Lo smog causa 56 mila morti premature in Italia, ma lo Stato continua a finanziare i combustibili fossili

Come fa notare il rapporto “Toxic air: the price of fossil fuels”, pubblicato da Greenpeace, l’inquinamento atmosferico provoca molti danni sia a livello economico sia in termini di vite umane. Eppure in Italia i combustibili fossili continuano a godere ogni anno di sussidi pubblici per oltre 16 miliardi di euro, quando invece bisognerebbe velocizzare la transizione verso le rinnovabili.
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Federico Turrisi 14 Febbraio 2020

L'inquinamento uccide. Che novità, dirai. E invece non è così semplice associare scientificamente i decessi alla pessima qualità dell'aria che respiriamo. Greenpeace Southest Asia e il Centre for Research on Energy and Clean Air hanno condotto il primo tentativo di valutare il costo globale, sia per quanto riguarda gli aspetti economici sia per quanto riguarda la salute pubblica, dell'inquinamento atmosferico legato all'utilizzo dei combustibili fossili (carbone, petrolio, gas naturale). Il risultato è il rapporto "Aria tossica: il costo dei combustibili fossili".

I dati che emergono dallo studio sono piuttosto allarmanti. La quota di morti premature ogni anno nel mondo si aggira intorno ai 4,5 milioni. Lo smog, inoltre, ci costa carissimo: circa 2.900 miliardi di dollari (ossia 8 miliardi di dollari al giorno), una somma pari al 3,3% del Pil mondiale. A preoccupare è anche la situazione in Italia. Il report stima che il danno economico per il nostro paese sia di circa 61 miliardi di dollari all'anno e che l'inquinamento dovuto ai combustibili fossili provochi 56mila morti premature.

Il vero paradosso in tutto questo è che lo Stato italiano continua a finanziare l'industria dei combustibili fossili, in maniera diretta o indiretta, attraverso sussidi, agevolazioni ed esenzioni. Hai capito bene. Si parla dei soldi che paghi con le tasse, si parla di risorse che potrebbero essere destinate a soluzioni maggiormente ecosostenibili per accelerare il processo di decarbonizzazione, indispensabile se vogliamo raggiungere l'obiettivo fissato dall'Accordo di Parigi di contenere il riscaldamento globale al di sotto dei due gradi centigradi rispetto all'era preindustriale. Con il Green New Deal l'Unione Europea (di cui fa parte l'Italia) si è posta come obiettivo quello di raggiungere la carbon neutrality entro il 2050. Ma invece di favorire fin da subito la diffusione delle rinnovabili, in Italia (e non solo) si continua a mantenere aperto il rubinetto di soldi per i combustibili fossili.

I sussidi pubblici ai combustibili fossili fanno parte dei cosiddetti Sad, ovvero dei sussidi ambientalmente dannosi. Facciamo una piccola digressione tecnica. Seguendo la classificazione dell'Ocse adottata dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, si tratta di quelle misure che "aumentano i livelli di produzione tramite il maggior utilizzo della risorsa naturale con un conseguente aumento del livello dei rifiuti, dell’inquinamento e dello sfruttamento della risorsa naturale, o ancora le misure di sostegno alla produzione che aumentano lo sfruttamento delle risorse e danneggiano la biodiversità". Tra i sussidi ambientalmente dannosi troviamo il differente trattamento fiscale fra benzina e gasolio e l’esenzione dall’accisa sui carburanti per navi e aerei.

I Sad si differenziano dai Saf, i sussidi ambientalmente favorevoli, che invece hanno come "obiettivo primario la salvaguardia ambientale o la gestione sostenibile delle risorse". Bene, il Ministero dell'Ambiente ha fatto un paio di conti e lo scorso luglio ha pubblicato il Catalogo dove sono raccolti i dati (che fanno riferimento all'anno 2017) relativi sia ai Sad sia ai Saf nei settori energia, agricoltura, trasporti ed edilizia. Prendendo in considerazione solo quelli ambientalmente dannosi, si nota che i sussidi alle fonti fossili ammontano a 16,8 miliardi di euro (in totale i Sad sono stimati per 19,3 miliardi di euro, mentre i Saf per 15 miliardi). Per Legambiente sono ancora di più: 18,8 miliardi di euro. Alla faccia della transizione ecologica, insomma. Nel Decreto Clima la misura per tagliare la quota dei sussidi ai combustibili fossili non è passata ed è stata rinviata a data da destinarsi. Peccato che il tempo per agire contro l'emergenza climatica stia per scadere e non possiamo più concederci il lusso di rimandare.

Fonte | "Toxic air: the price of fossil fuels", pubblicato da Greenpeace il 12 febbraio 2020.