La parola trauma deriva dal greco e significa danneggiare, ledere. Contiene inoltre un duplice riferimento a una ferita con lacerazione e agli effetti di uno shock violento sull’insieme dell’organismo. Originariamente di pertinenza delle discipline medico-chirurgiche, durante il XVIII sec. il termine è stato usato in psichiatria e psicologia clinica per indicare l’effetto soverchiante di uno stimolo sulle capacità dell’individuo di farvi fronte.
Esistono diverse forme di esperienze potenzialmente traumatiche a cui può andare incontro una persona nel corso della vita. Esistono i “piccoli traumi” o “t”, ovvero quelle esperienze soggettivamente disturbanti che sono caratterizzate da una percezione di pericolo non particolarmente intensa. Si possono includere in questa categoria eventi come un’umiliazione subita o delle interazioni brusche con delle persone significative durante l’infanzia. Accanto a questi traumi di piccola entità si collocano i traumi "T", ovvero tutti quegli eventi che portano alla morte o che minacciano l’integrità fisica propria o delle persone care. A questa categoria appartengono eventi di grande portata, come ad esempio disastri naturali, abusi, incidenti e così via.
Il Disturbo da Stress Post-Traumatico (DSPT) o PTSD, Post-Traumatic Stress Disorder, secondo la terminologia anglosassone, è un disturbo psicopatologico il cui sviluppo consegue all’esposizione da parte di un individuo ad uno o più eventi traumatici catastrofici o violenti. Il quadro clinico è caratterizzato da un insieme di sintomi, di durata e intensità variabile, in grado di generare disagi significativi dal punto di vista clinico per il soggetto che ne è affetto, con evidente compromissione del suo funzionamento in ambito interpersonale e/o professionale.
Il disturbo post-traumatico da stress è un disturbo che può insorgere in soggetti di qualunque età che abbiano vissuto o che abbiano assistito a un evento traumatico che ha implicato un rischio per l'integrità fisica o per la vita, propria o di altre persone. Affinché si sviluppi il disturbo post-traumatico da stress non è indispensabile che la situazione sperimentata sia stata effettivamente catastrofica (come una guerra, un incidente aereo, un grave incendio o una calamità naturale devastante), ma che la persona coinvolta l'abbia percepita come tale. Entro certi limiti, quindi, la probabilità che si instauri il disturbo non dipende solamente dal tipo di evento vissuto, ma anche dal profilo psicoemotivo e da fattori di vulnerabilità individuali della persona interessata.
Il Disturbo Post Traumatico da Stress ha un incidenza tra il 5% e il 10% della popolazione e si sviluppa in seguito all’esposizione ad un evento stressante e traumatico che la persona ha vissuto direttamente, o a cui ha assistito, e che ha implicato una minaccia all’integrità fisica e psicologica propria o di altri.
La risposta della persona all’evento traumatico comporta paura intensa, senso di impotenza e/o orrore (nei bambini questo può essere espresso con comportamento disorganizzato o agitato e irritabilità) e si caratterizza per i seguenti sintomi:
I sintomi del disturbo post traumatico da stress possono insorgere immediatamente dopo il trauma o anche dopo molto tempo con esordio tardivo e la sua durata può variare da un mese alla cronicità; per questo si rende necessario un intervento tempestivo. Tale quadro psicologico può manifestarsi negli individui di qualsiasi età e talvolta può verificarsi anche nei familiari o nei soccorritori coinvolti in un evento traumatico, come calamità naturali o gravi incidenti stradali e aerei. La manifestazione dei sintomi avviene generalmente nei primi tre mesi successivi al trauma, anche se in alcuni casi si parla di “espressione ritardata” dei sintomi.
Il PTSD rappresenta una complessa reazione clinica nei confronti di uno o più eventi traumatici di natura fisica e/o psicologica. Esempi ne sono catastrofi naturali, eventi bellici, minacce di morte, incidenti automobilistici, malattie a prognosi infausta, svolgere attività lavorative in grado di incrementare il rischio di esposizione ad eventi traumatici, episodi di bullismo, maltrattamenti e/o trascuratezza in infanzia, abusi fisici o sessuali durante epoche precoci dello sviluppo. Le probabilità di sviluppare un PTSD sono proporzionali alla gravità di un accadimento traumatico, definita dalla sua natura e frequenza e al grado di minaccia percepita. Diversi elementi sono poi in grado di incrementare la possibilità di manifestare questa condizione psicopatologica, a seguito dell’esposizione ad un accadimento traumatico. In funzione della loro relazione con il trauma in termini temporali, si riconoscono fattori di rischio pre-traumatici, peri-traumatici e post-traumatici.
Tra le variabili pre-traumatiche, svolgono un ruolo significativo l’appartenenza al sesso femminile, la presenza di pregressi disturbi psichiatrici, possibili vulnerabilità di tipo genetico e l’esposizione ad altre esperienze traumatiche in momenti di vita precedenti. I fattori peri-traumatici si riferiscono alle diverse caratteristiche dell’accadimento traumatico in sé. In proposito, assumono particolare rilevanza, come detto, il livello di minaccia percepita per la vita, la durata dell’evento e il suo grado di imprevedibilità. Ulteriore variabile peri-traumatica in grado di incrementare la probabilità di sviluppo di un PTSD è il riscontro di manifestazioni dissociative durante l’esposizione all’evento traumatico. In riferimento alle variabili post-traumatiche, è importante menzionare il livello di sostegno sociale su cui può fare affidamento l’individuo e il suo stile personale di richiesta di aiuto nonché l’eventuale esposizione a successivi eventi traumatici o esistenziali avversi.
