Il tumore alla tiroide colpisce soprattutto le donne: come la ricerca ha migliorato diagnosi e cure

Una patologia prevalentemente femminile, di cui però tendiamo un po’ a dimenticarci, concedendogli vantaggi che non si merita. Se è vero infatti che nella maggior parte dei casi risulta più facilmente curabile rispetto ad altre neoplasie, è altrettanto vero che la prognosi è strettamente legata a una diagnosi precoce. Oggi, i progressi nella ricerca hanno consentito di ridurre i tempi e sviluppare farmaci mirati per ogni forma. Ne abbiamo parlato con la professoressa Elisei, endocrinologa e ricercatrice.
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Giulia Dallagiovanna 12 Maggio 2023
* ultima modifica il 13/05/2023
Intervista alla Prof.ssa Rossella Elisei Professore associato di Endocrinologia presso l'Università di Pisa, Direttore di Endocrinologia 2 dell'Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana e Ricercatrice di Fondazione AIRC

Quattro volte più frequenti nelle donne rispetto agli uomini: i numeri del tumore alla tiroide lo rendono una patologia prevalemente femminile. Eppure, rimane in secondo piano rispetto, ad esempio, al cancro al seno per il quale è più diffusa la cultura della prevenzione. Il risultato è che lo pensiamo meno, lo conosciamo meno e rischiamo di concedergli vantaggi che non si merita. Tanto per cominciare: sapevi che ne esistono diverse forme, ciascuna con le sue caratteristiche e trattamenti specifici?

La percezione comune è che il carcinoma alla tiroide sia più facilmente curabile rispetto ad altri tipi di neoplasie e, va detto, non è una sensazione del tutto scorretta. Ma come spesso accade, la prognosi è strettamente legata alla rapidità con cui si riesce a effettuare la diagnosi. E proprio della prevenzione e dei fondamentali progressi della ricerca abbiamo voluto parlare con la professoressa Rossella Elisei, professore associato di Endocrinologia presso l'Università di Pisa e Direttore di Endocrinologia 2 dell'Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana.

Professoressa Elisei, innanzitutto le chiedo: quante forme di carcinoma alla tiroide esistono?

Il panorama è complesso. Le più diffuse sono sicuramente quelle papillari e follicolari, che risultano anche le più semplici da trattare. Quella su cui le nostre ricerche si sono concentrate, invece, è la forma midollare per la quale diventa cruciale la diagnosi precoce. Infine, dobbiamo ricordare che esistono altre tipologie, per fortuna rare, che sono più aggressive e difficili da curare.

Quali sono le caratteristiche della forma midollare del carcinoma tiroideo?

Prima di tutto dobbiamo precisare che si tratta di una tipologia rara, ma allo stesso tempo peculiare rispetto ai tumori che interessano questa ghiandola. Si può presentare in due forme: sporadica, ovvero che colpisce quel singolo paziente, o familiare-ereditaria e, dunque, trasmissibile dai genitori ai figli.

Significa che anche i bambini possono svilupparlo?

Esattamente.

Come si può prevenire lo sviluppo di questo tumore, specialmente nei pazienti pediatrici?

Oggi, grazie ai progressi nella ricerca, conosciamo molto bene quale gene risulti alterato nella forma ereditaria. Possiamo quindi ricercarlo nel sangue dei pazienti e stabilire se vi sia il rischio che venga trasmesso agli eventuali figli. In caso di risposta affermativa, possiamo procedere con un'analisi simile anche per i bambini e identificare in anticipo chi è predisposto allo sviluppo del tumore.

In uno studio pubblicato qualche anno fa sulla rivista scientifica Cancers, avevate evidenziato l'importanza di anticipare la diagnosi e l'impatto che si poteva ottenere in termini di sopravvivenza. Supponendo quindi di scoprire che un bambino è predisposto allo sviluppo del carcinoma alla tiroide, cosa si può fare?

