Nati (molto) prima: due storie di bambini nati prematuri che ce l’hanno fatta

Emanuela è siciliana, ha 34 anni e ha partorito Salvatore a 25 settimane. Barbara è di Bassano, ha 47 anni e il suo bambino, Edoardo, è venuto al mondo dopo sole 22 settimane di gravidanza. Due donne diverse e distanti, con una grande esperienza in comune. L’attesa, la speranza e la fiducia nei confronti dei loro figli.
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Sara Del Dot 17 Novembre 2018
* ultima modifica il 22/09/2020

Due storie simili di due donne diverse per comprendere meglio le difficoltà e le dinamiche con cui ci si scontra quando il proprio bambino decide di nascere molto prima di quando dovrebbe. Emanuela e Barbara hanno deciso di raccontarci la loro esperienza, nella speranza di poter essere d'aiuto a tutte le madri che, dopo di loro, dovranno credere con tutto il loro cuore nella voglia di vivere dei propri figli prematuri.

Emanuela Mazzurco

34 anni, mamma di Salvatore, 6 anni, nato a 25 settimane

Emanuela è siciliana, ha 34 anni e 6 anni fa ha partorito suo figlio Salvatore, quattro mesi prima di quando sarebbe dovuto nascere. Oggi Emanuela si impegna per far conoscere la storia di Salvatore, affinché lui possa rappresentare una speranza per le mamme che danno alla luce i loro bambini in condizioni di prematurità estrema. Sulla sua esperienza, che le ha cambiato la vita, ha scritto anche la sua tesi di laurea.

La mia storia comincia a 22 settimane di gravidanza, quando mi si sono rotte le membrane e ho perso le acque all’improvviso. 22 settimane, significa praticamente cinque mesi, la metà di una gravidanza normale. Mi sono molto spaventata, perché non conoscevo la prematurità, e non sapevo se mio figlio sarebbe nato vivo. Siamo andati subito in ospedale, al Barone Romeo di Patti, dove i medici sono riusciti a far rimanere mio figlio dentro la pancia per altri quindici giorni. Quindici giorni che sono stati vitali, perché se Salvatore fosse nato quella notte non ce l’avrebbe fatta, era troppo piccolo, pesava solo 350 grammi.

Poi, un giorno ho iniziato a sentire dei dolori fortissimi, sono stata portata in sala ecografia e ci siamo accorti che il bambino voleva nascere, anzi, stava già nascendo. Così, il 25 maggio del 2012, Salvatore è nato, velocissimo, piccolissimo, con un parto naturale. Pesava 800 grammi, era praticamente ancora un feto. Polmoni, cervello e altri organi erano ancora in via di sviluppo, teneva gli occhi chiusi, aveva la pelle molto scura. E quello è stato il momento peggiore di tutti: lo hanno portato in un’altra stanza, e pochi minuti dopo mio marito lo ha riportato da me. Mi ha detto che il bambino era praticamente morto, e mi ha spinta a prenderlo in braccio. Io non volevo, gli gridavo di metterlo subito nell’incubatrice, ma lui insisteva, mi ripeteva che dovevo prenderlo.

Salvatore era avvolto in un telo, con un cappellino in testa, l’ho tenuto con me per circa un quarto d’ora, finché il primario mi ha detto “Dammelo, poi te lo faccio rivedere”, e l’hanno portato via di nuovo. Poi mi hanno portata in sala operatoria per staccare la placenta che era ancora attaccata, dal momento che la gravidanza non era stata completata. In quel momento, è successo qualcosa che nessuno si aspettava. Il bambino, che non dava alcun segno di vita, dopo essere stato staccato dal mio petto si è messo a piangere. Era vivo. La dottoressa l’ha messo subito nell’incubatrice e l’ha fatto portare via. Ma io questo ancora non lo sapevo, ero in sala operatoria, rassegnata all’idea che mio figlio non c’era più. Fino a quando mio marito mi disse “Salvatore è di là, in terapia intensiva”.