È dall’interazione tra esposizione ad accadimento traumatico e costellazione di fattori di rischio presenti che deriva la possibilità di sviluppare il PTSD. Una simile relazione tra fattori eziologici giustifica l’osservazione epidemiologica secondo cui non tutti i soggetti esposti a traumi manifestano poi, nel breve o nel lungo periodo, le manifestazioni cliniche del disturbo. Sono infatti riscontrabili discrepanze significative tra i valori di esposizione ad eventi traumatici nella popolazione generale e i valori di prevalenza del PTSD.
In particolare per lo sviluppo di un PTSD (DSM-5; APA, 2013) è necessario che:
Studi recenti sulla popolazione italiana stimano che il rischio di sviluppare un PTSD nel corso della vita (la così detta prevalenza life-time) è del 2,4% e che, sebbene gli eventi traumatici siano piuttosto comuni, solo un terzo delle persone che li subisce manifesta la patologia.
È logico pensare quindi che esistono fattori di rischio che predispongono alcune persone più di altre a una patologia post traumatica, fattori legati alla vulnerabilità individuale (come aver già subito in passato un trauma o soffrire di un disturbo psicologico o psichiatrico) e fattori legati alla vulnerabilità sociale (come uno scarso sostegno sociale ed emotivo). Vi sono, tuttavia, anche caratteristiche legate al trauma che aumentano il rischio di sviluppare il disturbo post traumatico. Ciò che si tende a credere è che la probabilità di sviluppare un PTSD sia maggiore quanto maggiore è il rischio percepito per la propria incolumità (quindi un conto è osservare una catastrofe da lontano un conto è viverla direttamente).
Chi presenta un PTSD può necessitare di un piano di cura che spesso prevede l'integrazione tra una terapia farmacologica e una terapia psicologica e/o comportamentale. La cura farmacologica viene stabilità da un medico psichiatra che considera quali sono i sintomi prevalenti e definisce il piano di trattamento più adatto. In alcuni casi potrebbe essere necessaria una stabilizzazione farmacologica del paziente prima di iniziare un percorso di psicoterapia, soprattutto quando i sintomi sono molto invasivi e compromettono in gran parte il funzionamento psicosociale del soggetto.
Obiettivo della terapia è l’elaborazione del trauma e il graduale abbandono della tendenza all’evitamento dei ricordi volontari, delle situazioni e delle persone collegati all’evento.
Un'altra tecnica utile contro il disturbo post-traumatico da stress è il cosiddetto Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR): un approccio che consiste nell'attivazione contemporanea di entrambi gli emisferi cerebrali, mediante una stimolazione bilaterale alternata di tipo visivo, tattile o acustica, eseguita durante la rievocazione dell'evento traumatico. L'EMDR sembrerebbe facilitare il processo di rielaborazione emotiva e cognitiva della situazione critica vissuta.
Amici e familiari possono aiutare chi soffre di disturbo post-traumatico da stress a superare il disagio, assumendo un atteggiamento accogliente e supportivo. In particolare, chi sta vicino a una persona che ha vissuto un evento traumatico non dovrebbe mai sottovalutarne le eventuali lamentele o richieste d'aiuto. Se la persona con disturbo post-traumatico da stress si mostra agitata a causa di un incubo ricorrente legato a un episodio violento da poco vissuto, quindi, non si devono drammatizzare, ma neppure banalizzare le sue emozioni, ritenendole esagerate e irragionevoli. Il comportamento più utile consiste nel cercare di comprendere il disagio (reale e significativo) e aiutare a ridimensionarlo, elaborandolo in modo razionale.
I sintomi possono cronicizzarsi ed anche nel caso in cui il decorso naturale del disturbo porti ad una loro progressiva riduzione questa può impiegare tempi molto lunghi, con il rischio di sviluppare altri problemi e complicanze di carattere psicologico.
La compromissione cui porta il disturbo può essere piuttosto severa e altamente invalidante, in quanto coinvolge tutti i principali livelli di funzionamento della persona. La persona può così ritrovarsi impossibilitata a svolgere il proprio lavoro e non riuscire a instaurare relazioni efficaci con gli altri. Possono inoltre essere presenti seri rischi suicidari.
Esistono trattamenti di efficacia dimostrata che offrono alla persona alte probabilità di risoluzione dei sintomi e un ritorno a buoni livelli di funzionamento personale in tempi ragionevoli, che dipendono dalla gravità del disturbo e da una serie di fattori ostacolanti e facilitanti.
Se non adeguatamente e prontamente curato il PTSD può aggravarsi e associarsi ad altri quadri psicopatologici come la depressione o la dipendenza da sostanze e farmaci, con elevato rischio di suicidio, anche a molti anni di distanza.
La salute fisica, inoltre, può risultare compromessa per la comparsa di una continua sensazione di stanchezza, disturbi gastrointestinali e cardiovascolari e per un complessivo indebolimento del sistema immunitario. La presenza di un disturbo post traumatico può inoltre aggravare un eventuale disturbo psichico preesistente, come depressione e ansia (disturbo di panico, disturbo ossessivo compulsivo), accentuandone i sintomi e aumentando di conseguenza la sofferenza personale.