In quale angolo degli oceani si accumulano le microplastiche? Ora la scienza ha sviluppato un gps globale per trovarle

È il progetto di un gruppo di ricercatori dell’Università del Michigan. Sfruttando “al contrario” le potenzialità di un sistema di 8 microsatelliti sono in grado di utilizzare i cambiamenti nella reattività della superficie delle acque sottoposte a forti venti per prevedere la presenza di materiali al loro interno.
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Kevin Ben Alì Zinati 16 Giugno 2021

Dove sono le microplastiche? La risposta che stai per dare, purtroppo, è quella giusta: ovunque.

Si nascondono in luoghi che non ti saresti mai aspettato: dai chicchi di riso alla neve che cade in Siberia, dal miele delle api alla placenta di una donna incinta fino, ovviamente, alle acque dei mari e degli oceani.

L’aver ritrovato queste microscopiche particelle di materiali praticamente indistruttibili in ogni luogo cui puoi pensare, però, non significa che sappiamo esattamente dove cercarle e come fermarle.

Per questo un gruppo di ricercatori dell’Università del Michigan ha sviluppato un'innovativo sistema gps globale per individuare e tracciare la presenza delle microplastiche sulla superficie degli oceani.

Un problema enorme 

Lo studio pubblicato sulla rivista IEEE Transactions on Geoscience and Remote Sensing rientra nel macro-universo della ricerca dedicata all’urgenza dell’inquinamento delle nostre acque dovuto ai rifiuti di plastica.

Le ultime stime citate dai ricercatori americani, infatti, parlano di circa 8 milioni di tonnellate di scarti che ogni anno finiscono negli oceani, di cui la maggior parte è ridotta in microplastiche dall’azione del sole.

Arrivando indisturbate in ogni dove, le microplastiche possono così danneggiare la vita marina e gli ecosistemi acquatici.

Una tecnica… al contrario 

Il nuovo metodo sviluppato dai ricercatori dell’Università dei Michigan si basa sul sistema satellitare globale Cyclone.

È un insieme di otto microsatelliti lanciati nel 2016 allo scopo di tenere monitorato il clima che, all’occorrenza, può anche cambiare obiettivo e contribuire a individuare le microplastiche nelle zone superficiali delle acque oceaniche ingrandendo piccole aree per un'immagine ad altissima risoluzione.

Di solito il Cyclone Global Navigation Satellite System (o CYGNSS) viene utilizzato per osservare la rugosità della superficie dell’oceano, dalla cui analisi gli scienziati possono trarre informazioni sulla velocità del vento.

Uno dei parametri che può interferire con i risultati, però, è la presenza di materiale nell’acqua perché può alterare la sua reattività all’ambiente e la rugosità della superficie rendendola “più liscia” rispetto come normalmente dovrebbe essere in presenza di vento.

Da qui, gli scienziati hanno avuto un’intuizione. Si sono chiesti, dunque, se sfruttando al contrario il sistema avrebbero potuto utilizzare i cambiamenti nella reattività per prevedere la presenza di materiali in acqua.

Dalle misurazioni della velocità del vento, il team ha così ricercato i luoghi in cui l’oceano era meno agitato rispetto a quanto avrebbe dovuto esserlo data la velocità delle raffiche.

Hanno così confrontato quelle aree con le osservazioni reali dei pescherecci a strascico di plancton e dei modelli di correnti oceaniche per la previsione della migrazione della microplastica riscontrando un'elevatissima correlazione tra le zone più lisce e quelle più ricche di microplastiche.

Di fatto, hanno creato un vero e proprio gps globale per rintracciare le microplastiche oceaniche.

Secondo i ricercatori americani, però, i cambiamenti nella rugosità dell'oceano potrebbero non dipendere direttamente dalle microplastiche ma dai tensioattivi.

Si tratta di composti oleosi o saponosi spesso rilasciati insieme alle microplastiche che abbassano la tensione superficiale sulla superficie di un liquido.

In balia del clima

Un altro importante risultato descritto dal team dell’Università del Michigan è il legame “geografico” tra gli accumuli di microplastiche e il clima.

Le concentrazioni globali di questi materiali tendono a variare in base alla stagione, con un picco nell'Atlantico settentrionale e nel Pacifico durante i mesi estivi dell'emisfero settentrionale.

Secondo i risultati, giugno e luglio sono i mesi di punta per il Great Pacific Garbage Patch, una sorta di grande isola di plastica nel Pacifico settentrionale.

Nell'emisfero australe, invece, le microplastiche si concentrano di più durante i mesi estivi di gennaio e febbraio, meno invece in inverno, probabilmente a causa di una combinazione di correnti che le spinge sotto la superficie dell’acqua.

E quindi?

Lo studio americano non è fatto solo di numeri e modelli: si pone anche come spunto per azioni future.

Secondo i ricercatori, infatti, le informazioni raccolte attraverso il loro sistema potrebbero aiutare le organizzazioni che ripuliscono gli oceani dalle microplastiche.

Per questo il team ha già preso contatti con un'organizzazione di pulizia olandese per convalidare i risultati e, soprattutto, metterli in pratica.