"Stiamo implementando un servizio di pasti gratuiti realizzati da nutrizionisti per essere sempre belli, performanti e sani come il mondo che vogliamo". Siamo a Milano e questo è un annuncio di lavoro. Nello specifico, la frase evidenziata si trova nello spazio dedicato al "cosa offriamo", sotto la voce "miglioramento personale". Performance è la parola d'ordine attorno alla quale tutto ruota. Il lavoro, lo sport praticato nel tempo libero, il quantitativo di relazioni sociali. L'imperativo è dare sempre il massimo. Qualche giorno fa sulla pagina Facebook di un'azienda è comparso questo post: "Determinazione è lavorare duro quando si è già stanchi per il duro lavoro". E per macchine sempre perfettamente funzionanti, la benzina più indicata è una dieta sana, attentamente controllata. In questo contesto, il rischio di oltrepassare il confine delle buone pratiche e sfociare nell'ossessione è dietro l'angolo.
"La necessità di essere sempre performanti aumenta i fattori di rischio per lo sviluppo di diverse psicopatologie, tra cui quelle alimentari", sottolinea la dottoressa Sara Covili Faggioli, psicologa e psicoterapeuta a indirizzo cognitivo-comportamentale e membro del comitato direttivo di Nutrimente onlus. Il riferimento è all'ortoressia, un disturbo del comportamento alimentare che si manifesta come ossessione per il cibo sano.
Nel 2016 la onlus, nata con l'obiettivo di sensibilizzare e informare sui DCA, ha pubblicato una ricerca sulle abitudini degli italiani a tavola. Ne è emerso che una persona su tre aveva almeno un amico fissato con l'alimentazione. Dedicava, cioè, diverse ore alla pianificazione dei pasti o all'acquisto degli ingredienti al supermercato. In totale, le persone con diagnosi di disturbo alimentare erano più di 3 milioni e, tra loro, il 15% soffriva di ortoressia. La città dove questa patologia risultava più diffusa era proprio Milano, seguita da Roma e Torino. Per la dottoressa Covili, è un riflesso delle modifiche sociali che stiamo vivendo.
"La ricerca del cibo sano trova molto supporto nella nostra società, anche per un discorso relativo alla salute. Viene percepito come un comportamento da promuovere. Il problema è quando subentra l'ossessione e questa giustificazione finisce per nascondere il lato restrittivo della dieta". Il rischio è che dopo aver eliminato pizza e hamburger, si passi a qualsiasi cibo del quale non si conosce l'esatta provenienza. Fino ad arrivare a rifiutare cene con gli amici o appuntamenti di coppia per non correre il pericolo di imbattersi in un piatto non perfettamente healthy. "A livello sociale continuiamo a promuovere il valore del controllo. Sul peso, sul corpo, ma ancora prima sulle emozioni. Possiamo ritenerci persone per bene se sappiamo controllarci, anche quando mangiamo", prosegue la psicologa.
Un mix di pressione sociale e strategie di marketing che incontrano il nostro, legittimo, desiderio di prenderci cura di noi stessi e della nostra salute. Dieta sana e prevenzione delle malattie, però, non sono gli elementi di un'equazione perfetta. Esistono altri fattori esterni, come l'inquinamento dell'ambiente in cui si vive, che possono favorire l'insorgenza di una patologia. "Passa il messaggio sbagliato, secondo il quale è sufficiente fare qualcosa per ottenere un certo risultato. E invece non è così".
La ricerca della perfezione, sulla quale abbiamo impostato il nostro stile di vita, ha un costo elevato in termini di fatica, stress e annullamento delle emozioni. "La regola deve prevalere sul piacere, quando invece la spinta emotiva che guida la ricerca di cibo è una dimensione importantissima – sottolinea la dottoressa. – Se mangiamo solo perché ne abbiamo bisogno, annulliamo l'elemento conviviale e sociale del pasto. Non solo, l'alimentazione ci aiuta a regolarci proprio da un punto di vista emotivo, perché esercita un impatto sul nostro sistema di neurotrasmettitori e sul senso di benessere in generale".
Una dieta sana è importante, ma sano deve essere anche il nostro rapporto l'alimentazione. E affinché lo sia, è necessario recuperare l'aspetto emozionale invece di nutrirci solo sulla base di regole. Come fare ad accorgerci che stiamo superando un confine? È più semplice per chi ci sta attorno. "I campanelli d'allarme si manifestano prima del cambiamento di peso: irritabilità frequente, ritrosia sociale, fatica nelle interazioni. Dovendo trascorrere molto tempo a pensare al cibo, si evitano altre possibili distrazioni che provengono dall'esterno. La persona coinvolta, invece, può avvertire un calo a livello energetico e una minore capacità di concentrazione, provocati dalle restrizioni che si è imposta".
All'orgine di tutto questo, c'è il desiderio, umano e legittimo, di sentirsi accettati e inclusi. Ma quando le regole che stiamo seguendo arrivano a minacciare la nostra salute mentale e fisica, significa che è sorto un problema. E se fatica e stress superano il piacere, dov'è il senso di quello che facciamo?