Mario Palmisano, da campione di canottaggio ad ironman: “Affronto la vita come una gara”

Un campione di canottaggio sa quanto sono duri ed estenuanti gli allenamenti e che una volta in gara non ci sono né timeout né sostituzioni. Allo stesso modo un vogatore impara ad affrontare le sfide della vita. Ne è un esempio Mario Palmisano, campione olimpionico a Sidney 2000, incontrato in occasione dei Giorni della Ricerca AIRC, di cui è testimonial.
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Gaia Cortese 4 Novembre 2019

"Armonia, equilibrio e ritmo. Sono le tre cose che ti porti dietro per tutta la vita. Senza di loro, la civiltà si guasta. Ed è per questo che un vogatore, quando va per la sua strada, è in grado di lottare, di affrontare la vita. È questo l’insegnamento del canottaggio". Sono le parole di un costruttore di barche, George Yeoman Pocock, parole sincere, vere e autentiche che mi ritrovo ad avvalorare dopo una lunga chiacchierata con Mario Palmisano.

Quarto ai Giochi Olimpici di Sydney 2000 sull'otto e campione mondiale Assoluto nella specialità "due con" nel 2004 (oltre che argento iridato una volta in "quattro con" e due volte sull'otto), Mario Palmisano oggi ha 41 anni, si è ritirato dalle competizioni nel 2010, ma l'anno successivo ha dovuto affrontare un'ulteriore sfida: combattere un tumore alla spalla destra. Oggi non è solo testimonial AIRC, ma è anche Presidente dell'onlus Beat It Indoor Rowing che dal 2014 sostiene i pazienti con tumori dell’apparato locomotore.

Innanzitutto, mi spieghi la differenza tra canottaggio di punta e di coppia?

Esistono diverse specialità di canottaggio che dipendono dalle barche e dagli equipaggi. Per la barca a quattro ce ne sono tre, così anche per le barche a due ce ne sono altre tre. Il canottaggio, di coppia o di punta, dipende da quali remi utilizzi. Nel canottaggio di coppia ogni vogatore ha due remi, mentre nella vogata di punta ogni vogatore ha un remo, alla sua destra o alla sua sinistra. Se remi di coppia puoi remare anche da solo, ma se remi di punta devi essere per forza in due. Quando inizi a remare in una maniera, remerai cosi tutta la vita, è molto raro cambiare. Così in squadra ci si prende sempre in giro: chi rema di punta dice che il vero di canottaggio è quello, e chi rema di coppia sostiene il contrario. Io ho sempre remato di punta, e devo dire che la storia del canottaggio è l’otto (nome di un’imbarcazione, ndr), quindi il canottaggio è di punta!

Mario Palmisano in gara per la FISA World Rowing Championships a Banyoles, in Spagna nel 2004.

Cosa ti ha portato al canottaggio a 15 anni?

Mio padre era socio alla Canottieri Napoli e io avevo bisogno di dimagrire, perché ero piuttosto sovrappeso. Così i miei genitori mi hanno costretto ad andare al circolo a scegliere uno sport da praticare. È nato tutto cosi. Il canottaggio mi è piaciuto subito: ero più alto dei miei coetanei, ero portato per questa disciplina che mi dava molta soddisfazione. L’ambiente poi non era snob come magari ci si potrebbe aspettare, tutt’altro. Trovandosi nella parte sud della città, accoglieva ragazzi di tutti i ceti sociali. Potevo quindi confrontarmi con tutti, anche con i ragazzi più disagiati. In questo senso, lo sport aiuta tantissimo: si abbassano le barriere, come anche quella dell’età, e ti ritrovi ad avere amici indistintamente dai 20 ai 70 anni.

Nel 2010 hai chiuso la tua carriera agonistica…

Sì, è stato un momento in cui ho pensato a cosa avrei fatto “da grande”. Mi ero fermato all’università di economia dopo aver dato 14 esami, pensavo al futuro e nel settore sportivo le soddisfazioni me le ero ormai tolte.

Un anno dopo ti è stato diagnosticato un osteosarcoma alla spalla destra.

È successo tutto tra giugno e settembre 2011. Tutto è nato da un dolore alla spalla. Ho visto un primo fisioterapista, poi un secondo che mi disse di fare una risonanza. Dai risultati di questo esame sono stato indirizzato verso un ortopedico della spalla, che mi ha prescritto altri esami ancora, di cui l’ultimo sarebbe stato una biopsia.

