Ecco perché il “piano Valditara” per l’educazione alle relazioni nelle scuole rischia di essere l’ennesimo fallimento

Dopo la notizia dell’omicidio di Giulia Cecchettin, la 105esima vittima di femminicidio in Italia dall’inizio dell’anno, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha annunciato l’introduzione nelle scuole di un programma di 12 ore all’anno di “Educazione alle relazioni”. Ma sarà sufficiente per rieducare i ragazzi e l’intera società affinché Giulia sia davvero l’ultima? Lo abbiamo chiesto allo psicoterapeuta esperto in tematiche giovanili Giuseppe Lavenia.
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Maria Teresa Gasbarrone 20 Novembre 2023
Intervista a Dott. Giuseppe Lavenia Psicoterapeuta e presidente dell'associazione nazionale Di.Te (Dipendenze tecnologiche e cyberbullismo)

Giulia Cecchettin è la 105esima donna uccisa nel 2023 per mano di uomini che dicevano di amare le loro vittime. Aveva solo 22 anni, eppure all'indomani della notizia del ritrovamento del suo corpo ormai senza vita, la sorella Elena non chiede vendetta, chiede educazione. Educazione agli uomini e alla società tutta, affinché Giulia sia l'ultima vittima di una cultura viziata dal patriarcato, e di uno Stato ancora, tragicamente, assente.

Alla richiesta di Elena, alla cui voce si sono unite quelle di migliaia di donne – e in più casi anche di uomini, sebbene non ancora abbastanza -, di una presa di responsabilità da parte dello Stato, un tentativo di risposta è arrivato da parte del ministro dell'Istruzione Giuseppe Valditara: l'idea di un programma di "educazione alle relazioni", nelle scuole superiori.

Il "piano Valditara"

Da quanto trapelato finora si tratterebbe di un programma rivolto ai ragazzi e alle ragazze delle scuole superiori.

La presentazione ufficiale del piano è fissata per mercoledì 22 novembre, ma iniziano già a girare diverse voci sui contenuti del già rinominato "piano Valditara": secondo quanto anticipato da Repubblica, "Educare alle relazioni" dovrebbe essere un corso extracurricolare di 12 incontri, un'ora di educazione alle relazioni a settimana per tre mesi, durante le quali gli alunni, divisi in gruppi, dovrebbero essere guidati dai docenti con il supporto di esperti.

Sembra che il corso affronterà di volta in volta temi legati alla violenza sulle donne, come il concetto di consenso o l'importanza di denunciare. Stando a quanto anticipato a oggi le frasi chiavi di queste 12 ore di lezioni saranno: "Un no è un no, un vestito non è un invito, le parole sono pietre, innamorata è un modo di dire, non rinunciare a denunciare".

Ma è abbastanza?

La notizia dell'omicidio di Giulia ha scosso il Paese, sempre più stanco di allungare quell'elenco, che periodicamente si ingrossa e ci schiaccia. Schiaccia le donne, soprattutto, stanche di sentirsi dire cosa fare per non essere ammazzate.

Educare, non c'è dubbio, è l'unica strada possibile da seguire, non le donne, ma gli uomini e l'intera società. Ma, oltre a specificare chi deve essere educato, non si può non sottolineare che anche il "come" conta. Non abbiamo più tempo per fare tentavi, né tanto meno per commettere errori.

Per questo motivo abbiamo chiesto un parere a Giuseppe Lavenia, psicoterapeuta e presidente dell'associazione nazionale Di.Te (Dipendenze tecnologiche e cyberbullismo), esperto in salute mentale dei giovani.

"L'educazione affettiva a partire dai 13-14 anni non è una misura sufficientemente precoce. È essenziale iniziare questo percorso educativo già nella scuola dell'infanzia. In questa fase, i bambini stanno formando le loro prime relazioni sociali e stanno iniziando a navigare nel mondo delle emozioni".

Cosa significa educare all'affettività?

Un corso di educazione all'affettività non può riguardare solo la condanna della violenza di genere. Quesa è la base, ovviamente, ma se si è al punto di dover insegnare a condannare la violenza, forse è già troppo tardi: "Introdurre concetti come l'empatia, il rispetto reciproco, la consapevolezza e la regolazione delle emozioni, può aiutare i bambini a comprendere meglio se stessi e gli altri. Questo approccio deve essere continuato e approfondito nelle scuole elementari e medie, dove i bambini iniziano a sperimentare una maggiore complessità nelle loro relazioni sociali".

Questo non significa certo che l'educazione all'affettività non debba proseguire durante le superiori: "L'adolescenza, con i suoi rapidi cambiamenti fisici, emotivi e sociali, richiede un'attenzione particolare. In questo periodo, l'educazione all'affettività dovrebbe concentrarsi su temi come l'identità personale, la gestione dello stress e dell'ansia, la sessualità sana, il consenso, e la resilienza emotiva. Dovremmo quindi ambire a un approccio che segue gli studenti lungo tutto il loro percorso scolastico, adattandosi e approfondendo i temi trattati in relazione alle esigenze evolutive di ogni età. È questa la strategia più efficace".

"Un programma di educazione alle relazioni nelle scuole – conclude Lavenia – dovrebbe essere visto come un processo educativo continuo che inizia dalla più tenera età e si estende per l'intero percorso scolastico. Un tale programma, focalizzato sullo sviluppo di una profonda comprensione delle relazioni umane e delle emozioni, non solo previene la violenza, ma promuove anche un'educazione emotiva e sociale più ampia".