Sebbene respirasse da solo, cosa incredibile in condizioni di prematurità così estreme, le condizioni di Salvatore erano molto gravi: i medici mi dissero che non sapevano se sarebbe arrivato al mattino dopo. Così, abbiamo aspettato. E alle sei del giorno seguente, ci fu detto che era stabile. Non ci credevamo neanche noi, e abbiamo iniziato a lottare, e sperare. Ho iniziato pian piano a dagli il mio latte, di cui beveva soltanto qualche goccia ma che l’ha salvato da una possibile necrosi dell’intestino.

Nei primi giorni, era tutto quello che potevo fare. Non potevo neanche prenderlo in braccio, andava in apnea, dovevamo risvegliarlo, aveva uno strano gonfiore sotto al collo, insomma una serie di situazioni molto complicate da gestire. Però, giorno dopo giorno, quello strano gonfiore si è ritirato fino a scomparire e, dopo 20 giorni, finalmente ho potuto prende in braccio mio figlio. Fu un’emozione grandissima. L’ultima volta che lo avevo tenuto in braccio mi avevano detto che era morto, e dopo venti giorni lui era ancora lì, vivo. È il momento in cui ti senti davvero una mamma perché, purtroppo, la prematurità crea un forte distacco con il bambino, separandolo da te prima del tempo e consentendoti di toccarlo solo nell’incubatrice.

Da quel momento, è iniziata la vera prematurità. Salvatore era diventato un prematuro come gli altri. Siamo stati in terapia intensiva per 128 giorni e finalmente, il 19 settembre, dopo un intervento all’ernia siamo tornati a casa. Salvatore pesava 3 chili e mezzo. A quel punto si sono susseguite visite, controlli, la paura che non camminasse, che presentasse problemi a livello cognitivo. E invece ha iniziato a camminare a 13 mesi, seguito anche da un centro di riabilitazione, ha iniziato a parlare come tutti gli altri e oggi legge e scrive. L’unico problema che ha riportato è stato un abbassamento dell’udito per cui deve portare gli apparecchi acustici. Ma non è niente in confronto alle prospettive che avremmo potuto avere davanti.

Ciò che ha aiutato Salvatore a vivere è stata la sua determinazione, che l’ha tenuto aggrappato alla vita. Sebbene abbia trascorso i suoi primi anni di vita in modo terribile, adesso sta bene, ha fatto sei anni, va in prima elementare, e all’inizio nessuno ci avrebbe scommesso un centesimo. La nostra è stata una vittoria senza pari. Quello che mi sento di dire è di non arrendersi mai. Salvatore è la dimostrazione che finché c’è vita, c’è speranza, e l’importante è affrontare tutti questi momenti con speranza e positività. Lui mi ha insegnato come vivere la vita. Ed era così piccolo, sarei dovuta essere io a insegnarglielo, e invece lo ha spiegato lui a me.

Barbara Melotto

47 anni, mamma di Edoardo, 6 anni, nato a 22 settimane e 4 giorni

Barbara è un’ex cantante e un’insegnante di canto. Ha partorito Edoardo a giugno, anche se era previsto che lui nascesse a ottobre. Dopo l’esperienza della prematurità, ha aderito alla campagna di sensibilizzazione per la diffusione della conoscenza del fenomeno dando la voce alla canzone “Io ti aspetto lo stesso”, per incentivare la consapevolezza riguardo a un fenomeno che capita spesso ma di cui pochi conoscono le reali dinamiche e implicazioni.

