
Ti è mai capitato di fare una battuta o di dare un consiglio non richiesto e di accorgerti poco dopo di aver detto una cosa molto sconveniente? Ognuno di noi porta con sé una storia fatta anche di cadute, di fallimenti e di ferite che gli altri non possono sapere ma che, proprio per questo, meriterebbe una delicatezza d'approccio che non sempre si incontra. Intraprendere una conversazione con una persona che sappiamo aver subito un trauma, che sia un lutto, un abuso, o qualsiasi tipo di violenza, richiede non solo discrezione e sensibilità ma anche un'assenza di giudizio che ci invita ad ascoltare, più che a dare un'opinione (quasi sempre non richiesta e sgradita).
Questo stesso discorso è applicabile benissimo anche nella cronaca nostrana in cui vediamo quanto sia facile cadere in domande, supposizioni o commenti del tutto inappropriati, come quando, per intenderci, viene chiesto a una vittima di stupro come fosse vestita quella sera o quanto avesse bevuto. Questo tipo di frasi racchiude la supponenza di sapere come siano andate veramente le cose e di colpevolizzare la vittima sminuendone il dolore e la legittima richiesta di giustizia. Lo stesso possiamo fare noi, magari ingenuamente, con un'amica o un familiare che si apre narrandoci ciò che ha subito.
Approcciarsi a chi nasconde dentro di sé traumi o esperienze negative non è certamente facile ma è sempre bene evitare almeno quegli errori più grossolani che, in primis ferirebbero il prossimo, ma che, probabilmente, causerebbero anche in noi imbarazzo e successivi sensi di colpa. Per sapere come agire con più consapevolezza, abbiamo intervistato la dott.ssa Annalisa Di Luca, psicologa e psicoterapeuta e socio portavoce di AISTED (Associazione Italiana per lo Studio del Trauma e della Dissociazione).
Partiamo intanto dalla base, perché se abbiamo subito un trauma non riusciamo a dimenticarlo anche dopo anni? A volte un sapore, un profumo o un gesto bastano a far riaffiorare alla memoria un evento che ci ha fatto male. "Questo accade – spiega Di Luca – perché le esperienze traumatiche non vengono curate dal tempo come erroneamente possiamo credere. Semplicemente, è come se mettessimo in un cassetto quei ricordi emotivi e basta un dettaglio per farceli riaffiorare. Questi ricordi, se non sono elaborati, riemergono, e per cancellarli abbiamo bisogno di guardarci dentro e di non avere timore di una consulenza psicologica".
Pensa, quindi, a una persona a te vicina, che sia un amico o un collega, ti è mai capitato di vederla estraniarsi improvvisamente dalla conversazione? Quando siamo esposti a qualcosa di evocativo per noi, "per alcuni minuti siamo turbati e poco aderenti alla realtà – continua la dottoressa. – Le persone che hanno vissuto esperienze traumatiche vivono una condizione instabile, il passato può entrare improvvisamente nel presente e quando, poi, questi pensieri finiscono, sono disorientate. È un meccanismo intrusivo che può rendere anche molto complesso vivere serenamente la quotidianità".
Quando sospetti che una persona si sia estraniando perché turbata da qualcosa, come dovresti agire? "In primis, evita di arrabbiarti – spiega Di Luca. – Se quella persona è palesemente distratta e sospetti sia turbata, puoi fare un richiamo con un tono di voce basso e un tocco delicato su zone periferiche, come spalla o mano. Può essere utile, poi, richiamarla al qui e ora, facendo riferimento al giorno presente e mettendola a contatto con uno stimolo sensoriale come una bevanda, una musica o un profumo. Se non hai troppa confidenza è meglio non toccare l’argomento e limitarsi a offrirle la tua vicinanza dicendo frasi come "se me ne vorrai parlare io ci sono". È una buona idea anche offrirle un caffè o un tè, così da starle vicino ma senza forzature".
Quello che chiediamo quando raccontiamo un fatto per noi delicato è essere creduti e ascoltati
Pensa, ora, a quando, parlando con una persona, a un certo punto ti rivela lei stessa di essere stata vittima di un evento molto negativo. Cosa dire? "A volte sovrastimiamo il valore positivo delle parole, dovremmo imparare a tacere – precisa l'esperta. – Educhiamoci a fare attenzione alle parole che usiamo. Non abbiamo il compito di farci carico o di risolvere i problemi altrui anche perché spesso un trauma di un altro può evocare i nostri. In quel momento anche solo un "mi dispiace" può essere un gesto consolatorio ma non invasivo".
L'ascolto, insomma, è la cosa più importante, più della risposta. "Quello che chiediamo quando raccontiamo un fatto per noi delicato è essere creduti e ascoltati. È questo l'aspetto fondamentale".
Eccoci, quindi, alle frasi da evitare quando parliamo con una persona che ha subito un trauma. Con "trauma" possiamo definire in questo caso sia una violenza, come dicevamo prima, ma anche episodi di bullismo o di discriminazione.
Queste affermazioni riportate spesso sono pronunciate scherzando, senza dar troppo peso a ciò che stiamo dicendo, oppure con l'intenzione di offrire un nostro parere o un consiglio per spronare l'altro a migliorarsi. Ricordiamoci però, che le parole pesano più di quanto possiamo pensare.
Si chiama "correzione amorevole" proprio l'atteggiamento di chi pensa di dare una critica costruttiva finendo col ferire la sensibilità dell'altro. "Chi fa questa correzione pensa di offrire qualcosa di prezioso all'altro ma, a ben vedere, molte sono critiche non richieste – conclude Di Luca. – Non è detto che mi possa sempre permettere di dire a un altro ciò che sto pensando, anche se a fin di bene".
Anche se crediamo di conoscere il nostro interlocutore e abbiamo già un rapporto stretto, non diamo per scontato di sapere ciò che è bene per lui. Spesso chi incontriamo sta combattendo silenziosamente battaglie che non possiamo nemmeno immaginare, sii gentile, sempre.