La tragedia della Marmolada è una conseguenza del cambiamento climatico: “Non c’è memoria storica di eventi simili”

“Il crollo del seracco è dovuto alle altissime temperature che si sono registrate nei mesi scorsi, di due gradi oltre la media del periodo 2008-2021”, spiega Fabrizio De Blasi, ricercatore del Cnr. Un caldo record che ha trovato un ghiacciaio già in forte difficoltà, privo della protezione del manto nevoso che quest’anno, praticamente, non si è formato.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Giulia Dallagiovanna 5 Luglio 2022
Intervista a Fabrizio De Blasi Ricercatore presso l’Istituto di Scienze Polari del CNR. Dal 2010 studia l’influenza dei cambiamenti climatici sugli ambienti montani d’alta quota.

Domenica 3 luglio verso le 13:45, una porzione consistente del ghiacciaio principale della Marmolada si è staccata, travolgendo diverse cordate di escursionisti e uccidendo almeno 8 persone. È una conseguenza (l'ennesima) del cambiamento climatico. Così come lo sono la siccità e il caldo record. "È dovuto alle altissime temperature che si sono registrate soprattutto negli ultimi due mesi – conferma Fabrizio De Blasi, ricercatore presso l’Istituto di Scienze Polari del CNR e che dal 2010 studia l’influenza dei cambiamenti climatici sugli ambienti montani d’alta quota. – Probabilmente si è verificato un importante fenomeno di fusione del ghiacciaio superficiale. L'acqua ha raggiunto l'interfaccia tra la roccia e il ghiaccio e ha creato una sorta di superficie lubrificata, che ha scollato una porzione di ghiacciaio dalla montagna". Per la Marmolada, aggiunge, "non c'è memoria storica di eventi simili".

A staccarsi è stata una parte di seracco, che è per natura una formazione instabile, più incline al crollo quando le condizioni non sono favorevoli. Ma è emblematico che l'episodio, già di per sé non molto frequente sulle Alpi, abbia interessato la via normale, una delle più famose e percorse della zona. Insomma, un sentiero considerato sicuro.

La colonnina di mercurio costantemente sopra la norma stagionale ha peggiorato la situazione di un ghiacciaio già in fortissime difficoltà. "La misurazione degli accumuli invernali la provincia di Trento ha effettuato nelle scorse settimane ha riportato risultati del 40-50% peggiori rispetto alla media degli ultimi anni. Le scarse precipitazioni nevose sono state seguite dalle temperature molto elevate di maggio e giugno, 2 gradi oltre la media del periodo 2008-2021. Se guardiamo la Marmolada oggi, appare come dovrebbe essere ad agosto: siamo in anticipo di due mesi nella scopertura del ghiacciaio dal manto nevoso".

Senza la neve, le nostre riserve di ghiaccio restano indifese. Ma pensare di poter tornare indietro nel breve tempo è utopico. "Le stime più recenti prevedono che anche se riuscissimo a mantenere il rialzo delle temperature non superiore a 1,5 gradi, entro la metà del secolo il 50% della massa glaciale potrebbe scoparire", avverte De Blasi. Oggi è necessario imparare a mitigare questi effetti e a convivere con le conseguenze di una crisi che l'uomo stesso ha provocato. "La prima azione che andrebbe portata avanti, a livello globale, è la riduzione dei gas climalteranti. Detto questo, non possiamo pensare di poter salvare un ghiacciaio o prevenirne il crollo. Dobbiamo però essere pronti a gestirlo. Serve una consepevolezza nuova nell'approccio alla montagna, anche nella sensibilità dei singoli, ad esempio nel mondo dell'escursionismo".

Un intervento da attuare, spiega il ricercatore, è la creazione di un sistema di monitoraggio dei movimenti dei ghiacciai, per il quale l'Italia non è pronta perché, fino ad oggi, il rischio non era così diffuso. Inoltre, va detto, che pur trattandosi di un elemento chiave, non è sempre facilmente perseguibile. "Un esempio positivo è quello che avviene per il Plampicieux, sul Monte Bianco. Se ne era parlato molto nel 2019 perché la massa glaciale si stava muovendo molto rapidamente e proprio in questi giorni torna ad essere un osservato speciale  per il peggioramento del rischio idrogeologico nella zona. È costantemente sotto osservazione attraverso immagini in timelapse e sismografi".

Questo non significa che il problema sia risolto. "Una conseguenza della perdita di un ghiacciaio è anche la destabilizzazione del territorio e l'innesco di fenomeni di colate detritiche. Quando collassano sacche d'acqua all'interno di alcuni ghiacciai, possono rilasciare piene improvvise, con ripercussioni drammatiche sulla formazione di colate". E poi manca l'acqua. Le grandi distese bianche sulle nostre montagne sono riserve idriche fondamentali in momenti di siccità come quello che stiamo attraversando ora. "Nell'agosto del 2003, il fiume Po in secca era sostenuto per il 30% dalla fusione dei ghiacciai. È una percentuale molto elevata e questa estate ricorda da vicino quella del 2003". Solo che dal 2010 a oggi, i ghiacciai si sono ridotti del 13%, mentre gli episodi di siccità sono aumentati per numero e durata. Abbiamo sempre meno difese contro il cambiamento climatico.