
Ci sono bambini che a scuola sbagliano tutte le verifiche, che corrono e non riescono a stare fermi, che non ascoltano l'insegnate e non parlano con i loro compagni. Potrebbero sembrare affetti da deficit dell'attenzione o da una qualche forma di ritardo nell'apprendimento. Invece è esattamente il contrario: sono i cosiddetti bambini prodigio.
Ragazzini di 10 anni in grado di studiare il greco antico e che a 13 sono pronti per frequentare l'università. Sembrerebbe che davanti i loro occhi si apra una vita senza ostacoli e invece ne esiste uno gigantesco: avere degli amici ed essere felice.
Se ne hai sempre sentito parlare, ma non sai esattamente cosa significhi, ti aiuterò a capire meglio cosa comporta per la propria vita scoprire di essere molto più intelligenti dei propri coetanei.
Se misuri il tuo quoziente intellettivo, avrai un risultato che varia dagli 80 ai 100 punti. I bambini prodigio possono arrivare ad averne 149. Esistono infatti tre categorie di enfant prodige, ma solo in un caso possono dirsi veramente plus dotati:
In questo articolo ti parlerò soprattutto dell'ultimo caso.
Nel 1995 la trasmissione Rai Superquark si è occupata per la seconda volta dei bambini prodigio. Nello specifico, è andata a trovare di nuovo alcuni ragazzi americani dalle doti fuori dal comune che aveva già incontrato 12 anni prima. Alcuni di loro a 13 anni frequentavano una scuola di Chicago che si occupava di organizzare corsi adatti alle loro capacità: nel giro di tre settimane, avevano svolto tutto il programma di matematica di quattro anni di liceo.
Diventati ormai 25enni, erano laureati e stavano già ottenendo posizioni di prestigio in alcune delle più importanti società di consulenza del mondo.
Un gruppo di sorelle cresciute dai genitori affinché diventassero dei piccoli geni raccontava invece di aver preso la seconda laurea a 22 anni o di frequentare l'università in età da scuole medie.
Le aspirazioni medie di un bambino prodigio sono invece state raccolte dal programma Nemo: se tuo figlio sogna di fare l'astronauta, loro vogliono diventare fisici teorici. Mentre accompagni tua figlia a giocare a basket, i loro genitori li stanno portando a un corso di letteratura latina.
"Riunire studenti di un certo tipo è una cosa buona, perché sei con ragazzi della tua età e sei stimolato mentalmente", racconta Wally, 25 anni, ai microfoni di Superquark. "Ma quando vai a casa, dopo il corso, ritrovi i ragazzi normali e devi scegliere se fare una vita come la loro o diventare una sorta di fenomeno da baraccone, studiando all'università, quando hai solo 13 o 14 anni"
Alessandro di 12 anni, invece, si preoccupa di fronte alle telecamere di Nemo:
"E se questo video lo vedono i miei compagni? Non devono sapere che sono così"
Ecco, questo è lo scollamento che vive ogni giorno un bambino prodigio. Da un lato, ha potenzialità enormi che gli permetterebbero di ottenere grandi risultati in un'età nella quale di solito si pensa più a giocare che a studiare. Dall'altro, non è in grado di entrare in contatto con i propri coetanei, si vergogna, non sa gestire le proprie emozioni da 11enne in un'intelligenza da 20enne.
Questo perché i dati possono essere immagazzinati ed elaborati, ma lo spettro di emozioni di cui è fatto un essere umano deve essere allenato dall'esperienza di vita, dal rapporto con le altre persone e da tutti gli alti e i bassi che la realtà ti pone di fronte. In un campo del genere bisogna avere pazienza, non si possono bruciare le tappe.
Succede così che la scuola, che dovrebbe essere il posto preferito da un bambino che si nutre di conoscenza, diventi "una struttura che contiene le più cattive streghe", come scrive Alice, 12 anni con un Q.I. di 146 punti. Una ragazzina che si sente "una mela tre le pesche" e che si nasconde dietro ai capelli quando viene presa in giro dai compagni per la sua intelligenza.
La conseguenza è che un bambino inizia a comportarsi male, a sbagliare le verifiche, a non concentrarsi più a scuola. Vuole solo essere accettato dagli altri. C'è infatti un altro dato da tenere in considerazione: non detto che un bambino plus dotato lo sia per sempre. A un certo punto, non potrà assimilare nozioni all'infinito: sarà raggiunto dagli altri e, allora, cosa gli rimarrà di speciale?
Il problema è, come spesso accade in certi casi, che dei bambini prodigio non si parla abbastanza. Così, un insegnante che ha nella sua classe un ragazzino plus dotato, potrebbe non accorgersene, non capire come trattarlo e, addirittura, ritenere che abbia ritardi nell'apprendimento.
Adesso immagina di trovarti a 10 anni senza i tuoi genitori, in mezzo a un gruppo di persone della tua età con le quali non riesci a giocare perché ti annoi, mentre l'insegnante ti dice che non sei poi neanche tanto intelligente. Cosa ti rimane a questo punto per costruire la tua autostima?
Anche per questa ragione, in Italia esistono diverse associazioni che si occupano di aiutare i bambini prodigio a gestire la loro diversità. Ad esempio, Aistap (Associazione italiana per lo sviluppo del talento e della plusdotazione) che organizza vacanze estive e corsi per la formazione dei docenti. Oppure la Fondazione Eris, una onlus che offre un aiuto a persone con fragilità psicologiche e sociali. O, infine, Stepnet che fornisce supporto clinico a ragazzi plusdotati.
Quello che manca sono invece strutture pubbliche, che possano essere d'aiuto anche a chi non può permettersi dei corsi privati per i propri figli. E una presa di coscienza dell'esistenza di individui che hanno un quoziente intellettivo più alto della media, ma che rimangono comunque dei bambini.