Quando la diagnosi viene effettuata su un paziente giovane, le probabilità di sopravvivenza sono superiori rispetto a pazienti con qualche anno in più. I risultati di quello studio mostravano proprio l'importanza di effettuare i controlli alla tiroide con regolarità per poter individuare subito l'eventuale presenza di un tumore. Si potrebbe così optare per una tiroidectomia precoce, che salverà il paziente dalla neoplasia. Dobbiamo dire che questa è stata un'innovazione importantissima nella gestione della forma familiare.

E per quanto riguarda la forma sporadica invece? Ci sono stati progressi nella ricerca?

Sì, anche in questo campo abbiamo ottenuto risultati importanti. Sono state, ad esempio, identificate le alterazioni genetiche del Dna che nel 90% dei casi sono responsabili della forma tumorale. Proprio in questi giorni abbiamo pubblicato uno studio dove viene identificato un nuovo oncogene che può risultare alterato in questi carcinomi e che dovrebbe quindi essere analizzato più a fondo.

Passiamo invece ora alla domanda che tutti si pongono: quali cure esistono per questi carcinomi?

Sul fronte delle cure viene di nuovo in aiuto la ricerca: negli ultimi anni sono stati sviluppati diversi farmaci specifici per queste mutazioni. Oggi quindi abbiamo farmaci mirati per ogni alterazione presentata dal paziente, anche quando la malattia risulta diffusa e metastatizzata. Sono formulazioni molto efficaci e con pochi effetti collaterali.

Questo discorso vale anche per le forme papillari e follicolari?

Sì. Anche rispetto a queste forme abbiamo compiuto dei passi avanti. Conosciamo molte delle alterazioni genetiche che sono alla base della trasformazione tumorale e sono stati sviluppati farmaci mirati contro di esse. Se le mutazioni sono presenti nel tessuto tumorale si possono utilizzare, se necessario, dei farmaci a bersaglio molecolare che fanno parte della famiglia degli inibitori dei recettori tirosin chinasici. I recettori tirosin chinasici sono frequentemente alterati in queste forme di carcinoma tiroideo e le terapie sono dirette a bloccarli e a fermare la progressione del tumore. Non si raggiunge una vera e propria guarigione, ma la neoplasia diventa una malattia cronica con la quale si può convivere.

Questi risultati sono stati ottenuti grazie ai progetti di ricerca portati avanti in tutti questi anni. In base alla sua esperienza, in Italia è facile o difficile reperire fondi per finanziare questi lavori?

Purtroppo è molto difficile, perché i finanziamenti stanziati dalle fonti istituzionali, come il Ministero della Salute o quello dell'Università e della Ricerca, sono ridotti. I bandi sono insufficienti per sostenere tutti i progetti in corso. Un passo avanti c'è stato grazie all'arrivo dei fondi europei, ma accedervi può essere complicato. Resta fondamentale il lavoro di realtà come Airc e di tutte quelle associazioni che raccolgono fondi. Questo significa che la ricerca si basa soprattutto sulla generosità delle persone.

Ci ha spiegato in modo chiaro l'importanza di una diagnosi precoce. Le chiedo allora cosa si possa fare dal punto di vista della prevenzione?

Prima di tutto dobbiamo ricordarci che in presenza di un tumore, la tiroide continua a funzionare regolarmente e che le analisi del sangue di solito non mostrano anomalìe. Non possiamo quindi basarci sui sintomi. L'esame principale per quanto riguarda lo screening è l'ecografia che evidenzia subito la presenza di un nodulo, il primo segnale di tutti i carcinomi di cui abbiamo parlato. Nel 5% dei casi, questa formazione risulterà di natura maligna e la conferma arriverà da un agoaspirato, ovvero una biopsia. L’unico esame del sangue importante, da eseguire sempre in presenza di un nodulo tiroideo, è la calcitonina che è il marcatore tumorale della forma midollare.

Il tumore alla tiroide colpisce ogni anno 8.700 donne ed è il quinto più diffuso tra la popolazione femminile. Abbiamo voluto parlarne in questi giorni, in vista della Festa della Mamma, quando nelle piazze italiane potrai trovare le azalee della ricerca di Fondazione Airc.

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