Ghiaccio bollente: il futuro delle montagne italiane senza ghiacciai

L’estensione dei ghiacciai italiani si è ridotta del 30% negli ultimi anni. Quali azioni intraprendere per adattarsi ad una montagna del futuro senza ghiaccio.
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Andrea Di Piazza Geologo specializzato in Green Management
5 Luglio 2023 * ultima modifica il 06/07/2023

Tra gli ambienti naturali più colpiti dagli effetti del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici vi sono le calotte glaciali delle zone polari e i ghiacciai, che negli ultimi anni hanno subìto un po' ovunque arretramenti significativi. Anche in Italia famosi ghiacciai come i Forni o il ghiacciaio del Gran Paradiso, hanno subìto drammatici ridimensionamenti. Per non parlare degli eventi improvvisi e imponenti, come il crollo del seracco del ghiacciaio della Marmolada che, nel luglio del 2022, ha provocato la morte di 11 persone. Ma come stanno i ghiacciai delle nostre montagne e quali azioni sono state intraprese per monitorarne lo stato?

Ghiaccio italiano

Secondo i dati del Nuovo Catasto dei Ghiacciai Italiani, a cura del Comitato Glaciologico Italiano e del Gruppo di Ricerca Glaciologia dell'Università degli Studi di Milano, in Italia sono censiti 903 ghiacciai per una superficie complessiva pari a circa 370 chilometri quadrati. La loro distribuzione interessa l'intero arco alpino, dal Piemonte al Friuli Venezia Giulia, con due piccoli "outsider", situati nella zona sommitale del Gran Sasso d'Italia in Abruzzo. Vari per tipologia e dimensioni, si passa dai grandi ghiacciai dell'Adamello ai ghiacciai vallivi a bacini composti come i Forni e il Lys, fino ai piccoli ghiacciai montani e ai minuscoli glacionevati, che caratterizzano per esempio i due superstiti dell'Appennino.

La Valle d'Aosta è la regione a maggiore copertura glaciale (oltre il 36% della superficie totale), mentre la Lombardia è la "regina dei ghiacciai" con ben 230 siti censiti. La maggior parte dei corpi glaciali italiani sono di piccole dimensioni (sotto 1 chilometro quadrato di superficie), soltanto 11 hanno un'estensione maggiore di 5 chilometri quadrati. I primi sono tra l'altro quelli più soggetti agli effetti dei cambiamenti climatici in corso.

L'andamento degli ultimi anni

Un confronto con i dati della serie storica 1959-1962 (Catasto CGI) ha permesso di fare alcune valutazioni importanti sull'evoluzione dei ghiacciai italiani. Negli ultimi 50 anni circa, l’area totale coperta dai ghiacci si è ridotta di circa il 30%, passando dai 526,88 chilometri quadrati del catasto precedente agli attuali 368,10 chilometri quadrati. Di contro il numero complessivo di corpi osservati è aumentato (da 835 ai 903 attuali): un effetto combinato tra la frammentazione dei corpi glaciali dovuti alla loro ritirata o al loro scioglimento, e l'inserimento nel catasto attuale di elementi non osservati nelle rilevazioni precedenti (per esempio perché coperti da detrito).

Nell'intervallo temporale tra le due rilevazioni sono scomparsi completamente 180 ghiacciai, di cui la maggior parte era localizzata in Trentino Alto Adige, Valle d'Aosta e Lombardia. Si tratta complessivamente di circa 23 chilometri quadrati in meno di superficie glaciale, ovvero una riduzione di areale del 15%. Secondo le osservazioni del gruppo di ricerca a soffrire maggiormente sono proprio i corpi glaciali più piccoli che, probabilmente a causa delle loro limitate dimensioni, fondono più facilmente rispetto a corpi più estesi. Ma quali azioni possono essere messe in campo per fronteggiare la scomparsa dei ghiacciai, ricordiamolo, insieme all'innevamento, fonte essenziale di acqua dolce per milioni di persone?

L'impressionante ritirata del ghiacciaio Adamello (Lombardia) dal 1897, a sinistra, al 2020, a destra.

Le azioni da mettere in campo

Fermare lo scioglimento dei ghiacciai è impossibile, a meno che non riusciamo a bloccare istantaneamente l'effetto delle nostre attività sul riscaldamento globale. Meglio parlare dunque di adattamento, i ghiacciai alpini infatti non possono più essere considerati "perenni" e, secondo gli scienziati, dovrebbero sparire dalle nostre montagne entro la fine del Secolo.

Tramite il report "La carovana dei ghiacciai", che fotografa la situazione dei corpi glaciali alpini, Legambiente ha lanciato azioni e proposte per migliorare il livello di adattamento delle aree montane italiane ai cambiamenti climatici. Innanzitutto è fondamentale il monitoraggio dei ghiacciai e delle acque montane attraverso l'utilizzo delle tecnologie più avanzate, con il fine di raccogliere dati e osservazioni utili alla definizione di scenari e modelli di evoluzione. Queste informazioni sono essenziali anche per monitorare la disponibilità idrica a valle e dunque aggiornare costantemente i bilanci idrologici, fondamentali per mettere in atto eventuali politiche di risparmio idrico. Importante, da questo punto di vista, il mantenimento di una banca dati nazionale.

Puntare su formazione e conoscenza, attraverso la promozione a livello locale di piani per la sensibilizzazione e l'informazione delle comunità locali sui cambiamenti climatici incentivando anche attività di formazione sull’uso sostenibile delle risorse naturali. Da questo punto di vista è inoltre importante sostenere l'industria del turismo montano riconoscendo la necessità di convertire progressivamente i modelli di sviluppo che espongono i territori alla continua incertezza stagionale. Va inoltre rafforzata la governance, attraverso la promozione di una sinergia tra i vari attori istituzionali, il potenziamento del ruolo delle Autorità di Bacino e di Distretto e la realizzazione di programmi o progetti di manutenzione integrati sul territorio, redatti da figure con competenze intersettoriali e interdisciplinari.

Studiare i grandi malati di ghiaccio

L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia porta avanti, sin dal 1997, il monitoraggio dei ghiacciai in Italia attraverso misure di radar glaciologia, in collaborazione con il Programma Nazionale di Ricerca in Antartide (PNRA), l’Istituto di Scienze Polari del CNR e l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Questa tecnica funziona un po' come una "radiografia" per il corpo umano: il ghiaccio è quasi trasparente alle onde radio di frequenza non elevata (minori di 1 GHz), le onde elettromagnetiche vengono inviate da un radar trasmettitore, mentre un ricevitore registrerà quelle riflesse da eventuali superfici di discontinuità. In questo modo, convertendo i tempi di arrivo delle onde in distanze, si potrà ottenere una vera e propria fotografia del ghiacciaio con informazioni sullo spessore e sulla struttura. Le campagne svolte fino a maggio 2023 per il monitoraggio dei ghiacciai alpini sono state effettuate sul Forni, sullo Sforzellina, sul Careser, sul Miage, sul Gran Combin, sulla Marmolada e sul piccolo ghiacciaio appenninico del Calderone.

Radargramma del piccolo ghiacciaio del Calderone (Abruzzo) che mostra lo spessore massimo del corpo glaciale (fonte Ingv Ambiente)

Dopo una laurea in Geologia ed un dottorato di ricerca presso l'Università degli Studi Roma Tre, ha lavorato come ricercatore presso altro…