L’autogol del ministro Abodi sul coming out di Jankto: l’orientamento sessuale non è mai ostentazione

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È polemica sulle parole del ministro dello Sport Andrea Abodi sul coming out del centrocampista Jacub Jankto e il suo ritorno in serie A: “Non faccio differenze in base alle scelte personali, anche se non amo le ostentazioni”. Sebbene il ministro abbia poi chiarito come il suo fosse tutto fuorché un attacco omofobo, una domanda sorge spontanea: vivere la propria identità è davvero una scelta o è piuttosto un bisogno e un diritto insopprimibile di ogni essere umano?
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Maria Teresa Gasbarrone 11 Luglio 2023

Sono bastate poche parole, anzi, al dire il vero, una soltanto – "ostentazione" -, per far scattare la polemica contro le dichiarazioni del ministro dello Sport Andrea Abodi sul ritorno in serie A del centrocampista Jacub Jankto, che diventerà così il primo calciatore dichiaratamente omosessuale a giocare una stagione del campionato italiano.

Le dichiarazioni del ministro dello Sport

Ma cos'è successo? Facciamo un passo indietro. Commentando ai microfoni di Radio 24 la notizia del ritorno dell'ex Sampodoria, Abodi ha detto: "Non faccio differenze di caratteristiche che riguardano la sfera delle scelte personali. Se devo essere altrettanto sincero, non amo, in generale, le ostentazioni. Ma le scelte individuali vanno rispettate per come vengono prese e per quelle che sono. Io mi fermo qui".

Una dichiarazione che pur non volendo essere un attacco omofobo – ha ribadito poi il ministro – non è piaciuta a molti. Il nocciolo della questione sta tutto in quella parola: "ostentazione".

Rispondendo a un post di Sportface, Abodi ha anche sottolineato: "Per me esistono le persone. Ho parlato di rispetto per le scelte e, aggiungo, per la natura umana. Rispetto è un valore non equivocabile, da garantire. Poi, posso non condividere alcune espressioni del Pride?"

La polemica dal caso Jankto

Era d'altronde prevedibile come quella parola potesse far nascere in chi la leggesse o ascoltasse, se non la certezza, almeno il dubbio che in sostanza Abodi stesse affermando che vivere alla luce del sole il proprio orientamento sessuale fosse, appunto, un'ostentazione, e non un diritto sacrosanto di ogni essere umano.

"Omofobo? È assurdo, mi dispiace che si dica questo di me, è molto lontano dal mio modo di essere. Si può discutere sul vocabolario da usare. Invece di dire scelte avrei potuto dire orientamento ma è del tutto evidente lo spirito di rispetto delle individualità". Con queste parole oggi Abodi ha ripreso l'argomento in un'intervista alla Stampa, in cui ha ribadito come le sue parole non volessero criticare in alcun modo la scelta di Jankto di rendere noto il suo orientamento: "Si deve – ha detto Abodi – a tutti il rispetto per l'orientamento quindi vorrei mille coming out".

Perché l'orientamento non è un'ostentazione

Pur chiarite le intenzioni del ministro, resta il fatto che ascoltando le sue parole una domanda sorge spontanea: si può davvero definire un'ostentazione vivere liberamente il proprio orientamento sessuale?

Proviamo a dare una risposta, mescolando un po' le carte in gioco. Se Jankto fosse stato eterosessuale e si fosse sposato, o fosse stato fotografato mano nella mano con una ragazza, a nessuno sarebbe venuto in mente di parlare di "ostentazione", né tanto meno di "scelta", tutti, al contrario, lo avrebbe considerato "normalissimo".

Ecco, è vero, in un mondo ideale il coming out non dovrebbe esistere. O meglio, non ce ne dovrebbe essere bisogno, perché tutti dovrebbero avere la libertà di amare chi vogliono, senza che questo diventi un motivo di discussione, dibattito, o peggio, penalizzazione lavorativa. E questa è un'eventualità purtroppo più che verosimile nel mondo del calcio.

In un contesto simile fare coming out non è solo uno strumento di rivendicazione collettiva, per tutti coloro che pur vivendo la stessa situazione non riescono ancora, magari per paura di ripercussioni sul piano lavorativo, a vivere la loro sessualità in modo libero. Vivere il proprio orientamento senza nascondersi è soprattutto un bisogno primario, prima ancora che una battaglia sociale e politica.

Non dovrebbero servire dei numeri per capirlo, ma se qualcuno avesse ancora dei dubbi, basta dare un'occhiata alla letteratura scientifica esistente sull'argomento. Ad esempio, secondo uno studio della Boston University fare coming out ed essere accettate dai propri cari migliora il benessere psicologico: chi tra gli intervistati non aveva fatto coming out mostrava un rischio maggiore di soffrire di disturbi psichici, come depressione o abuso di alcol.

Fare coming out significa semplicemente dire chi siamo e vivere il nostro orientamento liberamente. Non si tratta di una "scelta", si tratta del diritto fondamentale a un'esistenza libera e sana.

Dopo la laurea in Editoria e scrittura all’Università di Roma La Sapienza sono approdata a Milano per fare della passione per altro…