Solo la biopsia ha chiarito che si trattava di un tumore, che tuttavia generalmente colpisce i tessuti molli, non quelli ossei, come invece evidenziava il mio caso. Così all’Istituto dei tumori G. Pascale a Napoli mi hanno sottoposto a un curettage, una tecnica utilizzata in ortopedia per la rimozione di condromi e condroblastomi. Dopo l’intervento mi è stato consigliato di fare controlli ogni due mesi per monitorare la situazione.

A fine 2011 mi sono rivolto all’Istituto Ortopedico Rizzoli a Bologna e lì ho iniziato la chemioterapia. L’approccio dell’Istituto di Bologna mi è piaciuto perché era simile a quello che ti insegna lo sport: una cosa va affrontata, stare lì ad attendere che accada qualcosa non è nelle mie abitudini. Mi sono fidato. Ho sentito diversi pareri, ma dopo aver valutato bene la cosa, mi sono fidato di quanto mi veniva consigliato a Bologna e qui ho fatto 16 cicli di chemioterapia. I medici non mi hanno mai dato troppe certezze, non si sono mai sbilanciati. Entrando in ospedale ho imparato a conoscere meglio questa malattia e a capire che il tumore che colpisce anche la stessa parte del corpo può essere diverso da persona a persona. Il problema di oggi è che c’è internet! Mai cercare informazioni sulla propria malattia perché il rischio è solo di farsi prendere troppo dalla paura. Meglio lasciare fare ai medici.

Come hai vissuto la malattia?

Ero lucido, razionale. Credo di essere così di carattere, perché anche quando facevo le gare, la notte prima dormivo sempre tranquillo. Vivevo la gara sempre con grande emozione, non vedevo l’ora di farla, perché nel canottaggio la gara è il momento più bello. Il fatto è che se ti sei allenato bene, in gara devi tirare solo le somme. Ho sempre affrontato così anche la vita. Anche quando ero malato tutti mi dicevano che il più tranquillo sembravo io.

Cosa ti ha spinto a diventare testimonial per AIRC?

Già mentre facevo la cura pensavo che chi ha passato i guai che ho passato io deve essere aiutato anche dal punto di vista psicologico, non solo economico. È così che nel 2014 ha preso forma Beat It Indoor Rowing Onlus, che punta a migliorare le condizioni di vita dei pazienti con tumori dell’apparato locomotore, con progetti socio-assistenziali, attività di volontariato ed eventi organizzati per la raccolta fondi.

A me fa piacere quando qualcuno mi chiama perché si trova nella stessa situazione in cui mi sono trovato nel 2011: non sono un medico, ma racconto la mia esperienza. Parlarne già aiuta. Quando mi hanno diagnosticato il tumore, mi sono reso conto che non è una malattia rara, e che non si muore per forza. Anche questo andrebbe detto: se è preso in tempo, il tumore non è imbattibile.

Certo non dimentico che quando sono stato operato, il mio compagno di stanza è uscito dalla sala operatoria senza una gamba. Io sono stato molto fortunato. Recentemente mi ha chiamato un amico che aveva avuto una diagnosi di tumore ed era disperato; mi sono sentito di dirgli di vivere la sua vita come sempre, come se la malattia fosse una parentesi, certo una priorità, ma comunque una fase da superare.

È vero che hai partecipato a una maratona?

Due volte. La prima nel 2015, poco tempo dopo la malattia, e poi nel 2018. La maratona si può fare a qualsiasi età, perché lo sport è un adattamento del fisico, quindi se ti alleni puoi farcela. Alcuni amici mi hanno trascinato anche nel triathlon e lo scorso 21 settembre ho anche partecipato al mio primo Ironman che consiste in 3, 8 km di nuoto, 180 km in bicicletta e in 42 km di corsa, vale a dire una maratona.

Cosa fai quotidianamente per tenerti in forma?

Mi alleno 3 o 4 volte a settimana, ma più che allenamento è proprio uno stile di vita. Lo sport per me è un po’ una droga, quando mi preparavo per l’Ironman mi allenavo sia al mattino che alla sera. Sarà difficile che lo ripeta, non tanto per lo sforzo finale, quanto per il tempo che richiede la preparazione. L’Ironman ti richiede uno sforzo immenso, quasi logorante; ogni spazio della tua giornata finisci per usarlo per allenarti.

Meglio Milano o Napoli?

Meglio essere napoletano e vivere a Milano! Milano è bella da vivere, funziona tutto, l’unica cosa che non mi piace di questa città è lo smog e la frenesia continua. Alcuni valori però li ritrovo solo a Napoli, che secondo me è una delle città più belle al mondo, e dove la gente è diversa, diciamo che vive un po’ più serenamente.