
Quando parli di frutta tropicale non ti riferisci a un singolo alimento ma a un mondo vastissimo popolato da frutti esotici come il mango, l’avocado, la papaya, l’ananas e le banane: a quei frutti cioè originari delle regioni tropicali e subtropicali del mondo.
Negli ultimi anni il consumo di questi frutti è aumentato notevolmente anche in Italia. Questo lo si deve sicuramente ai benefici nutrizionali offerti dalle alte concentrazioni di vitamine, minerali e antiossidanti ma non solo.
I frutti tropicali hanno acquistato una crescente popolarità anche grazie alla varietà di sapori che sanno regalare, alla diffusione di diete – dalla mediterranea a quella vegana – in cui questi alimenti sono i protagonisti e ovviamente alla maggior disponibilità sul mercato.
Tenendo tra le mani un frutto proveniente da un luogo a migliaia di chilometri di distanza, una domanda però sarà sorta spontanea anche a te. In un mondo che deve necessariamente fare i conti con le conseguenze quotidiane delle proprie azioni sul Pianeta, la frutta tropicale può essere considerata davvero sostenibile?
Spesso non pensiamo all’impatto che la produzione e il trasporto di questa frutta possono avere sull’ambiente e visti tutti gli elementi citati fin qui, avrai capito che la risposta non è affatto semplice. Diciamo che dipende: dipende da diversi fattori.
La maggior parte della frutta tropicale che viene consumata sulle nostre tavole proviene da paesi geograficamente lontani. Sto parlando soprattutto del Sud America, dell’Africa e dell’Asia.
L’avocado, per esempio, è uno dei frutti tropicali più popolari e viene importato principalmente dal Perù o dal Messico, che ne è il principale produttore a livello mondiale grazie al suo clima ideale.
Le più grandi coltivazioni al mondo di mango si trovano invece in India, senza però dimenticare il Brasile, da cui spesso viene importata anche la papaya.
L’ananas invece trova il suo habitat preferito ai Caraibi, in Costa Rica e alle Filippine mentre le banane – che sono uno dei frutti tropicali più consumati sul Pianeta e probabile bene avrai anche tu una nello zaino ora – provengono quasi sempre dall’America Latina, in particolare dall'Ecuador, dalla Colombia e dal Costa Rica.
Questi frutti hanno bisogno di particolari climi per crescere, vale a dire temperature elevate (tra i 20°C e i 30°C) e minime variazioni stagionali oltre a una buona quantità di luce solare diretta e un'umidità elevata per favorire la fotosintesi e la crescita.
Tutte queste condizioni per lungo tempo sono state difficili da ritrovare in Italia così come in altre parti del mondo, costringendo quindi all’importazione. Ora, almeno nel nostro Paese, la coltivazione di frutti tropicali è aumentata, purtroppo per merito anche degli effetti dei cambiamenti climatici e dell’aumento delle temperature.
Per provare a capire quali sono le coltivazioni di frutta tropicale più sostenibili devi tenere in considerazione vari fattori, dalle pratiche agricole impiegate all’uso che viene fatto delle risorse naturali di un territorio e infine l’impatto ambientale complessivo della filiera, quindi dalla produzione alla vendita.
Ti faccio qualche esempio. Pensa alle coltivazioni di avocado in Messico o in Perù. Ci sono alcune aziende che da anni hanno adottato pratiche di agricoltura biologica e si servono di sistemi di irrigazione a basso consumo (come l'irrigazione a goccia) che permettono quindi di mantenere costante l’umidità del terreno e l’irrigazione delle piante evitando consumi eccessivi e sprechi d'acqua.
Dall’altra però quella dell’avocado spesse volte è una coltivazione tutt’altro che sostenibile. Colpa delle pratiche di coltivazione intensive, di processi di deforestazioni spietate finalizzate ad allargare i terreni per espandere la produzione.
Colpa dello sfruttamento sfrenato delle risorse idriche e dell’inquinamento delle falde acquifere dei terreni dovuto all’utilizzo di pesticidi.
In Costa Rica ci sono piantagioni che sfruttano tecniche di agricoltura sostenibile per coltivare ananas, come per esempio i fertilizzanti organici e la conservazione delle risorse idriche ma a queste, purtroppo, fanno eco piantagioni in cui, invece, viene fatto un uso intensivo di pesticidi e fertilizzanti chimici che, come sai, favoriscono la degradazione del suolo e la contaminazione delle acque sotterranee.
Le banane in Ecuador? Un affare gigantesco, su questo non c’è dubbio. Alcune coltivazioni di banane adottano pratiche di agricoltura biologica e sostenibile, basato sull’impiego di compost organico e la rotazione delle colture ma sempre più spesso capita di imbattersi in enormi monoculture: vastissimi campi in cui vengono prodotte solamente banane, minacciando in maniera drastica la biodiversità della zona.
In Italia, come ti accennavo prima, da tempo si sono diffuse delle coltivazioni di frutta sostenibile e alcune di esse sono effettivamente più sostenibili di altre. In territori della Sicilia, della Calabria e della Puglia, per esempio, oggi puoi trovare coltivazioni di mango, avocado, papaya ma anche frutto della passione e lime.
Attingere a queste forniture “locali” riduce chiaramente l’impatto ambientale perché limita il peso del trasporto e, allo stesso tempo, supporta l'economia locale. Sono sempre più diffuse poi aziende agricole virtuose che si servono di sistemi di irrigazione a basso consumo, fertilizzanti organici e tecniche di agricoltura biologica che, di fatto, rendono le produzioni più sostenibili.
Scegliere di consumare frutta tropicale sostenibile, dunque, è importante per proteggere l’ambiente senza privarci di questi alimenti. Per farlo, però, serve capire come poter fare scelte consapevoli. Ti do qualche suggerimento: