettare in anticipo questi soggetti, anche perché già alle scuole medie si riescono ad individuare quelli che non riescono a partecipare a scuola. Nelle situazioni più gravi, come associazione, prevediamo anche dei progetti personalizzati, ma il punto è che, se già conosciamo i campanelli di allarme, la cosa migliore è provare a intervenire prima.

In Trentino molti progetti sono finanziati dall’Agenzia della Famiglia e prevedono un’educazione digitale, come il progetto Navigare a vista, fatta già a scuola e che preveda dei momenti di riflessione con i genitori. La prevenzione è fondamentale perché spesso il problema nasce molto presto.

Oltretutto negli ultimi anni l’industria videoludica ha avuto un boom esponenziale, e anche in Italia, le industrie si sono attrezzate sempre di più per creare giochi targetizzati sull’età. Se prima i giochi avevano competenze anche un po’ cognitive adesso l’industria ha aperto a 360°, offrendo anche giochi per bambini in fascia d’età 0-3. Il problema è che le dinamiche di gioco che possono lasciare un bambino tranquillo da piccolo possono poi trasformarsi in battaglie durante l’adolescenza. La lungimiranza è necessaria. Tutto quello che ha a che fare con social network, video su Youtube, giochi online non può essere un sostitutivo della relazione, deve esserci sempre un genitore che media con il mezzo.

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Con il segno zodiacale dei Gemelli, non potevo avere come unica passione quella della scrittura. Al piacere di spingere freneticamente tasti altro…