La mia gravidanza è durata praticamente la metà di una normale. Edoardo doveva nascere verso il 6 di ottobre ed è nato l’8 di giugno. Ero alla mia prima gravidanza. Avevo aspettato un po’ ad averla perché, a causa di problemi tiroidei, il medico mi aveva detto di aspettare e, prima, risolverli. Poi, all’improvviso, è successo. È andato tutto bene, una gravidanza praticamente perfetta. Ma, da un giorno all’altro, ho iniziato ad accusare un po’ di malessere, avevo degli strani dolori alla pancia. Solo in seguito ho scoperto che si trattava di contrazioni. Poiché non smettevano, sono arrivata in ospedale, camminando con le mie gambe. Solo a quel punto ho capito che il bambino stava per nascere, aveva praticamente già la testa in posizione.

Mi hanno subito messa a letto e, grazie al fatto che le contrazioni si sono fermate, la mattina dopo sono stata spostata dall’ospedale di Bassano, dove non è presente il reparto di neonatologia e, quindi, se fosse nato lì mio figlio non ce l’avrebbe fatta, al San Bortolo di Vicenza. Dopo due giorni, Edoardo è nato, con parto naturale, a sole 22 settimane e 4 giorni. Era lungo 29 centimetri e pesava 500 grammi. Sembrava un uccellino caduto dal nido. In quel momento non mi hanno dato nessuna speranza di vita, era quasi impossibile sperare che potesse in qualche modo reagire o salvarsi. Invece, fortunatamente, non è andata così. All’inizio è stata dura, anche perché in Italia è previsto l’aborto terapeutico fino alle 23 settimane, ed Edoardo è nato alla 22esima. Non c’era un obbligo di accanirsi nel farlo vivere se non avesse dato risposte fisiche. Ma per fortuna siamo stati seguiti da un ottimo medico, grazie al quale Edoardo è stato intubato ed è rimasto nell’incubatrice per due mesi e mezzo, praticamente in bilico tra la vita e la morte. Le sue condizioni erano talmente incerte che l’abbiamo battezzato, in vista della possibilità che ci lasciasse.

Siamo rimasti in terapia intensiva per quattro mesi. Dopo la nascita, infatti, Edoardo ha avuto tutto quello che un bambino prematuro può avere, tra cui emorragia cerebrale ed emorragia polmonare. Ma quando è arrivato a casa, respirava con i suoi polmoni, e noi abbiamo fatto tutto ciò che era necessario: fisioterapia, logopedia, psichiatria, per oltre tre anni. Adesso ha sei anni, sta bene, è quasi un miracolo.

Sicuramente un’esperienza così ti segna e ti segnerà per sempre, perché vedere entrare in terapia intensiva un bambino che nulla ha a che vedere con il bambino che ti immagini, è davvero scioccante. Una situazione del genere mette a repentaglio la tua salute mentale e la salute della coppia. In quel momento non avevo idea di cosa stesse succedendo, non sapevo nulla. Non sapevo nemmeno cosa rappresentasse la figura del neonatologo. Perché la prematurità, ancora, non è conosciuta. E proprio per questo ho aderito alla campagna di sensibilizzazione Diamo una voce ai piccoli nati prematuri promossa da Vivere Onlus con la canzone “Io ti aspetto lo stesso”, dedicata ai bambini prematuri. Secondo me se una persona è almeno consapevole di ciò che le sta succedendo, non dico che affronta la situazione in maniera più serena, però, almeno, sa.

Un consiglio che posso dare alle persone che affrontano quest’esperienza è questo: restate uniti, sperate, perché il bambino ha bisogno della sua mamma, del suo papà. Personalmente, essendo un’ex cantante, la prima cosa che mi è venuto spontaneo fare quando ho visto Edoardo i primi giorni è stato cantargli una ninna nanna per fargli sentire la mia vicinanza, visto che non potevo toccarlo. Volevo fargli sentire la mia voce, la mia presenza. Il genitore deve restare positivo, perché i bambini lo sentono e hanno bisogno di sapere che la loro mamma è lì, e crede in loro. Dovete credere nel vostro bambino, perché loro sono fortissimi. E noi stessi, per loro, riusciamo a tirare fuori una forza che non pensiamo di avere dentro.

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